festival_mattiGli anni è il titolo di uno straordinario libro di Annie Ernaux, un romanzo-mondo, come ha detto qualcuno, in cui privato e collettivo scivolano e si confondono l’uno nell’altro, il memoir di un’epoca e quello di una vita che ne fa parte.

Abbiamo pensato che fosse il titolo perfetto per il nostro decennale, a guidare una riflessione su ciò che il Festival dei Matti è stato finora ma soprattutto sugli antefatti, i fatti e i legami generazionali che ne scrivono le ragioni, le ambizioni, i desideri e che lo abitano.

Una specie di bilancio di questa nostra scommessa culturale, ma anche un fermo immagine sul senso di rarefazione di quelle trame di pensieri e gesti che a partire dagli anni ’60 hanno rovesciato i saperi e le pratiche che si incarnavano nei manicomi, si condensavano nelle innumerevoli sentenze di condanna della follia, della diversità, della devianza e che ancora attanagliano uno sterminato esercito di uomini e donne in ogni parte del mondo. Il decimo Festival dei Matti vuole domandarsi come restituire futuro a quelle trame che oggi sembrano sfaldate, contratte e irrigidite e che, nel racconto quotidiano, sono fatte a brandelli dal passaparola, dalle semplificazioni, dai disancoraggi strumentali, dalle brame identitarie. Una storia a rischio liturgia per tutti quelli che si sforzano di esserne parte, noi compresi.

Gianni MontieriPer queste ragioni, con la decima edizione del Festival dei Matti Gli anni. Legami di generazioni vogliamo tornare a interrogare le parole, a ricucire memorie, a ricostruire i gesti e gli scarti tra questi e gli oblii, i silenzi, le distanze. Lo faremo allargando i contesti, spostando gli sguardi, esercitandoci al pensiero critico, alla trasparenza, alla politica, al respiro del diritto.

La prima giornata, venerdì 24 maggio, patrocinata e accreditata come evento formativo dall’Ordine degli Avvocati e dalla Camera Penale di Venezia, partirà proprio da qui, dall’intreccio che lega in modo indissolubile la nostra salute (non solo mentale) e la pratica dei diritti.

La mattina, l’incontro di apertura Diritti distorti è anche una tappa della Conferenza Nazionale per la Salute Mentale che approderà a Roma a metà giugno – e vedrà coinvolti Mauro Palma, Stefano Cecconi, Gisella Trincas, Antonella Calcaterra, tecnici, familiari, società civile per parlare dell’allerta e dell’impegno necessari a evitare che le tutele si traducano ancora in sottrazione di diritto per chi è segnato da una diagnosi psichiatrica: nelle residenze per le misure di sicurezza, nelle comunità psichiatriche, nei trattamenti sanitari obbligatori, nella contenzione, nelle prescrizioni farmacologiche arbitrarie, in servizi del tutto incapaci di fare salute mentale.

Il pomeriggio sarà interamente dedicato al pensiero di Franca Ongaro Basaglia e alle sue riflessioni su follia e normalità, salute e malattia, donne e uomini, sapere e potere, discipline e diritti. Sarà un confronto tra generazioni: Serena Ambrogi, Giorgia Chinellato, Alice De Santis, Leopoldo Zampiccoli, Riccardo Ierna, Anna Poma, Maria Teresa Sega e Gisella Trincas, studenti e persone che hanno conosciuto e si riconoscono nella voce di una delle più importanti protagoniste delle battaglie civili del secolo scorso. Un omaggio a una voce cruciale del nostro tempo condiviso a cui il regista Mattia Berto dedicherà anche una corale messa in scena, un’azione di quel teatro di cittadinanza che da tempo incrocia il festival e fa laboratorio dei suoi temi.

La sera l’appuntamento è al cinema Rossini, con la proiezione del docufilm Portami su quello che canta. Storia di un libro guerriero ricostruiremo la vicenda storica, umana e dibattimentale del processo, avvenuto negli anni ’70, a un noto psichiatra accusato di maltrattamenti sui propri pazienti. Processo storico in cui per la prima volta i matti vengono chiamati a testimoniare, finalmente riconosciuti come soggetti di diritto.

Ne discuteremo quindi con i registi Marino Bronzino e Claudio Zucchellini, avvocato del Foro di Monza, confrontandoci su argomenti che, nonostante la legge 180, restano aperti nella pratica del diritto, ancora troppo disponibile a recedere dinnanzi ai pareri della clinica.

Sabato 25 maggio, di mattina, al teatrino di Palazzo Grassi, il giornalista Sergio Buonadonna incontrerà Björn Larsson, per una conversazione intorno a La lettera di Gertrud, ultimo romanzo del noto scrittore svedese. Una storia sulla genesi della nostra identità: di cosa siamo fatti, cosa ci definisce, cosa c’è in gioco nei nostri legami di sangue? Quante storie mute ci attraversano restando inavvertite e quante ci scalzano risucchiandoci in un destino comune, segnato, talvolta in una dannazione collettiva o familiare? Possiamo scegliere chi essere a dispetto delle appartenenze avute in sorte o decretate da un giudizio d’esclusione?

