12 aprile 2025, Roma. Seminario: La libertà è terapeutica, la responsabilità è terapeutica 

di Loredana Di Adamo

Evento promosso dal Coordinamento Nazionale Salute Mentale per favorire prospettive di riflessione e di lotta su Rems, carceri, servizi di salute mentale

Raccogliendo le riflessioni e le proposte emerse dalla Conferenza Nazionale Salute Mentale che si è svolta a Roma il 6 e 7 dicembre 2024 (con circa 752 persone presenti), il 12 aprile si è svolto a Roma il seminario La libertà è terapeutica, la responsabilità è terapeutica. No a manicomi e Opg, vecchi e nuovi. Prospettive di riflessione e di lotta su Rems, carceri, servizi di salute mentale a cura del Coordinamento Nazionale per la Salute Mentale. 

Questo l’obiettivo: in un panorama politico e culturale in cui ancora una volta si avanzano soluzioni che identificano la presa in carico con l’offerta di posti letto e di forme di internamento, promuoviamo questo seminario con un duplice obiettivo:

  1. contrastare gli orientamenti governativi attuali e la proposta della Commissione mista del CSM sulle Rems che mette in discussione la legge 81 che ha chiuso gli OPG e vuole tornare alla logica manicomiale, perfino proponendo strutture speciali per le persone definite con il termine disumano “gli inemendabili”, piuttosto che abolire la “irresponsabilità” della non imputabilità;
  2. identificare azioni di lotta e proposte politiche che contrastino il grave degrado delle carceri e le insufficienze di gran parte dei servizi di salute mentale, e valorizzino le pratiche esemplari che esistono e resistono, e che dimostrano non da oggi un altro possibile. (Dal sito del Coordinamento CONFERENZA PER LA SALUTE MENTALE – diritti libertà servizi)

L’evento ha visto la partecipazione rappresentanti di associazioni e organizzazioni. Sono stati circa 130 gli iscritti, di cui 40 persone presenti e 90 collegate on line. Il seminario si è svolto con interventi, non strutturati, che hanno posto al centro la responsabilità di riportare al centro il bisogno delle persone, con particolare attenzione per le persone private della libertà e per quelle che vivono l’esperienza della sofferenza mentale.

All’apertura dei lavori, Stefano Cecconi, componente del Coordinamento nazionale per la Salute Mentale, ha descritto la profonda crisi che sta investendo la psichiatria, e più in generale la nostra società, complice il disinvestimento della politica e la mancanza di risorse nei servizi di salute mentale, dove la molteplicità delle criticità presenti fanno avanzare l’idea che l’unica soluzione al disagio vissuto sia la domabilità delle persone e il loro contenimento.

La parola passa a Maria Grazia Giannichedda, presidente della Fondazione Basaglia, che ricorda Grazia Zuffa, compagna di ideali e di impegno, scomparsa purtroppo il 9 febbraio scorso. Proprio con lei Giannichedda si era sentita qualche tempo fa dicendo quanto fosse importante, in un momento così pesante, aiutarsi a vicenda a non perdere il filo, per continuare a pensare e a fare tenendo le due cose insieme. Giannichedda rievoca alcuni ricordi dell’impegno, vissuti insieme a Franco Basaglia e a Franca Ongaro, per una società più giusta, ma sembra una storia che quasi non siamo capaci di prendere a riferimento e che sembra perdersi sempre di più nell’oblio della memoria. 

Ad ascoltare gli aneddoti della storia di Riforma, e il lungo percorso svolto fin qui, che ha animato il progresso della cultura della cura, appare chiaro come la situazione ci stia scivolando di mano. 

