(immagine di Ugo Pierri)
(immagine di Ugo Pierri)

Il bel lavoro del gruppo romano che leggiamo nel reportage di Cristiano Balducci per  “Internazionale” (vedi il reportage: Una casa dove chi ha disturbi mentali può ricominciare) rimanda ancora una volta al “si può fare” e all’urgenza di uscire dal buco nero delle “strutture residenziali”.

Le possibilità di fare diversamente sono evidenti da tempo.

Nel disegno di legge presentato in senato in questi giorni (Disposizioni in materia di tutela della salute mentale volte all’attuazione e allo sviluppo dei principi di cui alla l. 13 maggio 1978, n. 180. Ulteriori disposizioni per l’integrazione degli interventi a livello nazionale e locale per la promozione e garanzia della salute mentale in Italia. Vedi il testo)  si affronta, tra le altre,con chiarezza la questione dell’abitare: Abitare supportato e progetto terapeutico riabilitativo individuale.

Nell’articolo 8 comma 4,5 e 6:

4. Le Regioni e le Province autonome, tramite i Dsm, promuovono percorsi di residenzialità che privilegiano soluzioni abitative atte a promuovere nelle persone autonomia e responsabilità, a prescindere dal grado di disabilità. È favorito il ricorso ad appartamenti a bassa protezione, libere convivenze e accoglienze da parte di nuclei familiari e cittadini competenti nell’offrire contesti relazionali appropriati. Nell’ambito del diritto alla vita indipendente e all’inclusione nella società,previsto dall’art. 19 UNCRPD, è reso possibile l’abitare assistito fuori da istituzioni, e secondo adeguati livelli di vita in base all’art. 28 della stessa Convenzione, in forma individuale o in piccoli nuclei di convivenza con adeguato supporto.

5. Nell’ambito dei percorsi di residenzialità di cui al comma 4, il Dsm promuove e realizza in particolare:

a) soluzioni residenziali in piccoli appartamenti con i requisiti delle civili abitazioni, per ospitalità temporanea sulle 24 ore, gestiti da personale assistenziale ed educativo professionalmente formato in ambito psichiatrico;

b) case-famiglia, senza vincoli temporali di permanenza, con caratteristiche strutturali delle civili abitazioni, dotate di non più di sei posti-letto, gestite da figure professionali con competenze socio-assistenziali;

c) gruppi-appartamento, con caratteristiche strutturali delle civili abitazioni, dotati di non più di sei posti-letto, la cui gestione può essere totalmente affidata a pazienti e familiari organizzati in ambito associazionistico e/o secondo modelli di mutuo-aiuto, capaci di tradurre in attività di servizio il proprio “sapere esperienziale”. Nei gruppi appartamento è garantito un supporto socio-assistenziale alle attività della vita quotidiana.

Le differenti tipologie di case devono essere ubicate nei centri urbani; è vietata l’attivazione di più  moduli abitativi nello stesso edificio.

6. I percorsi di residenzialità e di abitare assistito sono posti sotto il governo clinico e il monitoraggio costante dei Csm i quali programmano e verificano l’attività terapeutica, riabilitativae di inclusione.

E all’articolo 11comma 3:

3. Le Regioni e le Province autonome disciplinano il Budget individuale di salute. Esso costituisce lo strumento principale di integrazione sociosanitaria per la realizzazione del Ptri, in particolare a favore di persone con bisogni complessi, e per la realizzazione di percorsi riabilitativi, anche temporaneamente residenziali, ma sempre volti a restituire il diritto abitativo. Prevede la valutazione multidisciplinare, che ne attesti la titolarità per finalità sociosanitarie, basata sulla complessità delle condizioni e dei bisogni, col concorso dei servizi sociali e di altri servizi competenti, con risorse definite e eventuali forme di compartecipazione dei beneficiari o dei loro familiari. Esso è realizzato in partenariato, co-progettazione, cogestione con soggetti del privato sociale e prevede adeguata articolazione degli interventi e dei supporti e una durata definita in relazione ai bisogni.

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