Collana Sdiario, Edizioni del Gattaccio
La storia della psichiatria è storia degli psichiatri, non storia dei malati. (…)
Essa è storia dei potenti, dei medici, mai dei malati.
Conferenze Brasiliane (1979) di Franco Basaglia
Di Michela De Mattio
FramMenti è un libro di Voci.
A raccontare la propria storia sono gli utenti e gli operatori del CPS (Centro Psico Sociale) di Via Ugo Betti a Milano, un quartiere periferico ad alta densità di popolazione.
L’idea di far raccontare alla scrittrice Barbara Garlaschelli* cos’è un CPS è venutanel 2004 alla dottoressa Laura Bellini (psichiatra), al dottor Massimo Cirri (psicologo) e alla sua equipe. Volevano una Voce fuori campo che fosse priva del linguaggio medico-scientifico e del suo terrore semantico.
L’intento del progetto era quello di far comprendere alla gente fuori, quella considerata Normale, che non esiste un recinto dentro al quale vivono le persone affette da disturbo mentale, non esiste un Noi e un Loro, non esistono i Normali e i Folli, esistono solo le persone con le loro storie, le loro esperienze di vita, i loro sogni, i loro dolori e le loro speranze. Volevano far sapere che c’è una possibilità di cura anche per chi non ha mezzi finanziari tali da potersi permettere terapie private e che si può trovare un’altissima professionalità nel lavoro degli operatori che prestano servizio in un CPS come quello di Via Ugo Betti, una struttura che almeno in quegli anni era fatiscente, priva di mezzi e di risorse adeguate, ma che era nata dal desiderio degli operatori che ci lavoravano e non da un atto amministrativo e burocratico.
È iniziato così il viaggio della scrittrice milanese Barbara Garlaschelli che ha frequentato quel CPSper due anni e mezzo. Ha incontrato e si è relazionata con utenti affetti da disturbo mentale, infermieri, educatori, assistenti sociali, psicologi e psichiatri.
Quando alla fine si è ritrovata con una quantità enorme di materiale in mano ha deciso di non avere voglia di utilizzare il materiale per scriverne un romanzo. Aveva tra le mani Voci preziosissime e storie di vitasconvolgenti. Ha scelto di sbobinare le registrazioni e di mettere insieme quelle Voci, senza cambiarle, senza modificarle, riportando ciò che ogni persona le ha raccontato di sé.
Va detto che questo: per uno scrittore, non è un gesto usuale. È una scelta ben precisa quella di puntare i piedi davanti alla verità dopo averla vista. È un passo di danza a due per il quale serve la generosità di un autore che decide consapevolmente di accadere di meno e di mettere davanti a sé l’altro, il vero protagonista della propria storia. Ci vuole una grande nobiltà d’animo e una certa eleganza.
Molti di coloro che hanno contribuito alla realizzazione di FramMenti lo hanno fatto non solo con il racconto orale ma anche con l’apporto di scritti (poesie, pensieri, disegni) tutti riportati nel libro. Barbara Garlaschelli ha aggiunto brevi ballate e “fotogrammi letterari” di grande intensità.
Quando ho iniziato a leggere FramMenti ne ho percepito nell’immediato la potenza espressiva sia per come il libro è stato concepito e strutturato sia per le verità che custodisce. La prima cosa che mi è balzata agli occhi è il fatto che ogni capitolo porta il nome della persona che si racconta. Finché non si leggono le parole non è dato modo di sapere se si tratti della Voce di un utente o di quella di un operatore.
Il gesto compiuto dalla scrittrice è rivoluzionario, per qualcuno forse anche vertiginoso, perché presuppone che dal suo punto di vista non ci sia differenza non solo “tra chi sta fuori e chi sta dentro”, ma nemmeno tra chi è utente e chi è operatore.
Per me che sono cresciuta a Trieste e che fin da piccola ho frequentato il Parco di San Giovanni, che a Trieste mi sono laureata in Medicina e Chirurgica e poi specializzata in Medicina Interna è stato impossibile non ritrovare in FramMenti il senso più profondo del lavoro di Franco Basaglia, di Franco Rotelli e di Peppe dell’Acqua.