A evidenziare l’importanza di alcune esperienze virtuose è Vittorio Infante, psichiatria dell’Università di Roma Tor Vergata, che ha ricordato la sua esperienza nel processo di deistituzionalizzazione, nell’ex Ospedale psichiatrico di Aversa, al fianco di Franco Rotelli e Giovanna Del Giudice. “È necessario difendere la sanità pubblica”, dice Infante, “e raccontare che la legge 180 si può realizzare, perché io l’ho visto”. È importante, inoltre, costruire percorsi di cura che non siano lesivi della dignità personale, ma per fare questo è necessario che le persone non divengano “oggetto” di terapia, ma soggetti a cui rivolgere la cura. Purtroppo, la difficoltà oggi è proprio quella di vedere la connessione esistente tra salute mentale e metodiche e luoghi proposti per la cura, che spesso hanno “capacità di ammalare” più che offrire il sostegno necessario. 

Anziché pensare a modalità di cura che siano adeguate al bisogno delle persone, in un testo del Consiglio Superiore della Magistratura di recente pubblicazione, si fa appello a misure di sicurezza per gli “inemendabili”, ovvero per coloro che non sono trattabili, con un ritorno ad una logica pre-manicomiale, discriminante e lesiva della dignità personale, da cui la nostra società si è affrancata attraverso un lungo processo di impegno e di lotte che hanno portato alla Riforma psichiatrica [180/1978] e che ha consentito all’Italia di essere un modello di cura nel mondo [OMS, 2003].  

Franco Corleone, presidente de La Società della Ragione, richiama alla necessità di adoperarsi per portare dei dati utili al Governo. “Se va avanti l’idea che sia necessario stravolgere il sistema, perdiamo l’occasione di rimanere una società civile che rispetta i diritti delle persone. La linea da seguire è quella di immaginare progetti terapeutici personalizzati, agendo con le singole persone, trovando una strada che sia adeguata all’unicità di ogni storia di vita. Questo è quello che va messo in campo”.

Della stessa idea è Antonello D’Elia, presidente di Psichiatria democratica, che denuncia però la necessità di toccare gli operatori e la loro responsabilità di cura. “Spoglia di qualsiasi ambizione, la psichiatria, si concentra sulle misure di contenimento per rispondere all’antico binomio follia/violenza. Questo tradimento dell’istanza curativa di chi ha fatto una scelta di lavoro e di cura, questa complicità verso la sola burocratizzazione del ruolo (diagnosi, perizie, valutazioni, certificazioni, ecc.) deve essere interrotta. Se si parla di criticità in merito alle REMS e alle carceri”, dice D’Elia, “è indispensabile parlare anche dei CPR, luoghi di detenzione forzata dove le pratiche vedono coinvolti sia gli operatori che i medici. L’ossessione manicomiale, come risposta unica ai bisogni delle persone, ci fa rimanere vincolati alla dimensione dell’internamento, in un vuoto di contenuti. La dimensione repressiva della cultura rischia di bloccare la nostra possibilità di rispondere all’esigenza di contenere questa ondata. È necessario rendere visibile l’osceno, cioè, portare in evidenza quello che è fuori dalla scena, poiché è in gioco la questione dei diritti, di chi può esigerli e chi no, e questo non può essere accettato”.

 

Sono dentro perché fuori non c’è posto per me. Sono dentro per decoro.

Detenuto camerunense del CPR di Ponte Galleria (Roma)

Tutti concordano sull’urgenza di prendere posizione. “Bisogna farci trovare pronti”, afferma Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, “per contrastare il processo di sanitarizzazione di massa”. L’invito di Gonnella è quello di cominciare dal prestare attenzione ai luoghi pensati per la cura dei minori, dove anche gli operatori sono ormai strumento della repressione in atto. L’uso di psicofarmaci per sedare le condotte disadattive, e l’assenza di progetti di riabilitazione e di integrazione sociale rappresenta una consuetudine che va denunciata. “Farci trovare pronti vuol dire innanzitutto aumentare il livello della comunicazione pubblica, facendo rete”.

