Il 5 di agosto a Torino, in una piazzetta del centro, Andrea Soldi, 45enne è morto soffocato mentre i vigili urbani eseguivano un’ordinanza di TSO. Era seduto sulla “sua” panchina nei pressi del bar che frequentava. Le cronache raccontano che è stato preso alle spalle. Un vigile gli avrebbe fatto una “strozzina” per trattenerlo e permettere agli altri due di ammanettarlo. Pare sia stato ammanettato con le braccia dietro la schiena mentre era a terra bocconi. Non è il primo che muore per asfissia in circostanze analoghe.
Andrea pesava 140 chili. 140 chili di vent’anni di neurolettici. Era conosciuto dai servizi, soffriva di schizofrenia dal 1990 e aveva subito molti TSO, pare per praticargli l’iniezione di long acting. Doveva essere il padre a chiedere che almeno gli facessero la puntura mensile. Anche questa volta non fosse morto sarebbe stato sottoposto allo stesso trattamento.
Il 29 di luglio a sant’Urbano, nelle campagne tra Padova e Rovigo, Mauro Guerra, 30enne, è stato freddato con un colpo di pistola sparato da uno dei carabinieri che era entrato nel suo cortile per eseguire il TSO. Sembra ora che il TSO fosse solo un pretesto per entrare. All’arrivo dei militari Mauro ha cercato di fuggire. Era in mutande e senza scarpe. La madre e la sorella, sconvolte, dicono: “Come poteva far male in quelle condizioni?” Di Mauro sappiamo poco, solo quello che scrivono i giornali. Si capisce che era un giovane speciale, intelligente e ossessivamente attento ai destini del mondo, degli uomini e delle donne. Era laureato in economia, lavorava e dipingeva t-shirt slogan “Gesù ci salverà”. Doveva essere un sognatore e sicuramente la sua originalità non gli rendeva facile la vita.
Quel pomeriggio dicono che era agitato e che, all’arrivo dei carabinieri, si è agitato ancora di più.
Il 10 giugno a Sant’Arsenio, nella provincia cilentana di Salerno, nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura, Massimiliano Malzone, 41enne muore per arresto cardiaco improvviso. Era stato ricoverato il 27 maggio a seguito di un TSO che si era rivelato cruentissimo nella sua esecuzione. Massicce dosi di psicofarmaci per sedarlo e la contenzione (forse attuata) le probabili cause della morte.
Prima ancora che la magistratura indaghi e chiarisca cosa è veramente accaduto, bisognerà dire quanto già sappiamo, quanto già abbiamo visto, quanto abbiamo già denunciato, quanto la deriva drammatica delle psichiatrie va producendo.
Per cominciare: il TSO non è un mandato di cattura.
Il legislatore nel 1978 con la legge 180, inteserestituire al cittadino, anche se folle, delirante, allucinato, agitato, “aggressivo”, confuso, violento, impaurito, terrorizzato il suo pieno diritto costituzionale. Il TSO come strumento per accrescere il diritto di chi si trova infragilito e in difficoltà, per garantire il diritto alla cura, alla salute, alla dignità. Dopo due secoli di prepotenza oppressiva dello stato e della psichiatria della legge del 1904, finalmente siamo costretti a pensare a un incontro che deve tendere alla parità tra lo Stato, le articolazioni dei servizi e delle istituzioni e il cittadino “malato di mente”.
Il TSO, e la cura psichiatrica da questo momento, non possono essere più intese come sospensione del diritto e legittimazione della prepotenza delle istituzioni, delle psichiatrie, degli psichiatri. Il pressante invito a negoziare si legge in ogni passaggio della legge 180 a cominciare dal titolo:“ Norme per l’attuazione del trattamento sanitario volontario e obbligatorio”.
L’aggettivo “obbligatorio” prima di tutto dice che l’altro esiste. Posso “obbligare” qualcuno con un’ordinanza, una norma, una legge quando ho riconosciuto la sua autonomia e la sua possibilità di rifiuto. La parola testimonia la tensione alla negoziazione. Obbligare qualcuno a qualcosa ha a che vedere anche con una assunzione di responsabilità: un sentirsi obbligato nei confronti dell’altro che sto obbligando, limitando la sua libertà, invadendo il suo spazio intimo e personale.
“Obbligatorio”, in questa lettura che io credo più propria, va riferito proprioai servizi, alle istituzioni, agli operatori della salute e della salute mentale. Sono questi che hanno l’obbligo di garantire quella cura, quella salute, quella dignità che la Costituzione (art. 32) e lo Stato riconoscono e che quella condizione di malattia mette così drammaticamente a rischio.
Nelle (cattive) pratiche delle psichiatrie correnti e dominanti, la scomparsa oramai evidente della persona sofferente, del soggetto, del cittadino ha cancellato, di fatto, la legge 180.
Il TSO viene spesso inteso come un inutile complicazione dell’antico ricovero coatto.
Non è raro leggere nei certificati dei servizi di salute mentale che il sig. Rossi è pericoloso per sé e per gli altri. Manca solo il pubblico scandalo. Più spesso non si trovano neanche certificati scritti e ragionati a motivare la richiesta di ordinanza, ma prestampati dove lo psichiatra non deve far altro che barrare la casella. Il sindaco ricevente utilizza le stesse forme e modalità e compila un altro prestampato, il giudice tutelare che dovrebbe garantire la corretta esecuzione di un atto delicatissimo che riduce la libertà personale di quel cittadino, fatto salvo rarissime eccezioni, non fa altro che sottoscrivere gli stessi prestampati. La delicatezza e il rispetto che la legge 180 aveva voluto introdurre in un campo così rischioso si dissolvono.
D’altra parte c’è poco da meravigliarsi: la psichiatria, così com’è nata e così come ancora si pratica, è capace di farsi solo nella preliminare negazione dell’altro in ragione della diagnosi, del sintomo e, infine, ridotto l’altro a corpo, il farmaco, la contenzione, le porte chiuse.
Più si riflette su questi fatti più le domande ci assalgono. Sono troppi i luoghi dove si ricorre routinariamente alla contenzione, dove resistono invalicabili porte chiuse, dove istituti, sedicenti comunità terapeutiche, si riproducono numerose, costose, inutili e dannose (proprio come in Veneto e in Piemonte), dove polizia, carabinieri e vigili urbani sono delegati dalle psichiatrie alla “cattura” delle persone. Eppure “buone psichiatrie” capaci di incontrare l’altro, di disporsi all’accoglienza, di contrastare veramente lo stigma, di curare sono presenti e possibili.
Queste tre morti sono in tutta evidenza la punta emergente di un iceberg: quotidianamente accade quanto è accaduto a Padova, a Torino, a Salerno, per fortuna senza esiti così drammatici.
Da tempo il Forum denuncia l’assenza dello stato, il fallimento delle regionali politiche coerenti per la salute mentale, il declino dei servizi di comunitari, l’inconsistenza delle scuole di formazione, la sottrazione ormai drammatica delle risorse.
Fino a quando il governo vorrà abusare del silenzio di chi non ha voce? Fino a quando continueremo, tutti, a tacere? E fino a quando non troveremo il coraggio per urlare che di psichiatria non si deve più morire?