di Francesco Maisto.

Sarebbe ingenua e superficiale la tesi secondo la quale il noto e conclamato fenomeno diffusivo della contenzione meccanica (diversa dalla giustificabile contenzione fisica nei casi scriminati per Legge), sia in ambito psichiatrico, sia in quello geriatrico fino ai diversi ambiti delle altre disabilità, dipenda dalla riduzione delle risorse e dai conseguenti effetti sulla organizzazione dei servizi. Come è probabile che la contenzione sia tema-tabu’ perché, come insegna l’antropologia per argomenti di questo tipo, la loro trattazione e dialettizzazione scatena forti e contrastanti reazioni ed emozioni.

La (parziale) cosificazione del proprio simile, pur rappresentando un antico delirio di onnipotenza dell’uomo sull’uomo, e quindi, come tale indiscutibile e da condannare, merita qualche riflessione finalizzata allo scavo di qualche ragione poi costruita e perfino teorizzata.

Un apporto teorico e pratico potrebbe averlo dato, in primo luogo, l’assunzione acritica con la conseguente amplificazione distorta della dottrina del rischio, a carico degli operatori di psichiatria, sia nei confronti, sia da parte dei pazienti. Sicchè la formula “posizione di garanzia”, pur muovendo dall’area solidaristica, come tutela rafforzata e privilegiata del soggetto debole, ancorata agli articoli 2,32,41 co.II della  nostra Costituzione, sarebbe diventata l’immotivato principio di esposizione a rischio permanente della irrazionale responsabilità penale degli operatori stessi, ridotti dalla giurisprudenza penale tra l’incudine e il martello.

Una tale posizione, oggi prevalente, mi sembra invece, del tutto immotivata perché, se è vero che allo psichiatra le decisioni giudiziarie hanno sempre attribuito una posizione di garanzia per la protezione della salute e dell’integrità del paziente, è per altro verso vero che, eccetto qualche isolata sentenza del passato decennio, sia la dottrina (G. Fiandaca, A. Manacorda), sia la giurisprudenza della Corte di Cassazione (per tutte v. IV Sez. Pen., 5.5.”87) non hanno configurato in modo indiscriminato, un contenuto di vigilanza e di controllo a carico dell’operatore per i danni causati dal paziente alla salute ed all’integrità dei terzi.

Su queste basi non è stata difficile la formazione di una ”psichiatria difensiva”, divenuta una distorsione dell’accezione originaria nella contrapposizione del dibattito, a cavallo degli anni “70 e  “80, ad una “psichiatria repressiva” (Manacorda, Portigliatti Barbos, Traverso, Bourgeois). Sicchè, quella connotazione difensiva finalizzata alla tutela della salute mentale ed al riconoscimento di diritti personali e sociali del paziente, viene invece finalizzata alla tutela dell’operatore.

E’ fatto notorio che si diffondono pratiche e protocolli ospedalieri e professionali sulla contenzione nell’errato convincimento del valore giustificativo e tutorio per gli operatori in caso di lesioni, decessi e danni di qualsiasi genere ai pazienti. Tutti gli argomenti giuridici giustificativi di dette pratiche non tengono conto che nella legislazione vigente la contenzione in senso stretto, meccanica (distinta dall’occasionale ed eccezionale contenzione fisica e dalla contenzione farmacologia) non è prevista e che non trattasi di lacuna per distrazione del Legislatore, bensì di consapevole scelta dello stesso.

Ed allora sono importanti tre regole di fondo orientative per l’applicazione della legislazione ordinaria: il rispetto di: 1) il rapporto tra regola ed eccezione, 2) la gerarchia delle fonti del diritto vigente, 3)  la consapevolezza del valore del tempo nella legislazione e nella giurisprudenza.

Ha scritto Guido Rossi in “ Il gioco delle regole”: “ … la continua erosione delle regole non si limita a far apparire come accettabili comportamenti, individuali o collettivi, che fino a poco tempo fa sarebbero stati aspramente (e giuridicamente) sanzionati, ma intacca i valori su cui si reggono le società in cui viviamo…riprendere le definizioni di concetti cardine…un argine va trovato alla frantumazione delle regole…). Certo, sono possibili legittime eccezioni, ma tali devono rimanere, come, ad esempio, la legittima difesa (art.52 cod.pen), lo stato di necessità (art.54 cod.pen.), connotati da presupposti di attualità e tutti da provare, nei casi di morte, di sequestro di persona, di lesioni, ecc. del paziente.

