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di Francesca De Carolis
da www.laltrariva.net

Cinquemila rose furono piantate nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste quando, fra il 2005 e il 2010, Franco Rotelli, che era allora direttore generale della Asl, ne promosse il restauro. Altrettante ne sarebbero dovute essere piantate, ma… “sono quelle che non ci sono, se spesso alla sera d’estate nel parco non c’è ancora nessuno, se la vita vera, promessa al posto dell’orribile cosa che era lì, non è stata ancora davvero prodotta”.
Questo scriveva nel 2013 Franco Rotelli, raccontando il tempo dell’impegno per restituire alla pienezza della vita quel luogo di morta disperazione che era stato, prima della rivoluzione di Basaglia, il manicomio di Trieste. E penso ben rappresenti, il racconto de “La rosa che (ancora) non c’è”, l’anima tutta dei suoi interventi raccolti in uno degli ultimi preziosi regali che ci fa la Collana 180, archivio critico della salute mentale (Alphabeta Verlag): “Quale psichiatria? Taccuino e lezioni” di, appunto, Franco Rotelli, uno dei protagonisti della riforma psichiatrica in Italia e uno dei principali collaboratori di Franco Basaglia.
Un “taccuino” che in ventidue tappe, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso per arrivare al tempo a noi più prossimo, racconta il complesso percorso di Rotelli. Che è cammino lungo un percorso professionale e umano. Umanissimo direi, perché ogni capitolo sembra rimandare a quel gesto di piantare rose, amorevole, come il desiderio delle rose che pure si spera verranno, nonostante “l’inerzia colpevole” di chi non ha cura.
E’ uno sguardo, quello di Franco Rotelli, che si allarga su un ampio orizzonte, si interroga sui tanti volti delle “prigioni” che abbiamo costruito. Mentre tutto gira, come ben sottolinea Agnese Baini che questa raccolta ha curato, intorno all’ “idea di salute mentale come pratica di libertà”, che è quello che intanto ha permesso il passaggio dai vecchi ospedali psichiatrici alla riorganizzazione di cure e servizi.
Indimenticabile, come un pugno allo stomaco, il racconto della visita, all’inizio degli anni Novanta, al grande manicomio dell’isola di Leros, e il padiglione degli uomini Nudi e il Padiglione delle donne Nude, dove “domina incontrastata, assoluta, la Psichiatria”. “I campi di sterminio avevano una logica: la guerra agli ebrei (…), ma qui qual è la logica? Che cosa conduce a creare mucchi umani in luride tane, a determinare questi grappoli di uomini e donne coperti di stracci buttai uno sull’altro in una puzza immonda?”. Un orrore non dissimile nella sostanza, si osserva, dai manicomi della Sicilia, della Calabria, di alcune aree del milanese, dai manicomi criminali inglesi… Dopo quella visita, fortemente sostenute dalla Comunità economica europea, due équipe, da Trieste e dall’Olanda, interverranno per trasformare radicalmente il manicomio di Leros. A proposito di rose piantate e di pratiche di libertà…
Fulminante, ancora, il parallelo fra guerra e follia, che entrambe vivono di astrazioni che “le fondano, le giustificano, ne sono giustificate”. E “fa guerra l’ideologia igienistica dell’eliminazione del male, della malattia, del danno”.
Mille e mille gli spunti che nascono dalle riflessioni di Rotelli. Ricchissime.
Lo sguardo, costante, è sulla società tutta… sullo lo sviluppo di strategie per una salute mentale comunitaria e territoriale, che passa attraverso lo spostamento del centro dell’interesse dalla sola malattia, alla persona e alla disabilità sociale… sulla necessità di ri-abilitare la ri-abilitazione… sulla città che deve sapere accogliere chi ancora purtroppo oggi tende a isolare e rinchiudere… su quello che è stato fatto, quello che ancora è da fare, sugli ostacoli, le strategie…
Attualissime rimangono le riflessioni sui luoghi dove la democrazia è assente, che “in un paese autenticamente democratico” non dovrebbero esistere. Eppure, quanti ancora ne costruiamo, noi così bravi a escludere, invalidare, rinchiudere. Travestiti da luoghi di redenzione, di sicurezza, di cura, persino…
Passa, lo sguardo di Rotelli, anche attraverso la storia delle nostre carceri, come pure attenzione alle carceri sempre ne ha avuta Basaglia. Nell’84 scriveva che “da più parti si riconosce ormai che il carcere non si riformerà dal suo interno dietro le mura. Tanto meno potrà cambiare se dietro le mura ritornerà il silenzio”. E le tristi cronache di questi giorni, le immagini delle violenze subite dai detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ne sono attualissima oscena riprova. Perché dietro le mura (ed è il titolo di uno scritto del ‘92) non possono che nascere mostri.
Fra l’altro si interroga, Rotelli, anche sull’architettura, che, scriveva trent’anni fa, è architettura intorno alla pericolosità. Non so se ci sia oggi da qualche parte un’architettura del ritorno alla vita. Se siano state pensate “panchine di neve” che si sciolgano in fretta…
Mentre “i folli continuano a costituire la minoranza più oppressa del mondo”. E sembra cosa vera ancora oggi, come il fatto che la 180 “qualcuno lavora per realizzarne i principi, qualcuno per combatterla, qualcuno pur aderendovi la svuota di senso”.
E la pronuncia di una ben triste verità. La verità di “questo paese capace di fare ottime leggi sulla carta e poi stravolgerle nella realtà”. Il pensiero torna alle cinquemila rose mancanti…
“Le rose che non ci sono parlano di quando qualcuno vorrà accusarti di quel che hai fatto, mentre tu vorresti accusare tutti di quello che non hanno fatto”. Che purtroppo è ancora storia dell’oggi.
Ma l’invito, dalla prima all’ultima pagina, è ad andare avanti, a fare, affondare le mani nella realtà della vita, e mai fermarsi.
L’invito è ancora a piantare rose, se come recita la poesia citata di Gianni D’Elia… “Cosa può fare una semplice rosa/ Contro la guerra infinita? / Nient’altro che essere vita/ Contro la vita tradita…”. E non è affatto poco.