La partecipazione alla tavola rotonda che si tenne il 16 dicembre rappresentò una delle ultime, se non l’ultima uscita pubblica di Franco Basaglia. Era in corso da tre giorni il convegno “Le nuove istituzioni della psichiatria” e Basaglia partecipava ad una discussione dal titolo :”Verso una modificazione della normativa psichiatrica?”.

Con la legge fresca di un anno, si discuteva, già allora, di una sua modifica. Ed è quanto si è poi continuato a fare fino ad oggi.

Alla tavola rotonda partecipavano politici e professori universitari. Chi più chi meno tutti concordavano sul fatto che non bastasse la legge, ma che vi fosse un problema di sua applicazione, e tutti, chi più chi meno, avevano la ricetta organizzativa per risolvere il problema.

Le nuove Istituzioni della Psichiatria – Dalla 180 alla 833, amministratori e operatori socio-sanitari a confronto – Mantova, 14-16 dicembre 1979

(Atti del convegno, a cura di G. Cimarosti, G. Contini, G. Rossi, Amministrazione Provinciale di Mantova, Paolini Editore,1981)

(dalla tavola rotonda del 16 dicembre)

FRANCO BASAGLIA

Sono costretto dagli accordi precedenti a parlare per ultimo ed il sen. Forni mi ha definito un po’ il censore della situazione. Ma io ho invece l’impressione di assistere e di essere anche attore di una sceneggiata televisiva, nella quale si trasmette un giallo, in cui noi siamo già gli accusati, e dove per fortuna non c’è altro commissario che il pubblico, e tutti noi diciamo che non siamo colpevoli; anzi siamo tutti d’accordo e ci sosteniamo uno con l’altro, ognuno è la spalla dell’altro. Ci sono i politici che sono uno la spalla dell’altro, i tecnici che sono uno la spalla dell’altro, in questa sceneggiata io vorrei essere modicamente polemico.

Comincerei a dire che non sono assolutamente d’accordo coi prof. Balestrieri, non per quello che ha detto, ma perchè rappresenta l’università, la quale ha avuto il peggiore comportamento pensabile amministrando la censura sulla legge 180.

L’università, da quando io mi sono laureato, ha protetto in maniera reazionaria e fascista gli ospedali psichiatrici. Non si è mai levata una voce, se non nei congressi, a dire che bisogna cambiare questa legge, ma nessun professore universitario si è sporcato una mano all’interno dei manicomi. Il professore universitario ha sempre avuto le mani pulite, amministrando l’insegnamento nei letti dei malati, dicendo: questo è schizofrenico, questo è maniaco, questo è isterico, etc,.. Ebbene, questi stessi professori amministrano i manicomi: per esempio, il prof. Sarteschi di Pisa (tanto per un nome) dirige la clinica psichiatrica che è un manicomio di 300 letti.

Sono avvenute poi delle cose orribili, perchè la legge escluderebbe l’università dalla assistenza psichiatrica; invece direi che l’università è uscita da questo confronto “vittoriosa” al punto tale che il Ministro della Sanità chiamato i professori universitari a decidere se la legge era buona o cattiva. Questi universitari si sono riuniti varie volte ed hanno dovuto accettare la presenza del C.N.R., che si è collegato con gli enti locali – gli unici gestori in realtà della situazione psichiatrica – per fare una ricerca di cui il prof. Misiti ha qui espresso alcuni punti essenziali.

Io dico che, non per cercare un capro espiatorio, certamente ci sono dei varchi attraverso i quali noi possiamo vedere chi appoggia la legge, chi

non la appoggia, chi si mette dei vestiti e chi è nudo. E allora noi siamo nella situazione di dire: il re è nudo; e noi questo diciamo all’università: che non ha altro che parole.

L’università oggi dice che ha bisogno del reparto perchè deve insegnare; ed è evidente come sia reazionaria questa visione della medicina, della

psichiatria che vede nel letto, nei ricovero, nell’internamento, la possibilità di insegnamento agli studenti: quindi ha bisogno di 15 letti, di 40 letti perchè tutte le cliniche universitarie hanno perlomeno 30 o 40 letti. Ebbene io penso che questo sia totalmente sbagliato, mentre ritengo, invece, che l’università dovrebbe avere molto più potere di quello che ha. Non deve avere letti ma, avendo il territorio a disposizione, dovrebbe creare le strutture scientifiche a livello territoriale. Questo vogliamo dall’università: che prepari nuovi tecnici, perchè quelli che sforna oggi sono dei poveretti, persone che dovranno gestire la medicina ospedaliera dei letti, quella dell’ultima spiaggia, prima dì morire.

