Il mercoledì 10 febbraio sarà il «Giorno del ricordo»per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani, dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati dalle loro terre nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale del nostro paese.
Il libro di Gloria Nemec, docente e ricercatrice di Storia sociale, arricchisce le nostre conoscenze indagando uno spazio originale e finora inesplorato, analizza per la prima voltale carte dell’archivio dell’Ospedale psichiatrico provinciale di San Giovanni a Trieste. Emergono storie, tante, di uomini e donne che, dopo venuti a Trieste arrivano in manicomio. Mondi assai lontani come quelli della psichiatria asilare e dei giuliano-dalmati inurbati si incontrarono all’interno di un grande manicomio di confine: da un lato i fragili statuti epistemologici e i forti poteri della psichiatria, dall’altro l’arcipelago delle provenienze e delle variabili che indussero un’intero popolo spostarsi.
Una ricerca su come il distacco dalla propria terra e l’accoglienza riservata, nei diversi momenti storici dell’esodo, abbiano lasciato traccia non solo nei documenti d’archivio ma anche sui corpi e sulle anime di queste persone, in particolare sui più umili e privi degli strumenti necessari per comprendere e adattarsi alla difficile realtà triestina del dopoguerra. Trieste, infatti, fu uno dei luoghi più investiti dagli spostamenti di popolazione che ridefinirono il quadro demografico europeo all’indomani della seconda guerra mondiale. La città fu attraversata e accolse migliaia – i numeri parlano di circa 300.000 persone tra la fine degli anni ’40 e ’60 – di soggetti diversamente spaesati e traumatizzati. In essa si addensarono esperienze di lutti, dispersioni e perdite multiple: delle persone, delle patrie, dei beni, delle passate identità collettive. Un percorso particolare vide il manicomio come possibile ed estremo approdo.“Nelle storie che ascoltavo in manicomio, a colpirmi non era solo il dolore fermo e pietrificatonel momento difficile dell’abbandono, ma quella particolare condizione che su questo dolore sedimentava. Una volta in manicomio per resistere all’omologazione, all’unica piatta identità dell’istituzione, le persone non possono che aggrapparsi a quella loro identità sofferente e frammentata. Quasi a coltivarla. L’ascolto delle piccole storie, una sorta di pantografo, mi riportava alle centinaia di migliaia di persone che ora, sapevo bene, erano arrivate, transitate e ripartite da Trieste. Come certamente aveva fatto la mia professoressa d’inglese del liceo. Si chiamava Marina Gelletich. Noi alunni sapevamo che era fiumana. Non sapevamo com’era arrivata a Salerno e dove vivesse. Conoscere poco di lei la rendeva ancora più strana e misteriosa di quanto dicessero il suo parlare, il modo di vestire, di rapportarsi con noi. Che fosse istriana per noi non significava nulla e che forse stava abitando in un campo profughi significava ancora meno.” (dalla introduzione di P. Dell’Acqua)
Gli appuntamenti saranno due: martedì 9 febbraio a Livornoore 16.30 al ISTORECO nel Complesso della Gherardesca, via G. Galilei 40 e giovedì 11 febbraioore 17.30 a Torino sala delle conferenze ISTORETO in via del Carmine, 13.
Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine 1945-1970 edito da Edizioni AlphabetaVerlag di Merano – Collana 180 Archivio critico della salute mentale realizzato in collaborazione con con il Circolo di Cultura Istroveneto Istria.