978-88-7223-267-5

[La presente recensione al libro di Alberto Fragomeni, Dettagli inutili, “Collana 180″- Archivio critico della salute mentale, Edizioni Alphabeta Verlag, è apparsa sul numero 20, dicembre 2016 – gennaio 201, della rivista Il Ponte rosso http://www.ilponterosso.eu/]

ne prendo una per non

sentirmi dio.

e un’altra per non sentirmi

una merda.

e un’altra ancora

per non aver paura di sentirmi una merda.

o forse per non aver paura

di sentirmi dio.

non lo so, non l’ho ancora capito.

Per me è impossibile leggere razionalmente, “dal di fuori”, questo libro: sono

“della psichiatria”, “nella psichiatria”, “psichiatrica” da troppi anni, proprio come

Alberto Fragomeni. Penso che restare indifferenti di fronte alle parole gridate

dall’Autore, un giovane uomo di trentacinque anni, è una possibilità che riguarda solo

gli ottusi. Fragomeni ha molto da dire alla società contemporanea, ai cosiddetti

normodotati, come agli stessi psichiatri, agli psicologi, agli operatori dei Servizi di

salute mentale.

Perché il libro è vero, lucido, graffiante, mai compiaciuto, mai sentimentale e

parla una voce autentica, di chi ha vissuto, di chi ha esperimentato sulla propria pelle

la sofferenza. La scrittura procede nitida, ironica, sorridente, addolorata e coglie

aspetti, situazioni, vissuti, momenti di vita, processi intellettuali, personaggi, luoghi,

spazi in tutta la loro luce esemplare: si potrebbe parlare di un tono agro-dolce, dolce-

amaro, che investe tutto il testo, e che permette di parlare di situazioni al limite

totalizzante anche a volte con distacco, con uno sguardo irriverente, scherzoso,

giocoso, proprio di una persona trentenne, appartenente pienamente al contesto

sociale e culturale attuale.

Lo humour un po’ scanzonato, un po’ malinconico, investe soprattutto la parte

prima e la parte seconda del libro. Qui i capitoli sono anche brevi paragrafi, titolati

spesso in modo allusivo, come flash folgoranti; essi fotografano incalzanti condizioni

diffuse negli ambienti psichiatrici, situazioni che sono sotto gli occhi di tutti, quasi

dei “luoghi comuni”, ma che l’Autore “vede” con una chiarezza che diventa denuncia

empatica.

Così, alcuni possibili momenti condivisi di autocompiacimento e di

autostigma dalla parte delle stesse persone in cura, quando esse, accusa con dolore

Alberto Fragomeni, credono di trovare la propria identità nella malattia, nella

diagnosi, che li fa sentirsi importanti, li fa diventare qualcuno (“io sono borderline, e

tu?” “schizoaffettiva.” “sei mai stata in spdc, servizio psichiatrico di diagnosi e

cura?” “sì.” “e ti hanno legata?” “no.” “a me sì …”).

E ancora l’altra diffusa problematicità di comportamento: la dipendenza

dall’uso ed abuso di caffè, di sigarette, certamente dipendenza veniale, non

compromissoria come quella da farmaci, e che comunque aiuta a segnare il ritmo

dello spazio di tempo delle lunghe giornate ( “il caffè e le sigarette rappresentano la

ragione di vita del malato psichiatrico …”).

Molte persone sofferenti cadono vittime di facili speculatori o speculazioni,

quando si appigliano ad ogni via di salvezza fatta baluginare davanti a loro in una

ricerca irrazionale e disperata di verità, di bisogni di chiarezza e di risposte, che

credono a volte di trovare nei misticismi religiosi, a volte nelle letture ingenue di

ponderosi testi di filosofie, orientali e/o occidentali. Come appunto è successo anche

ad Alberto Fragomeni, che pur non ne è stato travolto, ma ha trovato in queste

esperienze tratti di sostanziali apporti positivi, in alcuni passaggi esistenziali

particolarmente drammatici della sua vita. Perché, è importante dirlo, ogni persona

trova la propria strada, si serve di mezzi-di media diversi, fa il proprio singolare e

irripetibile percorso verso la guarigione e le cose che fanno star bene sono diverse per

ciascuno di noi.

Dall’osservazione pungente di Alberto Fragomeni emergono tanti rivoli

sotterranei di vite: come lui rende visibili gli invisibili delle città metropolitane, i

sofferenti, gli emarginati, quando li descrive con partecipazione fraterna, così porta

alla luce le dinamiche relazionali, più o meno facili, più o meno compatibili, tra

persone che vivono nelle comunità terapeutiche, nei centri diurni, nei luoghi di lavoro

protetto …

Eppure, con ironia e un po’ di amarezza, Fragomeni commenta sarcastico

anche il pregiudizio, visto dall’ “esterno”, di sopravvalutazione, di ammirazione per

la genialità, per le doti fuori dal comune, per le espressioni artistiche e creative,

comunemente attribuite a chi sta “oltre le regole”, e che fa delle personalità

eccezionali dei matti e viceversa.

La parte terza, conclusiva, è scritta da Alberto Fragomeni in forma narrativa

più continuativa; è totalmente soggettiva, un coming out della propria storia che

procede con un’analisi di “pensiero acuminato come un pugnale, che ben si

accordava alla violenza della mia mente, impegnata a torturarmi all’infinito: non mi

sono mai odiato tanto come in quel periodo, e più mi odiavo, più soffrivo, e più

soffrivo, più mi odiavo.” E’ l’incessante lavorio della mente che a volte logora, a

volte a distrugge … e questo lo può provare ogni essere umano che vive finché il

cervello è in vita.

“L’invito ad assumere nella vita un atteggiamento minimalista” è il consiglio

dato dal medico di riferimento ad Alberto Fragomeni, nel momento in cui si avvia per

lui una fase positiva di ripresa. Ma io credo che gli si è aperta la possibilità di

riconoscersi nella scrittura, di essere uno scrittore …

La possibilità di essere “normali”? Una domanda ridicola e ingenua. Da

vicino nessuno è normale, recita uno slogan-verità del pensiero basagliano. Allora

potremmo perfino accettare di stare tutti nella barca dei folli, quella dipinta da

Hieronimus Bosch.

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