Noi abbiamo una legge che è venuta in vent’anni, perchè, caro Balestrieri, non è stato un fulmine a ciel sereno la 180, la legge è venuta dopo uno scontro molto duro che ha fatto parlare per anni il Paese di psichiatria; è per voi che è stato un fulmine a ciel sereno. Noi ve lo dicevamo, gridavamo al lupo, al lupo!, e voi non ci credevate; poi è venuto il lupo davvero e voi vi siete sentiti traditi. In questa situazione io dico: benissimo, è inutile cercare il colpevole, costruiamo una situazione nella quale possiamo insegnare agli studenti che c’è un’altra medicina, la medicina del povero, non di quello senza soldi, ma del povero che ha la necessità di avere una risposta nuova che non sia quella istituzionalizzata del manicomio o dell’ospedale, ma una risposta reale ai suoi bisogni.

Questo noi vogliamo dall’università e vi diamo tutto il potere che volete; vi chiediamo che diate delle delucidazioni, ma vi chiediamo anche che insegnate qualche cosa di quello che oggi non si insegna: questo mi pare estremamente importante.Il problema della formazione per me è uno dei problemi fondamentali per l’applicazione della legge, perchè se avremo dei tecnici che sanno quello che fanno, potremo applicare la legge; se avremo dei tecnici che difendono la corporazione medica, la legge non potrà essere applicata, perchè ai tecnici non importa nulla della sua applicazione. I tecnici fanno professione privata nel pomeriggio nel loro ambulatorio; questo interessa i tecnici, perchè questa è la loro identità. Allora modifichiamo la visione delle cose nella pratica e solo così noi possiamo ottenere un risultato pratico: è questa la cosa essenziale per modificare la formazione.

Guardiamo le situazioni avanzate che sono tre e forse altre (Trieste, Arezzo, etc…): sono situazioni nelle quali noi abbiamo fatto una università, noi abbiamo insegnato come si gestisce e come si distrugge un manicomio, abbiamo insegnato come si può affrontare diversamente la situazione. Abbiamo dovuto supplire alle mancanze dell’università; eppure non siamo dei missionari, non siamo dei santi, siamo soltanto delle persone che vogliono cambiare la situazione di una società che sta già mutando e, siccome siamo tecnici, vogliamo come tecnici essere al servizio di chi ci chiede una risposta pratica, una risposta reale. Da questo punto di vista uno dei difetti maggiori della legge è che non abbiamo i medici, non abbiamo gli infermieri, non abbiamo le assistenti sociali che vogliono applicare la legge; la legge si applica se c’è la volontà politica di applicarla e qui sembra che ci sia (almeno da quello che si dice). C’è una situazione di cambiamento della figura del medico, non perchè si metta un’altra gabbana, ma perchè cambia veramente quando si conforma a quella che è la situazione della base, e mi pare che ciò sia molto importante. L’assessore Galastri dice che è stato attore di decine e decine di riunioni; io direi che queste sono vere riunioni scientifiche, non quelle che fanno i medici chiusi nella loro “turris eburnea”, dove si scambiano le esperienze decidendo se questo farmaco è più buono dell’altro, se fare questa o l’altra terapia.

Siamo qui in una situazione di gestione politica che è mutata, perchè oggi i politici si presentano al pubblico non su ideologie ma su pratiche; questo è il cambiamento della politica: discutere su pratiche reali, che mi pare sia molto importante. Non è importante invece, per esempio, quello che è avvenuto giorni fa a Trieste dove i ginecologi italiani si sono riuniti per discutere sull’applicazione della legge sull’aborto; nessuno sapeva niente, tutto è avvenuto in segreto perchè un’altra volta ancora è la corporazione medica che decide come cambiare. Questo noi non vogliamo; noi diciamo che la legge si applica secondo quelli che sono i problemi ed i bisogni di una società che cambia, e se non agiamo così non faremo niente, non faremo altro che riciclare una situazione vecchia.

La situazione italiana della trasformazione psichiatrica non è nuova nel mondo; non siamo stati i primi e molto prima di noi altri Paesi europei hanno iniziato la trasformazione psichiatrica, l’Inghilterra e la Francia ad esempio. Il problema è però che questi Paesi hanno iniziato quest’azione di trasformazione con delle leggi fatte dagli psichiatri, leggi che non hanno avuto alcun consenso popolare, che non hanno avuto nessuna discussione popolare e che sono state l’espressione pseudo-democratica della volontà dell’elettorato. Prendiamo, per esempio, la Francia: è stata una delle prime nazioni che ha parlato di lavoro sul territorio, ma lavoro sul territorio senza, però, l’abolizione dei manicomi; ebbene oggi in Francia ci sono 120 mila internati nei manicomi, quindi la situazione di organizzazione settoriale e territoriale non funziona.

