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Immagine di Chiara Poli

Le preoccupazioni dell’Unasam in emergenza coronavirus

di Gisella Trincas, Presidente Unione nazionale delle associazioni per salute mentale

Nel giugno dello scorso anno, durante i lavori della Conferenza nazionale per la salute mentale che si è tenuta a Roma in collaborazione con l’Università La Sapienza e la partecipazione di oltre 500 persone e 130 organizzazioni nazionali e locali, abbiamo dibattuto per due giorni sullo stato dei servizi di salute mentale e sulle disuguaglianze territoriali. Sono emerse (oltre alle tante esperienze di buone pratiche diffuse a macchia di leopardo) le criticità di un sistema che non ha garantito ovunque, in Italia, servizi territoriali orientati alla salute mentale di comunità, con piante organiche e profili professionali inadeguati e insufficienti a garantire i percorsi terapeutici e riabilitativi individuali dell’utenza in carico, e alla piena tutela della salute mentale della cittadinanza. È emersa una grave disomogeneità negli stili operativi e nella distribuzione delle risorse, tra le regioni e all’interno delle stesse. I lavori della Conferenza si sono conclusi con un documento che ha individuato 10 punti da presentare al Governo Nazionale e ai Governi regionali per un non più derogabile confronto con tutte le istanze sociali che portasse alle necessarie sanatorie.

In brevissima sintesi questi i titoli dei punti (il testo integrale si trova qui):

• inserire la salute mentale fra le priorità dell’agenda politica, anche in relazione all’aumento della sofferenza e del disagio a causa della persistente crisi;

• prevedere, già con la prossima legge di bilancio, finanziamenti adeguati per il SSN, (oggi largamente sottofinanziato) e una dotazione per la salute mentale almeno pari al 5% del fabbisogno sanitario;

• applicare il nuovo sistema di garanzia per i Livelli Essenziali di Assistenza, inserendo uno specifico set di indicatori per la salute mentale in particolare per l’assistenza territoriale e per le persone più a rischio di abbandono;

• definire con specifico provvedimento standard qualitativi, strutturali, organizzativi e quantitativi per l’assistenza distrettuale per la salute mentale;

• incentivare con precise misure modelli organizzativi di servizi di prossimità, Centri di salute mentale con ambiti territoriali di piccola scala, fortemente radicati nelle comunità – aperti almeno 12 ore al giorno e fino a 24 ore, 7 giorni su 7;

• incentivare la riallocazione delle risorse dalla residenzialità di lungo periodo verso la domiciliarità attraverso progetti di cura personalizzati sostenuti dal budget di salute;

• prevedere specifiche misure per il contrasto delle “cattive pratiche”, che violano i diritti delle persone in cura, con particolare riferimento alla contenzione;

• promuovere un impegno delle università per la formazione di professionisti orientata alle evidenze scientifiche internazionali, in particolare ai determinanti sociali della malattia mentale e alla territorialità della cura;

• ricostituire l’organismo di monitoraggio sul processo di superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari.

L’emergenza coronavirus, dichiarata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 31 gennaio 2020 (G.U. 1° febbraio), si innesta in questa situazione già fortemente problematica non solo per la salute mentale ma per tutte le categorie fragili della nostra società: le persone senza lavoro, le persone con disabilità, gli anziani soli, le persone che vivono la condizione della dipendenza, le persone private della libertà, le migliaia di persone che hanno le patologie gravissime, le persone (adulti e minori) costretti nelle strutture residenziali, le persone prive di dimora che vivono per la strada.

All’indomani dei provvedimenti di cui ai Dpcm del Presidente del Consiglio dei Ministri, abbiamo appreso che tutti i servizi territoriali di salute mentale, a seguito delle disposizioni ricevute dalle direzioni sanitarie, sospendevano, dall’oggi all’indomani, la loro attività ordinaria e le attività riabilitative di gruppo, le terapie individuali, gli incontri con i familiari, le borse lavoro e i tirocini. Si garantiscono solo le urgenze/emergenze.

Immaginate come può vivere una persona con una grave condizione di sofferenza mentale, a cui viene tolta l’assistenza e il sostegno, chiusa in casa, privata di relazioni sociali e terapeutiche fondamentali per la sua salute, costretta dentro lo spazio limitato e limitante della propria casa dove le tensioni e i conflitti esplodono in un attimo. Immaginate le loro paure, le loro percezioni visive o uditive di un pericolo imminente (i vicini, i rumori della strada, gli stessi familiari), l’ansia incontrollata che diventa panico e poi disperazione, la mancanza di aria che ti spinge a scappare di casa ma i tuoi ti dicono che non puoi, la depressione che ti toglie la voglia di vivere ma in casa hai dei figli minori di cui occuparti, hai delle responsabilità ma devi fare tutto da sola, nessuno può andare a casa a darti una mano, né un parente né un operatore.

Oppure pensate alle persone sole, completamente sole, chiuse nella loro totale e isolata disperazione perché non puoi andare al bar a prendere un caffè, o al Centro di salute mentale dove trovavi sempre qualcuno con cui parlare, o nella sede della associazione, o semplicemente nella piazza del paese. Persone che rischiano di morire nel chiuso delle loro case, da soli. Oppure, ancora, pensate a chi, grazie ad una borsa lavoro, aveva dato un senso alla propria esistenza e all’improvviso tutto si ferma, e non sai né quando né se riprenderà, e intanto devi tornare alla vita di prima fatta di nulla.

O ancora, pensate a chi ha fatto il suo primo e unico ricovero in Tso quando aveva 17 anni e oggi, che di anni ne ha 40 e vive l’obbligo dell’isolamento, sviluppa una brutta crisi psicotica che dura dieci giorni e che, alla fine, ha determinando il ricorso a un trattamento sanitario obbligatorio con tutte le conseguenze traumatiche che questo comporta.