Le bugie della memoria è il titolo dell’incontro delle 16.30, con Antonella Cilento e Anna Toscano sulla scrittura e sulla poetica di due autrici che sono state alle prese con il peso enorme della storia, con le bugie e i naufragi del tempo, con lo sfaldamento di identità private e collettive: Agota Kristof e Fabrizia Ramondino.

Nel tardo pomeriggio saranno Massimo Cirri, conduttore di Caterpillar, e Denis Curti, direttore della Casa dei Tre Oci a dialogare con Letizia Battaglia, tra le maggiori fotografe contemporanee, in mostra con una personale nel bel palazzo all’isola della Giudecca. Attraverseremo con loro La scena degli anni (i settanta, gli ottanta e i decenni successivi) vicini ai corpi, ai gesti, agli sguardi che le magnifiche foto di Letizia Battaglia hanno immortalato, raccontando le strade, il carcere, il manicomio, ma anche il pathos di un impegno civile e di testimonianza che sta in prossimità di chi guarda e lo incontra davvero. Una scena fatta di tragedia, contraddizioni, bellezza, di pianti e di risate che non vogliamo smetter di sentire.

La sera sarà il legame e il debito che sentiamo di avere con Fabrizio De André a prendere la scena. Con Dori Ghezzi e Francesca Serafini dialogheremo della sua musica e delle sue parole che ci troviamo ancora cucite addosso, di ragioni e sragioni, del risvolto cupo di un mondo in cui il canto della follia sembra il solo a offrire varchi, di sguardi stralunati che vedono davvero. Le anime salve in terra e in mare lo siamo tutti quanti o nessuno. Parleremo della bellezza e del dazio del prendersi molto, troppo o del tutto sul serio che forse è la vera cifra di ciò che chiamiamo follia come insegna Franco Rotelli, uno dei principali collaboratori di Franco Basaglia.

La mattina della domenica, in Campo Santa Margherita a un passo dalla Libreria Marco Polo, parleremo di libertà nei legami. Dove cerchiamo oggi la libertà, da che cosa pensiamo che ci si debba liberare per guadagnarla fino in fondo? Cosa c’entra tutto questo con la nostra salute mentale? Pietro Del Soldà, scrittore e conduttore di una trasmissione radiofonica che interpella ogni giorno “tutta la città”, ovvero chiunque voglia esprimere il suo parere su ciò che accade, e Chiara Saraceno, acutissima sociologa e studiosa del contemporaneo. Con loro proveremo a domandarci dove si annida la sofferenza che ci attanaglia così diffusamente, in quali strategie di vita, in quali dispositivi sociali che governano i nostri pensieri e piegano il nostro sentire. C’è una libertà fuori dai legami sociali? E cosa ce ne facciamo? A quali legami dobbiamo chiedere la libertà, a quali appartenenze? Cos’è la famiglia, quale forma le si addice? Cosa genera salute mentale nell’incrocio tra noi e gli altri, quelli prossimi e quelli più distanti? Cosa c’entra la cittadinanza in tutto questo?

Il pomeriggio, al Teatrino e Parco Groggia, prenderà il via con un monologo di e con Paolo Puppa, La lettera (impossibile) di Dino Campana a Sibilla Aleramo, che ricuce l’ordito di un amore fattosi preghiera a invocare la vita da dietro le sbarre di una prigione sanitaria, spietata e senza via d’uscita.

Ancora di internamenti parleremo alle 17 con Karen Venturini, autrice di Melanconia con stupore, un centinaio di ritratti di donne internate tra il 1870 e il 1890 nel manicomio Osservanza di Imola. Ritratti fiabeschi eppure realissimi che muovono dalle tetre istantanee di tessere di riconoscimento che potevano soltanto misconoscere, occultare, cancellare. Brevi viaggi sul dorso di parole sempre uguali – mania, furore, imbecillità, melanconia – fatte apposta per far natura morta di vite giovanissime eppure insostenibili e oscene, viaggi interrotti bruscamente non prima però di aver restituito alle storie il possibile di cui sono state per sempre derubate.

Alle 18 sarà l’incontro tra Gianni Montieri e Andrea Pomella intorno al suo ultimo libro, L’uomo che trema, a riportarci nel contemporaneo, alle parole nuove e implacabili della clinica, ai suoi rimedi chimici che saturano di senso unico chi se li sente attribuire, placano per sottrazione e trattano per svuotamento. Ma sopratutto a raccontarci quello che il silenzio tiene fuori dalla scena: la vertigine di una soggettività che perde il mondo e stordita dal dolore si cancella senza forza di resistere; fino a che la vita non riaggiusta il tiro e torna a far rumore, a riempiere le assenze e a far smettere di tremare.

Sarà infine Baby il folgorante racconto di Susan Sontag interpretato da Mattia Berto e Anna Toscano, a chiudere il festival, dando corpo al paradosso del nostro starci accanto, persino genitori e figli, nel perenne vacillare di quello che sappiamo dire, vedere, incontrare l’uno dell’altro anche quando chiediamo disperatamente alla tecnica di sciogliere l’enigma. A cavallo tra follia e normalità, sempre e comunque insieme sulla scena degli anni, che in fondo sono solo legami di generazioni.

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