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La Conferenza Nazionale per la Salute Mentale che si è tenuta a Roma nei giorni 14 e 15 giugno segue di ben 18 anni quella organizzata dal Ministero della Sanità a guida Umberto Veronesi. La Conferenza, unitaria e autoconvocata per iniziativa dell’UNASAM con l’adesione di altre 113 organizzazioni di Terzo settore (Associazioni, cooperative sociali, Fondazioni, Organizzazioni di volontariato), rompe il silenzio istituzionale rifacendosi a quel principio di sussidiarietà, divenuto costituzionale nel 2001, anno della prima Conferenza. L’evento nazionale è stato preparato attraverso un preliminare percorso attraverso l’Italia dalle Conferenze Regionali e da altri incontri locali (31 in totale) con un appello che richiama le tre parole chiave che ne coagulano il significato: diritti, libertà, servizi.

Pubblichiamo di seguito il resoconto dell’intervento di don Luigi Ciotti, Presidente del Gruppo Abele di Torino e dell’Associazione Libera.

Don Ciotti racconta anzitutto la sua vicinanza al tema della salute mentale, dato che il Gruppo Abele, di cui è stato fondatore, ha preso il nome proprio dal titolo di un’inchiesta di Sergio Zavoli sull’ex-O.P. di Gorizia: I giardini di Abele (1968).

Il relatore nel suo appassionato intervento ha affrontato il tema della salute mentale nella cornice di una situazione generale caratterizzata dalla crisi della politica e della democrazia, le realtà più malate del nostro Paese. Da qui le disuguaglianze che devono essere chiamate ingiustizie come prova del tradimento della nostra Costituzione perché le leggi devono tutelare i diritti, non garantire il consenso. I punti cruciali del suo intervento per la Conferenza, di seguito richiamati, riguardano la disamina sulla legge 180 e alcuni temi che è urgente affrontare nel settore.

La legge 180 a più di 40 anni di distanza è in parte ancora incompiuta, condividendo lo stesso destino della nostra Costituzione, che relativamente ai diritti sociali non è applicata fino in fondo. La parziale applicazione della legge non consente la realizzazione delle sue potenzialità e funge da pretesto ai suoi detrattori per far credere che sia sbagliata, mentre la legge è giusta ma deve essere applicata e tuttalpiù aggiornata all’oggi. Il timore è che dopo gli attacchi ai migranti, alle ONG, ai Rom, ai poveri possano essere presi di mira i pazienti psichiatrici sulla base del pregiudizio che lasciati in libertà sono pericolosi, fanno danni e deturpano il decoro urbano. E questo nel nome della sicurezza. Per questo non possiamo attendere che si prendano provvedimenti, non possiamo stare zitti e soprattutto non possiamo restare inerti. La speranza per il domani poggia sulla resistenza dell’oggi.

Per don Ciotti il tema dei diritti non può essere eluso. I diritti sono ciò che una società deve garantire ad ogni essere umano affinché la sua vita sia una vita dignitosa. Nei servizi sociali e sanitari la qualità non può essere ridotta a quantità. Le risorse non devono essere unicamente o prevalentemente utilizzate per le continue emergenze, per creare strutture centralizzate, a maggior economia di scala, a scapito degli interventi territoriali nella comunità. Perché si va sempre in quella direzione, mentre c’è invece bisogno di investire sui territori, non per costruire altre istituzioni totali, e lo possono diventare anche alcune strutture che si definiscono riabilitative così come lo sono le molte residenze per persone psichiatriche. Noi dobbiamo ridurre le residenze e costruire più domiciliarietà. Il bene comune si costruisce a partire dai rapporti umani, dalla capacità di ascoltare, di accogliere le parole dell’altro, le sue speranze, le sue paure, i suoi bisogni. Non possiamo continuare a difendere, a tollerare un sistema dove le cose contano più delle persone. Per don Ciotti le tecniche sono importanti ma il primo strumento resta la relazione, l’accogliere, il riconoscere, l’amare, e allora è importante e necessario il cambio di paradigma nell’approccio alle persone sofferenti finalizzato al recupero di autonomia, di dignità e qualità della vita evitando il rischio della cronicizzazione, e molte delle vostre esperienze dimostrano che ciò è possibile. È importante l’approccio metodologico che si basa su relazioni costanti, sulla presa in carico della globalità della persona, sull’umanizzazione dei rapporti per offrire opportunità di protagonismo e di valorizzazione delle risorse stesse delle persone sofferenti. È su questo che bisogna investire nei territori evitando così che l’intervento costi molto di più a seguito degli effetti cronicizzanti e disabilitanti delle situazioni di sofferenza. È necessario realizzare fattive condizioni per un intervento che sia generativo ed emancipatorio in collaborazione con la comunità territoriale e le sue risorse, creando spazi di accettazione e di inclusione perché le persone possano rispondere ai loro bisogni di socialità e vedere restituito il senso al loro fare con un riscontro di utilità e di recupero di autoprogettualità.

È importante anche la collaborazione tra i servizi, altro punto dolente perché i servizi sono sotto organico (gli anziani se ne vanno e i giovani sono precari), mentre proprio per garantire una presa in carico globale e la continuità assistenziale è strategica la fattiva collaborazione tra Centri di Salute Mentale, Servizi di Tutela della Salute mentale nell’età evolutiva (TSMREE) e SERD e, in generale, con tutti i servizi del welfare locale.

Sono poi da valorizzare gli esperti per esperienza (utenti e familiari che aiutano altri sofferenti), elementi fondamentali in una logica di auto mutuo aiuto, in grado di affiancare gli operatori dei servizi pubblici e degli enti di terzo settore con pratiche efficaci e di cambiamento positivo per tutti. Infine don Ciotti invita a percorrere due strade, ovvero a tener conto di due grandi dimensioni per un nuovo umanesimo:

1)   La necessità di riscoprire la nostra identità comune, l’impegno di tutti per assumerci la responsabilità per l’unità nella diversità. L’Europa deve essere unita nella sua diversità, perché è necessario rigenerare un nuovo umanesimo, un progetto che metta al centro la persona, il lavoro, la ricerca, la conoscenza, le politiche sociali, i servizi, ovvero tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Questo progetto richiede un enorme cambiamento collettivo;

2)   L’ecologia integrale perché come ci ha ricordato papa Francesco il mondo è un ecosistema, che non si può agire su una parte senza che le altre non ne risentano, non ci sono due crisi separate, una ambientale e una sociale, bensì una sola crisi socio-ambientale. Allora un vero approccio ecologico diventa sempre più un approccio sociale che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente per ascoltare quel grido di libertà e dignità che è il grido della terra e dei poveri. Società e ambiente non sono realtà distinte, la cura dell’ambiente e l’impegno per la dignità delle persone sono la stessa cosa: i diritti umani e i diritti della natura.

Conclude sostenendo che solo una società cosciente delle proprie fragilità e contraddizioni è una società unita, aperta, recettiva e solidale ed esorta ad evitare di correre il rischio di sentirci comodamente dalla parte giusta. La parte giusta non è un luogo dove stare ma un orizzonte da raggiungere insieme.

Il resoconto integrale a cura di Renato Frisanco (Fondazione Internazionale Don Luigi Di Liegro) è disponibile qui: resocontoconferenzanazionalesalutementale.

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