Attraverso i contatti con le nostre associazioni abbiamo raccolto le domande, le preoccupazioni, le enormi difficoltà vissute dalle tantissime famiglie abbandonate nella gestione di situazioni anche gravissime. Abbiamo raccolto le tante testimonianze delle persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale che usano i servizi e dei loro familiari, ma anche l’incredulità e l’indignazione per decisioni, o non decisioni, che è veramente molto difficile comprendere. Abbiamo anche scoperto che non tutti i servizi si stanno comportando nello stesso modo. I servizi meglio organizzati, che costituivano quegli esempi di buone pratiche, pur limitando per ragioni di sicurezza l’attività riabilitativa di gruppo, hanno mantenuto aperti i servizi con l’accesso diretto, anche se graduale, dei pazienti, e il sostegno domiciliare, attivando tutte le misure di prevenzione e sicurezza indicati nei provvedimenti del Governo. Altri hanno ricevuto la disposizione restrittiva di tenere le porte chiuse, rinviare gli appuntamenti non urgenti a eccezione della somministrazione del farmaco depot e delle urgenze/emergenze (quali?), bloccare le visite domiciliari a eccezione dei Tso.

Queste segnalazioni ci hanno portato ad inviare, il 12 marzo, una e-mail urgente al Ministro della Salute e al Presidente Conte, esprimendo «forte preoccupazione per una situazione che rischia di giorno in giorno di andare fuori controllo. I servizi di salute mentale che già soffrono di una condizione di grave fragilità, nella situazione attuale in cui le persone fragili devono essere semmai maggiormente sostenute, rischiano abbandono e dolorose privazioni. Questo comportamento, oltre che inaccettabile, è ad alto rischio anche per la salute dei cittadini. Chiediamo quindi un provvedimento urgente che chiarisca, su tutto il territorio nazionale, quali interventi devono garantire i servizi di salute mentale per non abbandonare né danneggiare le persone con disabilità psichica e le loro famiglie.»

Anche il Coordinamento Nazionale della Conferenza per la salute mentale è intervenuto nei confronti del Governo e della Conferenza delle Regioni: «l’attuale condizione di emergenza sanitaria ha notevoli ripercussioni sulla vita di tutti i cittadini, ancor più gravi per le persone più vulnerabili, come coloro che già soffrono per problemi di salute mentale e le loro famiglie…servono ulteriori e più stringenti (non come ora facoltative) disposizioni rispetto a quelle contenute nell’articolo 9 del Decreto Legge 14/2020 rivolte alle persone con disabilità, e disposizioni destinate ad assicurare, con le necessarie misure di prevenzione e protezione per operatori e cittadini-utenti, l’assistenza territoriale e domiciliare alle persone con problemi di salute mentale».

È appena il caso di sottolineare che a nessuna di queste sollecitazioni il Governo ha ritenuto, fino a questo momento, di rispondere.

Fatte queste premesse, la preoccupazione, ma anche l’indignazione che noi esprimiamo, è altissima. In tutti i provvedimenti fin qui emanati dal Governo continua ad essere totalmente assente uno straccio di indicazione per la tutela della salute mentale dei cittadini. Ci saremmo aspettati, davanti a una emergenza di queste proporzioni, non solo la tutela della salute di tutto il personale sanitario dotandolo dei dispositivi di protezione individuale, ma il potenziamento della rete dei servizi sanitari e sociali del territorio. Ci saremmo aspettati anche la difesa dei posti letto nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, che in alcuni territori sono stati requisiti (nonostante la riduzione, nel contempo, della attività terapeutica e riabilitativa dei centri di salute mentale) per destinarli a posti letto per la rianimazione e la terapia intensiva. Posti letto necessari per le emergenze in salute mentale.

Potenziare la rete territoriale invece sarebbe stato fondamentale per non intasare gli ospedali e i pronto soccorso, per la continuità terapeutica e assistenziale delle persone più fragili, e avrebbe anche consentito il monitoraggio di un possibile sviluppo del contagio. Per prevenire un possibile peggioramento delle condizioni psichiche e sanitarie in generale, non solo delle persone già in carico ai servizi ma della cittadinanza duramente provata dalle restrizioni delle libertà personali, dall’isolamento, e dai timori per la propria vita e la vita dei propri cari, dai cittadini colpiti dall’epidemia. Ma anche per il doveroso e necessario sostegno alle persone che stanno vivendo l’esperienza più drammatica della loro esistenza, la perdita dei loro cari in ospedale che muoiono senza il conforto e distanti dalle persone che amano. Una esperienza terribile che nessuno di noi vorrebbe vivere.

Si poteva fare, in collaborazione con i medici di medicina generale, con la cooperazione sociale, con le organizzazioni di volontariato e dei familiari. Si poteva fare ovunque come è avvenuto in alcune realtà territoriali. Si poteva fare. E si può fare.

La libertà di movimento, la relazione terapeutica, l’affettività, la qualità del tempo di vita, l’impegno, sono ingredienti fondamentali nel percorso individuale di ripresa, nella riconquista della fiducia perduta. E il Governo aveva e ha la responsabilità di indicare azioni e strategie per tutelare la salute di chi vive la condizione della sofferenza mentale (e per tutte le fragilità maggiormente esposte) pur nella grave emergenza sanitaria che stiamo vivendo.

Auspichiamo, nella eventualità che l’emergenza sanitaria costringa (come temiamo) al prolungamento delle misure restrittive e dell’isolamento, una attenzione urgente e responsabile verso la parte più fragile della nostra società, senza abbandonare nessuno.