Franco Basaglia, al di là di ciò che a molti fa comodo pensare, non è l’uomo che ha chiuso i manicomi. È l’uomo che ha distrutto le barriere culturali che impedivano l’incontro e la relazione. Basaglia ha dimostrato che non è possibile costruire nulla se prima non si distrugge, se prima non si fa spazio. La sua parola d’ordine inoltre era “Comunicazione”.
Barbara Garlaschelli, con il suo modo di frequentare il CPS milanese, è riuscita a distruggere il muro di recinzione che ancora oggi, nel 2018, divide i sani dai folli e gli utenti dagli operatori. È stata capace di crearsi uno spazio per comunicare in maniera autentica, orizzontale con ogni persona che si è resa disponibile a raccontarle la propria storia.
La scrittrice, attraverso la comunicazione, è riuscita a rimettere in gioco la persona, dimostrando ancora una volta quanto sia vero ciò che Franco Basaglia ha affermato: “L’avvicinamento a una persona che soffre dev’essere un compito che trascende la figura semplice e banale del medico che ha imparato determinate tecniche, il suo avvicinarsi dev’essere dialettico, dev’essere una presa di coscienza che il malato è l’espressione di una nostra contraddizione. È l’espressione sia di una contraddizione sociale che di una contraddizione medica.”
Quando si lavora per sottrazione, d’altronde, parlando con le persone, ascoltando le loro storie, le persone vengono curate e si curano perché iniziano ad aprirsi a delle possibilità diventando “un corpo nel mondo” e un corpo aperto al mondo. E quando un corpo si apre al mondo (come la stessa scrittrice fa notare), anche affermare che una persona è schizofrenica, un’altra è psicotica, un’altra ancora è border-line, perde di senso. Spingono a riflettere le parole di Silvana quando afferma: “Ma perché se sento le voci io mi dicono che sono schizofrenica e quando lo hanno detto a Mejugorie ci hanno fatto i peregrinaggi?”
La profezia della diagnosi in FramMenti cade nell’immediato e si frantuma poiché il protagonista diventa la vita e la sua narrazione che sono di una mutevolezza che stupisce e commuove a ogni parola letta. Nel momento in cui riconosciamo la persona, diventa impossibile non riconoscerla all’interno di una relazione, all’interno di un contesto.
In FramMenti c’è di sconcertante il fatto che nessuno parla di guarigione. Non ne parlano gli operatori e di conseguenza nemmeno gli utenti. Parlano di “convivere con la malattia”. Le persone che si raccontano a Barbara Garlaschelli quando si riferiscono alla propria “malattia” (perché è così che la chiamano) si identificano con essa inserendosi in modo automatico in categorie prestabilite, in categorie diagnostiche delle quali hanno imparato segni e sintomi. Accade così che identificandosi con la propria malattia ogni essere umano si appiattisce fino a scomparire.
Solo quando le persone si sentono accolte da Barbara Garlaschelli iniziano a raccontare la propria storia personale permettendosi di ritornare a essere ciò sono: soggetti, tutti diversi tra loro. Individui responsabili, pieni di dignità, protagonisti di una storia unica e irripetibile.
Ecco allora che FramMenti palesa in modo inequivocabile quanto siano ancora potenti le scale diagnostiche e le definizioni mediche in ambito sanitario. Sono queste a crollare addosso alle persone e a frantumargli il cranio, non il disturbo mentale. FramMenti è una testimonianza di quanto l’omologazione di uno sguardo scientifico che accoglie anche chi non si occupa di scienza appiattisca tutto, appiattisca la persona, reifichi il soggetto. Ed è l’appiattimento, non il disturbo mentale a portare alla fine, una fine dalla quale non si esce. Le scale diagnostiche sono quelle che si imparano all’Università prima ancora di instaurare un qualsivoglia approccio relazionale con i pazienti. Il problema non è la scala diagnostica in sé, ma la separazione che essa genera. Quando c’è separazione, la dignità dell’individuo scompare. E anche oggi nel 2018 possiamo affermare che troppi psichiatri e troppi medici in generale, purtroppo, non hanno ancora capito che è sotto e dentro le scale diagnostiche che muoiono tutti i soggetti.
