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Due suicidi occupano gran parte dei miei pensieri da stamattina. Entrambi richiedenti asilo poltico a cui avevano negato ricorsi e appelli. Uno, estremamente mediatico, avvenuto a Venezia nel Canal Grande e di cui parlano in tanti. L’altro, nel silenzio di un bosco, senza il clamore del grande pubblico e/o polemiche (gratuite e collaterali) sul cinismo dei presenti.
Misurare da vicino questi due eventi, così simili nella loro essenza e così diversi nella loro resa mediatica, mi provoca scompensi e acidità gastrica da questa mattina. Ma pensare che a 22 anni si possa decidere di morire perché il futuro che si ha davanti è troppo spaventoso per essere affrontato è qualcosa che mi smonta dentro, e che non riesco a imputare solamente alla debolezza di quei due poveri ragazzi. Perché in qualche modo le loro paure non nascevano solo da quello che sentivano dentro, ma anche da quello che si trovavano intorno: una realtà che tutti noi (nessuno escluso) contribuiamo a edificare ogni giorno con le cose che diciamo e facciamo.
Che la terra vi sia lieve: vorrei riuscire a credere nella reincarnazione per potervi augurare una prossima vita, più umana e dignitosa. Ma non ci credo.

[Riflessione di Carlo Miccio del 26 gennaio 2017]

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