di Maddy

Tempo fa, a causa della mia esperienza di condivisione con i sofferenti psichici, definii queste personalità: luci della sera; questo perché individuavo nella singolare particolarità caratteriale che mi sembrava li accomunasse, un’indole smarrita e al contempo fragile e contemplativa, in alcuni mista a rabbia, in altri all’abbandono e alla rassegnazione, ma sempre unita ad uno sguardo superiore e delicato di speranza che si intravedeva nel loro modo di” esserci” e di mostrarsi agli operatori del settore configurando quella specifica linea di condotta simile appunto ad una soffusa e mortificata, a volte, luce del tramonto. Dico mortificata perché per mia esperienza diretta ed indiretta ( mio zio era direttore dell’O.p.g. di Napoli ) ho potuto formarmi un’opinione personale sulla psichiatria moderna e sui dolorosi retaggi di quella del passato che ora cercherò di delineare a brevi tratti. Iniziamo con coloro che nel loro comportamento “deviante” esprimono chiare note di aggressività e di rabbia , partendo dal presupposto che la malattia psichica, date le conoscenze ancora limitate nel settore neuropsichiatrico, si limita tuttora ad una pratica condotta quasi sempre con approssimazione ossia per prove ed errori. Le terapie effettuate con farmaci, idolatrati dai medici come panacee e subiti dagli ammalati i quali invece ne sperimentano gli effetti non sempre positivi, causano nella maggior parte dei casi un significativo scompenso delle facoltà percettive ed emotive, umiliando la libertà di piena e lucida espressione del sé. Mi si dirà che ciò è necessario per arginare i mali di un comportamento deviante ma fino a che punto mi chiedo, inibire l’azione è il minore dei mali? Credo piuttosto che ciò sia dovuto all’impotenza dei professionisti nel campo ad affrontare patologie classificate con nomi altisonanti ma difficilmente diagnosticabili nella pratica. Se poi riflettiamo su quali possano essere i validi parametri di giudizio per identificare l’anormale o meglio il “diverso” dal “normale”, il discorso si fa spinoso. Se dunque come è emerso, la questione dell’analisi psichiatrica è così problematica, cosa può rappresentare veramente un riferimento da cui partire che sia inizio ed epilogo della cura dei sofferenti psichici? Credo che la risposta sia: il paziente. Non c’è ombra di dubbio che la diagnosi non deve essere costruita se non in seguito ad un attento esame basato sulla libera individuazione nell’esternarsi, delle sintomatologie e delle caratteristiche e motivazioni profonde delle sofferenze dei pazienti. Ciò implica la comunicazione che individuo come elemento fondamentale ed imprescindibile tra operatore ed ammalato, all’inizio, durante e poi alla fine del rapporto. Sì perché mi auguro che vi sia sempre una fine del rapporto giacchè l’obiettivo della psichiatria dovrebbe sempre essere il recupero totale o nel peggiore dei casi parziale, del sofferente. La pratica del recupero non può essere scissa dal rispetto per la dignità umana del paziente, dalla correttezza e premurosa coerenza, apertura e disponibilità da avere nei suoi confronti, in una parola dall’amore per colui che è in difficoltà. Questo esclude e stigmatizza in toto tutti gli interventi coercitivi, superficiali, inadeguati e mortificanti l’integrità del paziente fino ad essere lesivi per la sua persona. Eppure da quanto appare tuttora questi comportamenti nei confronti dei sofferenti psichici sopravvivono come scandaloso retaggio di una pratica professionale che dovrebbe essere ormai completamente superata e che invece rivive “dimenticata” ed indisturbata in alcuni reparti di intervento ospedaliero e negli O.p.g. diffusi sul territorio nazionale. Ricordiamoci della nostra precipua qualità di esseri umani imperfetti che ci accomuna agli ammalati psichici ed individuiamo in questa comune appartenenza ad un genere il punto di partenza per un atteggiamento alla pari ,nel rapporto operatore paziente, veramente positivo e proficuo. Auguriamoci che le luci della sera non vengano svilite nell’importanza dell’esserci che giustifica in sé il loro diritto alla vita dignitosa e felice come per ognuno di noi, giacchè già abbastanza mortificate dalla sofferenza che accompagna la malattia. Lavoriamo tutti per abbattere il pregiudizio che queste patologie generano, tuttora spesso negli stessi professionisti del settore, esorcizziamo ogni tipo di atteggiamento punitivo nei confronti degli ammalati, evitiamo di vivere nell’emergenza, ridiamo serenità al rapporto medico–paziente e sviluppiamo le attività accessorie di riabilitazione psichica e non solo quelle coercitive e di isolamento. Inoltre ed in chiusura, mi auguro anche che la ricerca fisiopatologica sull’attività del cervello umano, si incrementi e compia passi in avanti. Buon lavoro a tutti gli operatori del settore e una speranza per i pazienti di effettuare un tranquillo percorso di recupero affinché possano brillare pienamente, non più come timide fiammelle ma come fuochi di mezzogiorno…

1 Comment

  1. Mi piace molto la definizione di Maddy, dei sofferenti psichici come LUCI DELLA SERA. Luci che illuminano la sera, e che vanno ascoltate, e ,se si comprende appunto che non sono altro che luci della sera., si può ritrovare un rapporto si serenità di accoglienza, che fa rinascere fiducia e volontà di comunicare

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