FramMenti di Barbara Garlaschelli è un libro rivoluzionario anche perché rivela ciò che oggi manca più che mai:la cultura del lottare davvero contro lo stigma che altro non è se non l’impedire che le persone con disturbo mentale si identifichino con la propria malattia. È l’identificazione che porta a spingere la persona fuori, lontano dal mondo, e le periferie dell’anima come le definisce Eugenio Borgna sono i luoghi in cui oggi vengono spinte le persone. Luoghi in cui viene esercitato un controllo ancora più brutale rispetto a quello dei manicomi. Ne parla Massimo in Frammenti quando dice che “I manicomi erano i depositi degli scarti, i CPS hanno il mandato sociale di essere il luogo della gestione degli scarti, il luogo della rassegnazione”.
Barbara Garlaschelli, costruendo questo puzzle di Voci, comprova ciò che Peppe Dell’Acqua afferma da almeno trent’anni. Si tratta del fatto che “Guarire si può”.
Guarire si può significa che la cura ha a che vedere con una progressiva sottrazione di strumenti e di percorsi lesivi per la persona. Il disturbo mentale, come emerge in modo potente in questo libro, ha a che vedere con dei meccanismi istituzionali spesso di una violenza inaudita che nulla hanno a che fare con la sofferenza dell’essere umano.
Tuttavia ciò che non va dimenticato è che “Guarire si può” nasce da un punto di partenza antecedente e imprescindibile: ovvero che “Impazzire si può”. Dice Peppe dell’Acqua in un’intervista: “Impazzire deve essere possibile perché impazzire significa avere la possibilità di farcela, di stare nel sociale, di abitare e di vivere la vita. Basaglia quando parlava di una società che ha al suo interno la follia non stava dicendo nulla di diverso da questo. Ma perché questo avvenga è necessario un cambiamento culturale.”
FramMenti è un libro importante proprio perché costruisce ponti, legami, diffonde conoscenza e cultura.
E infatti in queste pagine di Barbara Garlaschelli riaffiora l’importanza dell’artigiano del pensiero, dello scrittore, dell’intellettuale. Un ruolo che torna a essere fondamentale dopo anni di silenzio, fatta eccezione per la Collana 180 che continua senza sosta a produrre cultura.
Questo è quello che negli anni ‘70 ha fatto Franco Basaglia, che da tantissimi anni fa Peppe dell’Acqua ma che un tempo facevano altri intellettuali: Jean-Paul Sartre, Paul-Michel Foucault, il giornalista scrittore Sergio Zavoli. Loro Diffondevano conoscenza.
FramMenti di Barbara Garlaschelli diffonde conoscenza e nel farlo evidenzia ancora un volta ciò che manca: che dovrebbero essere gli stessi operatori sanitari (medici, psichiatri, infermieri, educatori, assistenti sociali, psicologi) mezzo, ponte per costruire una nuova cultura e di conseguenza una nuova dialettica capace di accogliere, di toccare, di aprire a una relazione autentica.
Ciò che ha permesso la rivoluzione degli anni ’70 è stata la cultura, non la medicina.
È stato il cambiamento culturale a permettere a coloro che erano stati rinchiusi in manicomio di tornare a essere persone, soggetti, cittadini.
La Medicina era ed è rimasta conservativa, reazionaria.
Oggi siamo dotati di uno strumento legislativo che è molto più avanzato della sensibilità diffusa. Le politiche di questo Paese fanno leva sui temi della paura, della chiusura, della diffidenza, del pensare a come difendersi dall’altro. Aver paura dell’altro significa aver paura di perdere quel poco o tanto che si ha. Ed è una paura che non conosce distinzioni di classe, che investe in modo trasversale tutto il tessuto sociale, da quello più abbiente a quello più disagiato.
La paura, un’emozione dall’innesco facile, un virus rapido, irrazionale e contagioso che confina e stigmatizza l’essere umano. Contro questa paura Franco Basaglia ha combattuto più che contro qualsiasi altra cosa.