In Italia, Misiti diceva che in un anno e mezzo di applicazione della legge abbiamo diminuito di 10 mila circa i ricoverati: da 52 mila siamo scesi a 42 mila; questo è molto importante e vuoi dire che c’è stata una risposta valida, c’è stata una struttura politica perlomeno che ha risposto e, direi, una minoranza di tecnici che han voluto continuare una opera di trasformazione. E molto importante il confronto con l’estero, perchè l’Italia è un Paese molto provinciale; noi pensiamo di andare a vedere sempre cosa si fa all’estero, se si fa bene o si fa male, che cosa succede. Abbiamo anche utilizzato situazioni che venivano dall’estero, come la comunità terapeutica, etc.; le abbiamo usate, poi le abbiamo scartate ed abbiamo offerto delle situazioni pratiche attraverso le quali era possibile vedere che si poteva eliminare il manicomio e si poteva creare una organizzazione alternativa territoriale: Arezzo, Perugia, Trieste ne sono una prova.

Noi quando lavoravamo, specialmente all’inizio, avevamo un problema molto grosso: quello delle alleanze, attraverso le quali portare avanti il discorso pratico. Non è stato facile e le alleanze si sono trovate nei riferimenti più giusti, più leali, cioè nei gruppi politici che esprimono una base reale che vuoi cambiare; da questo punto di vista è stato importante ciò che queste esperienze anticipatorie hanno dimostrato. E giusto ora che anche queste esperienze muoiano; hanno dimostrato qualcosa, ma adesso ci deve essere la generalizzazione di queste esperienze e tutta l’Italia dovrebbe muoversi in questa direzione. Ci sarà chi farà meglio e chi farà peggio; non c’è una formula assoluta, ci saranno le diversità relative alla situazione socio- politica del posto, ma l’indicazione della legge sarà comunque importante per trovare una soluzione.

Altro problema essenziale, oltre quello della formazione, è il problema della volontà politica. E il problema della riforma psichiatrica e della riforma sanitaria: oggi tutti noi tecnici e politici riceviamo continuamente delle proteste da parte dei familiari perchè devono tenersi il nonno demente o il figlio folle a casa, senza nessun aiuto. Ebbene io dico che questi familiari hanno perfettamente ragione; sono persone che devono avere una risposta alle loro domande di assistenza, come deve avere una risposta la madre perchè il figlio è gravemente ammalato.

Questa risposta però non viene per opera dallo “spirito santo” e non cade come la manna dal cielo; viene nel momento in cui si organizza qualche cosa che può essere una risposta, ma un qualche cosa che non deve essere una risposta istituzionalizzata come prima. Noi dovremo creare dei centri, delle istituzioni di aggregazione che diano di volta in volta una risposta diversa alla persona che viene a chiedere qualche cosa, e non possiamo limitarci a dire che i manicomi non ci sono più (a parte che ci sono ancora e li abbiamo visti).

Il prof. Misiti ha detto che le Province italiane hanno il 42% di situazioni organizzative esterne, però sappiamo anche che questi centri non funzionano e che danno solo delle medicine. Noi invece dobbiamo dare una risposta precisa e non istituzionalizzata alla famiglia che soffre, perchè oggi si è scoperto che non è il singolo malato che sta male, ma è una famiglia, un gruppo che è in crisi, e noi dobbiamo dargli supporto in queste situazioni, una risposta reale a questi problemi: tutto questo si fa creando una organizzazione che non medicalizza, non psichiatrizza, una organizzazione aggregativa democratica di un Paese.

Giunto a questo punto io penso che la riforma sanitaria – in quello che riguarda la psichiatria – deve continuare ed arrivare al termine della sua situazione. Situazione non gestita dagli psichiatri, ma dalla critica della base, perchè gli psichiatri si devono convincere che la loro corporazione è al servizio della popolazione, non di se stessi.

Vorrei terminare ricordando una fiaba, quella di Biancaneve e dello specchio: è quello che succede o succedeva allo psichiatra ogni mattina quando entrava in manicomio e si specchiava, chiedendosi chi era il più bravo psichiatra del reame, e lo specchio rispondeva sempre: tu, tu, tu. Poi è successo che lo specchio si è rotto e su di esso sono apparse delle facce nuove, indifferenziate, miserabili; quindi la situazione si è sporcata e Io psichiatra non sapeva più cosa fare. Noi ci troviamo in questa situazione: lo psichiatra non ha più identità ed è nella anonimia totale, io direi che è ora di buttar via lo specchio e di sapere cosa si deve fare.

