La  recente lettera aperta che Peppe ha inviato al ministro della salute, ai presidenti delle regioni, ai direttori generali e ai sindaci, rappresenta uno dei momenti di massima criticità che l’intero campo sanitario sta’ attraversando e,  nello specifico,  la punta di un iceberg che lascia sempre più affiorare l’evidente ampiezza e drammaticità della sua base problematica nel campo della salute mentale. 

Non si può non convenire coi toni e con le argomentazioni con cui Peppe pone   (anzi, RI-propone…) le questioni, così  come sul modo della sua appassionata e dolente descrizione delle stesse. 

Tuttavia, come già accennato nei miei precedenti appunti (La Ripartenza), continuo a registrare, nell’ambito della riflessione generale inerente la cosiddetta salute mentale, una certa mancanza di “tensione e consapevolezza critica” circa la reale portata e natura delle questioni il cui elenco è contenuto nella lettera di Peppe che, in quanto tale, non si può non condividere.

 Mi spiego: le esortazioni, la descrizione e l’implicita richiesta di “intervento” per modificare, ovvero di “cambiare”, l’attuale drammatico  stato delle cose che riguardano la “salute mentale”, continua a presentarsi sotto la forma di una “perorazione moraleggiante” che, a mio avviso, è figlia di quel “capitalismo compassionevole” cui ci si rivolge e da cui ci si attende “risposte” che non potranno mai essere ottenute, per il semplice fatto che esse sono escluse dall’ assetto ideologico dell’attuale compagine governativa.

Di fatto, l’attuale “immanenza politica” è  tutta costruita sul paradigma dell’austerità economica per la quale, giova ricordarlo, risulta funzionale una sorta di “abdicazione dello stato” con le relative “nuove povertà di massa”.

E quella della salute mentale è tra queste.

Cioè a dire, che in tale paradigma politico economico a sussistere è solo “l’illusione di una società di servizi” come esito ulteriore dell’odierna crociata neoliberista. Ritengo fondamentale che tale prospettiva non sfugga come invece constato continui a essere rimossa. Ne va della stessa efficacia di iniziative che vorrebbero modificare l’attuale stato delle cose. Innanzitutto della “CURA” e non di letti e di sistemi di controllo e sicurezza come lo stesso Peppe sottolinea. Riparlarne implica tener presente il seguente grappolo di 

fatti:

– l’attuale tavolo convocato dal ministro Schillaci al Ministero della sanità è compattamente presidiato da esponenti di quella “psichiatria” cui non si addice una cultura e una sensibilità di cui è fatta la cosiddetta “salute mentale”; essendo invece presente a quel tavolo “quella psichiatria fatta di slide, istogrammi,metanalisi, di dittatura del “consenso” tutta incapsulata nel paradigma neopositivista bio-molecolare;

-dell’altra figura apicale, la presidente della “S.I.P” , invito ad ascoltare una sua recente intervista sul blog di Francesco Bollorino “P.O.L .it” per chiarirsi ulteriormente circa la direzione di cio’ che intendono costoro per “CURA”.

– sarebbe molto  interessante discutere di quello che Mario Maj,rifacendosi all’epistemologo Thomas Khun, va predicando: che la psichiatria, fallito il paradigma kraepeliniano, dice proprio “fallito”, si trova in una fase post-paradigmatica, ovvero di “scienza rivoluzionaria”; affermare ciò significa che la psichiatria non si può più ritenere, sic et simpliciter, una specialità medica senza complessità peculiari e senza problematizzazioni. Perché tutto ciò emerge dalla convegnistica e dalle specializzazioni universitarie. Solo questo. Eppure, questi rilievi vengono dal “past president”  della W.P.A, non lo dico io. Così come non ho la sensazione che a quel tavolo ministeriale sia rappresentata una “scienza post-paradigmatica”. Piuttosto una pseudo scienza tronfia delle presunte magnifiche sorti e progressive. Una psichiatria delle “suggestioni” farciti di fake news. 

Si sarà capaci di “aprire uno spazio di discussione” a livello  delle istituzioni governative e dei ruoli apicali delle società scientifiche per confrontarsi su quello che è il reale stato delle cose?

Anche senza lasciarci andare al “lamento istituzionale”…

Ritengo  che una società democratica moderna, un’opinione pubblica matura, queste cose debba saperle bene e debba introiettarle come “cultura condivisa”; che quanto è depositato su quel tavolo ministeriale , accolto dal ministro e veicolato dall’accademia, è falso ed è profondamente sbagliato.

Ce lo spiega con grande chiarezza Imre Lakatos: ” la storia della scienza è  stata e dovrebbe essere una storia di programmi di ricerca, di pratiche e di paradigmi in competizione tra loro, ovvero che proprio il dibattito, la critica, la competizione tra metodi e pratiche, configurano quel dinamismo che, oggi, è  del tutto assente all’interno della “cittadella accademica”.

Se ci pensiamo bene, ( e andrebbe “ricordato ” agli occupanti i due lati del tavolo ministeriale…) sono solo i maghi, le fattucchiere e gli imbonitori che “non dibattono mai”.

Credo sia questo l’unico modo per creare una coscienza collettiva sui meccanismi reali con cui avviene il progresso scientifico. Sicché sappiamo, in tal modo, “chi/cosa” sia “il convitato di pietra a quel tavolo…

Condividere collettivamente queste verità credo sia l’unico modo per “vaccinare il popolo” contro il ritorno dell’oscurantismo, ormai montante  e tracimato ben oltre i saturi pronto soccorso e reso poco più che baraccopoli i cosiddetti ” servizi”.