La dimensione tecnica e standardizzata, entro la quale si cercano soluzioni semplificate e in tempi accelerati, non è adatta alla cura delle persone che affrontano l’esperienza del disagio psichico o delle dipendenze. Ad affermarlo è Giuseppina Paulillo, direttrice dell’Unità operativa complessa Residenze psichiatriche e psicopatologia forense dell’Ausl di Parma, la quale riporta gli esiti positivi dei percorsi di cura effettuati in una dimensione di personalizzazione della cura. Paulillo denuncia una serie di criticità rispetto alla necessità di gestione delle situazioni complesse, come nel caso delle dipendenze, o della doppia diagnosi, le quali richiedono dei tempi lunghi di presa in carico, spesso non consentiti. La scarsità degli operatori, e la “multicomplessità” dei pazienti con doppia diagnosi, spesso minori, richiede di fare massa critica. L’invito della Paulillo è anche a fare attenzione ad alcune criticità importanti, tra cui lo scarso riconoscimento delle esigenze specifiche delle persone, come nel caso dell’autismo, la fase di passaggio dalla minore alla maggiore età, che vede una mancanza di comunicazione tra discipline e servizi. La criticità delle cure nelle situazioni complesse viene sottolineata anche da Antonella Barbagallo, del direttivo UNASAM.

Un’altra problematica, come afferma Antonella Calcaterra, referente dell’osservatorio Stop OPG e dell’Istituzione del Punto unico regionale (P.U.R.), riguarda la gestione della criticità nella fase inziale e nelle situazioni complesse, un aspetto che richiede tempi spesso lunghi. U aspetto della cura che va considerato. L’invito è a farci carico dei problemi attuali connessi ad una Riforma che è stata veloce e che va realizzata, e ad osservare i problemi legati ad una tendenza a scaricare il paziente che ha bisogno di cura, anche da parte di chi si occupa di giustizia.

Si sta tornando ad un’idea che legittimità la pericolosità sociale intrinseca alla persona con disagio psichico, e questo è un pregiudizio che deve essere contrastato. L’approccio custodialista alla cura, di fatto, fa leva sulla paura delle persone, e rischia di rappresentare l’estrema ratio in un panorama sociale e culturale in cui si assiste ad un disinteressamento rispetto alla salute mentale. 

A riferire dell’inappropriatezza dei metodi di cura è anche Tonino D’angelo, referente del Gruppo Mutuo Aiuto Famigliari Detenuti in ATSM, che accenna ai “crimini di pace” perpetrati sui più deboli (con riferimento al testo di Franco Basaglia e Franca Ongaro). L’obbligo di cura, tra cui la terapia Depot e il TSO, rappresentano oggi una realtà. Nello specifico, la terapia Depot, spesso imposta contro la volontà della persona, è diventato uno strumento di contenzione chimica. Il pensiero va nuovamente a Franco Rotelli. “Per cambiare le cose è importante recuperare il rapporto con il sociale. Le realtà sociali sono una risorsa importante, così come Marco Cavallo che aiuta a ricordare la storia e si fa portavoce della necessità e possibilità di difendere i diritti e la libertà delle persone”. 

Liana Bonelli e da suo marito, genitori di un ragazzo con disagio psichico, denunciano l’assenza dei servizi di salute mentale e la situazione di abbandono in cui versano le famiglie. Il centro di salute mentale, dice Bonelli, rappresenta il primo nucleo di aiuto, senza il quale non si può parlare di salute mentale. 

Francesco Schiaffo, esperto di diritto penale, sottolinea l’importanza del diritto alla salute così come citato nell’articolo 32 della Costituzione, in cui si parla di salute come “diritto fondamentale”.  

Art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

Unitamente al diritto fondamentale alla salute, Schiaffo evidenzia l’importanza del diritto alla vita, rimarcando la necessità di evitamento di ogni forma di segregazione e discriminazione. Schiaffo reputa drammatica la posizione odierna degli operatori, che spesso chiedono di aumentare il numero delle Rems, anziché promuovere una riflessione critica su tutto ciò che manca per fare salute mentale. A tal fine è indispensabile aumentare la consapevolezza degli operatori affinché possano ribellarsi di fronte a queste tragedie. 