ANTONIO BALESTRIERI

Non pensavo di dover entrare in polemica e mi ha sorpreso questo attacco di Basaglia, con il quale ho sempre avuto degli ottimi rapporti personali. Premetto che mi ha colpito il fatto che egli, avendo anche detto che bisogna cercarsi delle alleanze (e lui le alleanze certamente le ha sapute trovare molto bene), senta tuttora il bisogno di identificare in maniera così precisa, acuta ed aggressiva dei nemici, tra i quali l’università sembra essere tuttora quello che tiene il punto focale.

Premetto pure che io, tra l’altro, non sono qui a Mantova per rappresentare l’università: io rappresento la Società Italiana di Psichiatria, che tra i suoi mille soci ne ha un enorme maggioranza che è ospedaliera. Ed il prof. Sarteschi, citato dal prof. Basaglia, si è dimesso dalla S.I.P. per protesta contro la mia posizione di presidente della Società per l’atteggiamento che io ho assunto nei riguardi della legge 180.

Basaglia mi cita sempre tre esempi di centri ospedalieri dove si è fatto una nuova psichiatria. Benissimo, io posso anche citargli tre o quattro posti universitari, dove si è perlomeno cercato e si cerca di fare altrettanto, nonostante che la legge non ci abbia favorito.

Potrei dire che tre o quattro posti universitari rispetto a 20-25 università sono più di tre posti ospedalieri rispetto a una novantina di province, dove c’è un sistema ospedaliero ancora arretrato. Quindi cerchiamo di cambiare noi, tanto come sono cambiati gli altri.

Credi a me, Basaglia: l’università non è più quella da cui sei uscito tu, 20 anni o 30 anni fa, per andare a Gorizia, dove hai ricevuto lo shock ospedaliero. L’università è cambiata, o sta cambiando, e dobbiamo cercare di modificarla, perchè è importante e lo hai detto anche tu.

L’università deve avere le sue funzioni; e come può avere queste funzioni, se vuoi addirittura vietarle di esistere? Oggi, ad un certo punto, hai detto che l’università serve a preparare i tecnici; ma io ti ho sentito dire altre volte che le cliniche universitarie vanno abolite con tutti quelli che ci sono dentro. Avevo capito od ho capito male, insomma bisogna che ci spieghiamo su questi punti; se l’università deve servire ad elaborare una cultura e deve dare il suo contributo, bisogna che la lasciamo esistere e non dobbiamo farle la guerra cercando di impedirle di fare quello che devono fare tutti. Noi vogliamo fare quello che fanno gli altri, con i nostri particolari atteggiamenti od orientamenti. Non siamo nè migliori, nè peggiori degli altri; non prendiamoci come capro espiatorio e non mettiamoci in mente che se le cose andranno male, sarà stata colpa dell’università. Altrimenti siamo di nuovo sul discorso dei nemici e dei paranoici, dei paranoici e dei loro nemici: e restiamo tutti su posizioni false e sbagliate. 

LUCIANO FORNI

È stato accennato al problema della costituzione della commissione ministeriale. Ecco, io non voglio entrare nel merito della sua composizione e desidero solo dire che il Parlamento ha chiesto di essere informato sul criterio della formazione della commissione da parte del Governo, il quale -riservandosi il potere discrezionale che gli è proprio in materia di composizione di commissioni consultive – non ha finora dato una risposta in merito. Il Parlamento, dunque, non è stato in grado di fare una valutazione in ordine alla composizione, però una cosa è certa e vorrei sottolinearla qui: la commissione ha lo scopo di fare una indagine conoscitiva sull’applicazione della legge 180 o meglio della riforma sanitaria per quanto riguarda gli aspetti della psichiatria; non ha affatto il compito di proporre delle modifiche alla legge 180, perchè è evidente che questo potere spetta al Parlamento, il quale sarà in grado di valutare i risultati che questa commissione esporrà tramite il Ministro della Sanità. Io non credo che si debba dare per scontato che questa commissione governativa è stata fatta per “esaminare” la legge e per vedere come modificarla; è-una commissione che deve solo riferire sullo stato di applicazione della 180 ed individuare quali sono le carenze ed i motivi di riflessione, non certo per proporre delle modifiche.

Resta chiara la volontà del Parlamento di essere autonomo in queste decisioni e penso che non delegherà a nessuno quella che sarà una decisione scaturita dai dati che verranno forniti e da un dibattito che sarà fatto. A questo proposito, il fatto che le forze politiche mantengano su questo punto la solidarietà e l’impegno, che avevano posto al momento dell’approvazione della legge, è pure una cosa significativa, e non è senza senso che – pur di fronte alle critiche da parte di alcune forze – si continui a riaffermare la validità di questa legge e la necessità dell’applicazione della riforma sanitaria.

