di Salvatore Ferraro.

Domani saluteremo Paola, una professionista preparata, disponibile, convinta del suo lavoro. L’ angoscia per questa morte assurda e inaccettabile merita silenzio, rispetto e solidarietà. L’emotività ha condizionato molte dichiarazioni a caldo, sicuramente tutte in buona fede, tutte nate dal desiderio di allontanare da noi l’angoscia per qualcosa che non abbiamo mai pensato che potesse accadere. La violenza della “follia” l’abbiamo sempre immaginata nelle famiglie dei pazienti rivolta verso figli , mogli, mariti, genitori, fratelli. La violenza verso se stessi o al massimo verso il sindaco o i colleghi di studio o di lavoro.

Questa volta è toccata ad una di noi, a quella più disponibile a quella che non si tirava mai indietro, a quella sempre pronta fare una domiciliaresostenendo una famiglia affinché non si sentisse sola ed abbandonata, a quella che cercava strategie che superassero la banale applicazione delle norme per i Trattamenti Sanitari Obbligatori.

Abbiamo toccato con mano il nostro non essere intoccabili, abbiamo percepito che neppure studi e scrivanie ci possono proteggere.

Paola mi mancherai e mancherai a tutti quelli che, come facevi tu vanno al lavoro mettendoci qualcosa in più della banale routine o della semplice tecnica.

Avrei voluto mantenere il silenzio per rispetto a te e alla tua famiglia, ma vedo che troppi stanno trasformando questo tragico evento in una buona occasione per aumentare la distanza tra pazienti e servizi territoriali psichiatrici.

In questi ultimi anni i servizi, territoriali ed ospedalieri sono stati sempre più svuotati di operatori, di risorse fisiche, economiche e intellettive. Una strisciante burocratizzazione tecnica ha innalzato barriere: ticket, prenotazioni, liste di attesa, filtri di varia natura che sempre più allontanano chi può dal servizio pubblico verso un privato che non è mai stato così florido. I CSM non più organizzati in équipe multi professionali sono, in molti casi, ambulatori più o meno belli di isolati specialisti. Ed è proprio l’essere soli che frustra gli operatori, li demotiva e purtroppo li mette in pericolo. Troppi pazienti per ogni specialista, medico o psicologo che sia, troppi psicofarmaci come unica risposta ad un disagio che sempre più accompagna il quotidiano di tanti cittadini, una frustrazione che si trasforma in rabbia irrazionalmente diretta e che può arrivare ad uccidere.

L’unica risposta pensata, oltre la militarizzazione delle strutture territoriali che sicuramente non durerà più del tempo necessario a farci “rielaborare” la tragedia della tua inaccettabile partenza, è quella di allontanare i pazienti.

Accorpiamo i CSM, mettiamo insieme i pochi operatori, chiudiamoli in lontani e isolati castelli con telecamere, porte a doppio accesso come quelle delle gioiellerie (eppure abbiamo visto che non sono servite a salvare dalla follia della violenza di una rapina la gioielliera di XXXX), liste di prenotazioni. Inventiamo gli interventi specialistici di primo e secondo livello.

Mettiamo trenta/ quaranta chilometri tra noi e i pazienti, costringiamo i loro familiari a prendere giorni di ferie per poter fare una visita, facciamo fare loro i conti con il caro benzina, un giorno verranno a parlare con lo psichiatra e poi torneranno per parlare con lo psicologo e con l’assistente sociale. Rendiamo difficoltose le visite a domicilioe le terapiedomiciliari che giornalmente gli operatorii fanno a sostegno della quotidianità di chi combatte con i fantasmi della mente condividendo un caffè seduti a fare quattro chiacchiere. Si perché a volte questa relazione molto più simile ai quella dei medici condotti di una volta, protegge e aiuta, nelle fasi di scompenso, più di tanti sorveglianti.

E poi, chi porteremo con noi per fare gli interventi urgenti nelle case: una pattuglia dei CC.? La polizia? I VV.UU.? Useremo i giubbotti anti proiettili?

Per favore, non gettiamo alle ortiche trent’anni della storia psichiatrica di questa Regione, Siamo specialisti della mente abituati a riflettere sui perché dei sintomi dei nostri pazienti e sulle conseguenze delle nostre parole. Riflettiamo prima di sparare soluzioni che ben presto farebbero somigliare i nostri CSM ai vecchi ambulatori psichiatrici che i Medici dell’ Ospedale Psichiatrico Interprovinciale Salentino (OPIS LECCE) facevano periodicamente nei comuni del grande Salento.

Operatori, utenti, famiglie ed istituzioni regionali e di ASL riflettano insieme su quello che bisogna fare,discutiamo tutti insieme senza negare nulla della nostra storia e senza preconcetti a favore o contro le pratiche territoriali.

Si torni ad investire sui servizi territoriali, manteniamoli prossimali ai pazienti e alle loro famiglie, ridefiniamoli nei nomi se è necessario, riqualifichiamo la spesa, sosteniamo e rimotiviamo gli operatori, chiediamo all’ Università di formare tutte le professionalità della salute mentale non solo sulla tecnica, ma anche sul modi di affrontare una realtà molto diversa da quella descritta nei DSM IV o V che sia.

Questo lo dobbiamo a Paola per rispettarne la memoria e per continuare nella traccia lavorativa che quotidianamente la guidava, lo dobbiamo a quanti sono soli nella tragedia di una malattia che oggi fa più paura di ieri.

Solo così non ti dimenticheremo, ciao Paola.

Massafra, 8 settembre 2013 Salvatore Ferraro

(psichiatra CSM Massafra)

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