A marcare l’importanza di questa azione è Franco Corleone che ribadisce il ruolo dei curanti e fa appello a una salute mentale di comunità. Il pensiero va a Franco Rotelli, e alle sue parole. “Dovremmo occuparci di più di salute mentale e meno di psichiatria trovando alleati tra gli artisti, tra i papà e le mamme, tra le famiglie, tra gli abitanti dei quartieri, insomma nel mondo della vita”. L’incontro di oggi, seguita Corleone, deve portare ad una strategia di contrasto per affrontare i problemi di una Riforma che attende di essere attualizzata, una Riforma unica al mondo, che ha portato alla chiusura dei manicomi e poi degli Opg.

La crisi dei giovani ci indica come il tessuto sociale sia degradato, mostrando la grande crisi delle relazioni sociali. Non si può pensare di rispondere ai problemi delle persone chiedendo più posti in Rems o la costruzione di strutture dove rinchiudere le persone. Rispondere ai problemi sociali, alimentando la paura del diverso, significa favorire una dimensione in cui si sta l’uno contro l’altro, senza riuscire a vedere l’importanza della connessione tra le persone, e la necessaria alleanza per il benessere comune. 

Il richiamo all’aumento di posti letto nelle Rems, per le lunghe liste di attesa, non può essere la soluzione ad un problema molto più complesso che chiama in causa la responsabilità della politica e della cultura. A sottolinearlo è Stefano Anastasia, garante dei detenuti della Regione Lazio, che si unisce alla proposta degli altri per un lavoro di raccolta dei dati rispetto alle liste di attesa in Rems nelle varie regioni, che, a dispetto di quanto si dice, possano mostrare la situazione reale, che di fatto appare positiva nella maggior parte delle regioni. Concordano con questo anche Antonella Calcaterra e Gianfranco Rivellini, direttore delle Rems del Veneto, che riportano come le liste di attesa non siano il problema. Giulia Melani, sociologa del diritto, e Katia Poneti, esperto giuridico presso Garante dei diritti dei detenuti della Toscana, suggeriscono l’importanza di rivedere i percorsi di cura per chi è sottoposto alla libertà vigilata.

La nostalgia di manicomio non si può accettare, questa la frase più ricorrente durante il seminario, con riferimento alla salvaguardia di tutte le condizioni di bisogno. 

Il problema infatti è la salute mentale, come emerge da quanto afferma Mimmo Passione dell’Osservatorio Carcere UCPI, parlando della situazione delle persone che vivono in strada, e che sono soggette ad un’aspettativa di vita inferiore. Queste persone hanno bisogno di luoghi dove vivere, invece si cercano posti dove rinchiuderli.

Gisella Trincas, presidente dell’ASARP e dell’UNASAM, dichiara la necessità di un aumento della comunicazione per una situazione ormai tragica che, purtroppo è ignorata dalla maggior parte delle persone, le quali non sanno che il nostro paese si sta trasformando in un grande manicomio. “Si sta disegnando un altro modello di società”, dice Trincas, “si attaccano i diritti di ogni persona, ridisegnando un modello che è stato sconfitto con lunghi anni di lotte. Lavorare sull’aumento della consapevolezza delle persone è urgente, e forse può essere utile creare un osservatorio che non sia solo un luogo di analisi, ma di impegno e che faccia massa critica”. 

Chiaramente è importante alimentare una connessione con più persone possibili, con i cittadini, i familiari, le organizzazioni, le associazioni, e soprattutto, come afferma Cecconi in chiusura, co il coinvolgimento dei giovani. “C’è un bisogno urgente di un cambio generazionale che invece fa fatica ad avviarsi”. 

Le iniziative come quella di oggi hanno bisogno delle forze nuove del paese, rappresentate dai giovani operatori e dalle giovani operatrici, dagli studenti e dalle studentesse, dai professionisti e dalle professioniste dei vari ambiti, dai volontari e dai familiari. Sa soli non si va da nessuna parte e c’è bisogno di coesione anche tra le diverse associazioni e organizzazioni. 

La giornata, che fa seguito alla Conferenza Nazionale per la Salute Mentale dello scorso dicembre 2024, non si chiude qui, ma si pone l’obiettivo di dare forma a quanto emerso dal confronto, a partire dalla costituzione di un testo con delle proposte da portare alle istituzioni, e da diffondere quanto più possibile.