Questo è un dato positivo, nato in una situazione politica diversa da quella attuale, ma che continua almeno su questo punto a vedere i gruppi politici ed il Parlamento fare lo sforzo per convergere, per non distruggere quel patrimonio positivo che è la legge di riforma sanitaria. E una delle poche riforme importanti che sono state attuate dopo la Costituzione e che è stato possibile approvare perchè con molto senso di responsabilità le forze politiche si sono trovate d’accordo. Io non credo che, essendo mutata la condizione politica, bisogna vanificare lo sforzo che è stato fatto; semmai occorrerà creare condizioni politiche tali che consentano di applicare con lo stesso rigore e con lo stesso impegno quella legge che tutti abbiamo voluto.

Come codicillo, voglio toccare un problema, che non è stato accennato, ma che io ho sollevato più volte in Parlamento: quello dell’avvio obbligatorio al lavoro di coloro che sono chiamati nella legge 118 i minorati psichici, problema eluso finora dalle leggi dello Stato. Noi dobbiamo insistere perchè attraverso le Regioni – utilizzando quegli esperimenti piloti che anche il Ministero del Lavoro finalmente consente – si arrivi ad un inserimento, compatibile con le condizioni di salute e con il tipo di azienda, anche di questi soggetti minorati nel mondo del lavoro, perchè dire che si inseriscono nella comunità e contemporaneamente pure nel mondo della produzione significa porre il problema in modo molto più corretto. Noi siamo su questa strada e va percorsa fino in fondo, anche se si trovano delle grosse difficoltà che non sono solo tante volte quelle dei medici, o solo di alcuni medici; troviamo difficoltà anche in qualche organizzazione sindacale, quando esaspera il problema della inamovibilità del dipendente, e questa legge si può applicare solo attraverso una mobilità del personale, che certo va contrattata con il sindacato, ma che ci deve comunque essere.

FRANCO BASAGLIA

Io ho detto “l’università” e non ho detto “il prof. Balestrieri”: è evidente che tu tenti di cambiare le cose. Sul problema dell’università, in genere, credo che nessuno possa dire diversamente da quello che ho detto io.

I medici che escono dall’università, infatti, sono persone inusabili sia negli ospedali psichiatrici che nei servizi territoriali; sono persone inusabili, perchè hanno un modello medico anche per quello che riguarda la psichiatria e non possono capire come è una situazione di gestione psichiatrica alternativa: questo è il discorso che facevo e, quindi, direi che questo dovrebbe essere qualche cosa che entra nel problema dell’università. La difesa, inoltre, che gli universitari hanno fatto dei posti letto, che la legge in maniera equivoca da e non da, dimostra che l’università difende il modello medico, cioè non accetta il problema sociale che la legge porta all’interno della medicina.

Il problema del sociale che entra all’interno dell’università, all’interno della medicina, è qualche cosa che non viene accettato dall’università; le persone che appartengono alla commissione scelta dal Ministro, per dire il proprio punto di vista sulla legge, ne sono la dimostrazione.

Io dico: allineiamoci, facciamo quadrato insieme, però sulla situazione che muta. Noi abbiamo mille errori, però apriamo il problema e creiamo una situazione nella quale la formazione cambi radicalmente, altrimenti non può essere applicata nè la riforma sanitaria nè la riforma psichiatrica.

MAURIZIO LOTTI

Non ho alcuna intenzione, e non ne sarei nemmeno in grado d’altronde, di trarre delle conclusioni da questo convegno.

Voglio solamente considerare il fatto che la battaglia politica e culturale per l’affermazione della riforma non è conclusa. Il dibattito stesso ha evidenziato quanto e come tale battaglia deve continuare, potendo contare sul protagonismo delle forze del movimento democratico e del rinnovamento, e quindi dei partiti politici, dei sindacati, degli amministratori, degli operatori socio-sanitari.

Il movimento per la liberazione dei malati di mente è movimento che incontra dure resistenze e il cammino che ci sta di fronte è irto dì ostacoli: per poter conseguire la vittoria è indispensabile l’apporto di tutti. Se su questo piano il convegno di Mantova ha dato un contributo, come a me sembra abbia dato, si può dire che esso è stato utile e quindi opportunamente promosso.

Rivolgo di nuovo a tutti i partecipanti al convegno un sincero grazie, un augurio di buon lavoro ed un cordiale arrivederci.

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