La gerarchia delle fonti del diritto vigente dispone, in ordine decrescente e subordinato, gli atti normativi partendo e facendo prevalere la Costituzione, la Convenzione dei Diritti dell’Uomo, sulle Leggi ordinarie e regionali, sui Regolamenti, sulle Circolari e sui Protocolli. In questa prospettiva ed in base alla norma costituzionale secondo la quale “ I giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 101,co.II), i protocolli hanno un limitato e relativo ( Cass., IV Sez. Pen., 5.6.”09, n° 38154)  valore di regola di orientamento per gli operatori dovendo sempre il giudice valutare la sussistenza o meno degli estremi della colpa (professionale) come negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o  discipline (art.43 cod.pen.).

Fondamentale è infine l’importanza del tempo, sia ai fini della valutazione della Legge vigente, secondo la regola della successione delle leggi nel tempo, sia degli arresti giurisprudenziali.

Risibili appaiono quindi le pubblicazioni ed i protocolli che richiamano ancora l’enunciazione della cd. legge Giolitti del 1909 abrogata dalla L.180, sia i manualetti che riportano indiscriminatamente come arresti giurisprudenziali la famosa e storica sentenza del Pretore di Moncalieri e le più recenti sentenze della Corte di Cassazione.

Una doverosa lettura ed applicazione globale e cogente della nostra Costituzione impone doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ( art.2), la rimozione di ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione (art.3), l’inviolabilità della libertà personale ed divieto di qualsiasi restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e  modi previsti dalla legge (art.13), la tutela  della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art.32).

Ora, se è vero che la costituzionalizzata doppia riserva di legge e di giurisdizione trova la sua esplicazione nella legge (ordinaria) n° 180 e negli artt. 33,34 e 35 della L. n°833 del 1978, e quindi nella distinzione tra T.S.O. e T.S.V. anche con riferimento alla “malattia mentale”, è parimenti vero che dette Leggi, non solo non menzionano la contenzione, ma, di più, la nozione di trattamento sanitario obbligatorio non coincide né con quella trattamento sanitario coattivo, né con quella di contenzione.

Rem tene, verba…La conferma risulta evidente dalla semplice ed agevole lettura delle leggi in successione : la L. n° 180 consapevolmente non ha usato la parola e non ha voluto la contenzione.

Quella parola e i suoi sinonimi non erano estranei al lessico giuridico.

Ed invero, la cd. legge Giolitti, l’art. 60 del Regolamento manicomiale del 1909 disponeva che “ nei manicomi devono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell’istituto. Tale autorizzazione deve indicare la natura e la durata del mezzo di coercizione. L’autorizzazione indebita dell’uso di detti mezzi rende passibili coloro che ne sono responsabili di una pena…”. Come detto, tale disposizione non solo è stata abrogata dalla L.180, ma anche in collegamento con la L.833, non  parla né di contenzione,né di mezzi di coercizione.

Peraltro, a dimostrazione che quando il legislatore ha ammesso mezzi di coercizione prevedendoli esplicitamente, si trovano indicazioni nell’Ordinamento Penitenziario tanto nell’art.41 (L. n° 354/1975) che disciplina l’impiego  della “forza fisica” e dei “ mezzi di coercizione” nei confronti dei detenuti e degli internati, quanto nel relativo Regolamento di esecuzione ( art. 82 D.P.R. n° 230 del 2000). Così come la L. n° 492/1992 ( Disposizioni in materia di traduzioni di soggetti in condizioni di restrizione della libertà personale…) all’art.2, nel  disciplinare l’accompagnamento coattivo , l’uso delle manette ai polsi, l’uso delle manette modulari multiple, pone divieti a “qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica”

Ho voluto “usare parole ovvie, per non mascherare sotto la costruzione di teorie apparentemente nuove il desiderio ultimo di lasciare le cose come stanno”, secondo la lezione di Franco Basaglia nelle Conferenze brasiliane. Al 5° Simposio internazionale di etica clinica del 2008, a Lugano, tutte le lezioni sostennero che “l’istituzione non può essere contenzione, ma soltanto accoglienza”.

Del resto “ Noi tutti abbiamo un compito supremo nell’esistenza: custodire  delle vite con la nostra vita. Guai a noi se non scopriamo chi dobbiamo custodire, guai a noi se li custodiremo male!” ( Elias Canetti).

(in SOUQ, n.4/2011)

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