Barbara Garlaschelli, frequentando il CPS milanese di Via Ugo Betti, ha combattuto quasi quarant’anni dopo contro la stessa paura, scavalcando il disturbo mentale e recuperando tutto ciò che di umano c’è sotto una crisi, un conflitto, un disturbo, un dolore.
Mi capita di sorridere quando sento molte persone affermare: “Io sono basagliano”. Sono in molti i medici che si nascondono dietro al nome di Franco Basaglia e sono ovunque. Essere basagliano oggi non significa nulla. Questa è un’espressione ormai corrosa che si colloca al limite del ridicolo. Il Basaglia che manca a tutti noi, a chi lo ha conosciuto, a chi lo ha letto e studiato, è l’uomo con il suo pensiero critico. Manca la sua apertura a nuove possibilità, la sua ricerca continua, il suo modo di fare cura, di fare riabilitazione, di prendersi carico della persona con tutto ciò che è.
La bellezza che sottende a FramMenti è che nasce da un pensiero critico, da una possibilità ed è anche per questo che è un libro così prezioso e fondamentale è la sua ripubblicazione e diffusione in questo preciso periodo storico. In Italia oggi, in 8/9 su 10 dei circa 320 servizi psichiatrici di diagnosi e cura, la contenzione è pratica diffusa. Questo dato è stato accertato nel 2005 dall’Istituto Superiore della Sanità e a distanza di quasi tredici anni nulla è cambiato. Lo racconta bene Claudia che giunge al CPS di via Ugo Betti dopo essere stata ricoverata in uno dei tanti SPDC degli ospedali Milanesi. Queste strutture di diagnosi e cura sono tutt’ora più violente della manicomialità. Gli SPDC a porte chiuse sono i veri crimini di pace che ogni giorno si compiono. Le persone ancora oggi, in questi luoghi, vengono bunkerizzate, spesso legate preventivamente a letto, riempite di farmaci e quindi abbandonate alla propria sofferenza. Si tratta di un abbandono che è anche una fine. Una fine decisa da qualcun altro.
Questa è la vera lesione del diritto e l’annullamento delle infinite possibilità di farcela di un individuo che si ammala. Questo è il tradimento dell’operatore sanitario verso la persona. L’operatore sanitario che esercita un potere distruttivo nei confronti delle persone utilizzando programmi terapeutici standardizzati su un’idea di malattia e mai sulla persona.
FramMenti è un libro che dovrebbero leggere tutti.
FramMenti è Lo Sguardo che ci manca e che illumina ciò che una grande fetta di mondo cerca di nascondere.
*BARBARA GARLASCHELLI
Nata a Milano nel 1965. Laureata Lettere Moderne all’Università Statale di Milano con una tesi sul teatro a Milano visto attraverso il giornale Il Secolo, dal 1900 al 1906. Tra i libri che ho pubblicato: O ridere o morire ( Marcos y Marcos, 1995; Todaro editore, 2005); Nemiche(Frassinelli, 1997); Alice nell’ombra (Frassinelli, 2002; Ottolibri, 2014); Sorelle (Frassinelli, 2004; premio Scerbanenco 2004); Frammenti (Mobydick, 2007; Edizioni del Gattaccio, 2017). Il romanzo Non ti voglio vicino (Frassinelli, 2010) è stato tra i dodici finalisti deI premio Strega 2010 e ha vinto i premi: “Matelica – Libero Bigiaretti 2010”; premio Università di Camerino e premio Alessandro Tassoni 2011; Premio letterario Chianti 2012; Lettere dal’orlo del mondo (Ad est dell’equatore, 2011); Carola (Frassinellli, 2013); Non volevo morire vergine (Piemme Voci, 2017). Molti racconti sono pubblicati su varie antologie e riviste. Alcuni libri sono stati tradotti in Francia, Spagna, Portogallo, Russia, Olanda.
Ha diretto la collana I Corti per la casa editrice EL.
Vice-presidente dell’Associazione culturale Tessere Trame e uno di direttori editoriali della collana Sdiario, Edizioni del Gattaccio.
L’ultimo libro è un’autobiografia Non volevo morire vergine, uscito a marzo 2017 per Piemme Voci.
Nel novembre 2017 è stato ripubblicato FramMenti per la collana Sdiario, Edizioni del Gattaccio.