Marco Cavallo. Da un ospedale psichiatrico la vera storia che ha cambiato il modo di essere del teatro e della cura è il nuovo titolo della riedizione realizzata da alphabeta Verlag di Merano e il primo testo della nuova collana 180 Archivio critico della salute mentale.
Marco Cavallo torna a raccontare la sua storia
A partire dai sessanta giorni nel manicomio di Trieste fino a oggi, un’occasione per scoprire come il teatro ha cambiato il modo comunicare la libertà di esistere, restituendo a ognuno la possibilità di una vita migliore.
A distanza di trentacinque anni le cronache dell’esperienza di Marco Cavallo, scritte da Giuliano Scabia e pubblicate da Einaudi nel 1976, si riaffacciano sul mondo dell’editoria in una veste nuova.
Il libro racconta la storia della libertà riconquistata dagli internati che ancora oggi ci parla di futuro, apre alla possibilità, invita a una scelta di campo. Il testo originale (vera storia, racconto del teatro e poema in prosa scandito in stanze) è stato preservato con cura in quanto testimonianza letteraria, storica e sociale di grande valore, come lo stesso Umberto Eco avevo dichiarato dopo averlo letto:
Come accade con tutti i libri singolari, il riassumerli li ammazza. Perché il fascino di Marco Cavallo sta nel racconto a diario, steso giorno per giorno, da quando la troupe si installa in un laboratorio del manicomio, a quando i vari degenti a poco a poco si avvicinano e cominciano a lavorare, mentre altri resistono, qualcuno fa ostruzionismo, altri ancora cedono via via, il nucleo di operatori iniziali aumenta, nascono manifesti, dipinti, giornali murali, ambienti favolosi, e si procede lentamente alla costruzione di un grande pupazzo in legno e cartapesta, un cavallo. Marco Cavallo, che diventa a poco a poco il simbolo di questa grande festa liberatoria, in cui accadono cose importanti per l’arte e la comunicazione, ma anche cose importanti per la psichiatria a quanto pare, e individui che sino ad allora erano rimasti chiusi a ogni rapporto dialogico, ritrovano una dimensione collettiva e persino si scopre che possono tornare a casa (Corriere della sera, 6 luglio 1976).
Da allora lo scenario è inevitabilmente cambiato. È quindi sembrato doveroso accostare al testo originale elementi del passato e del presente che permettessero al lettore di capire e immedesimarsi nuovamente nell’esperienza di cambiamento incarnata dal “cavallo azzurro”.
L’attuale edizione del libro, curata da Elisa Frisaldi, è stata arricchita da: la Prefazione scritta da Franco Basaglia per l’edizione tedesca di Marco Cavallo (1979), il saggio di Umberto Eco Un messaggio chiamato cavallo (Bompiani, 1977), il saggio Racconto dei viaggi di Marco Cavallo nel mondo fuori di Peppe Dell’Acqua ed Elisa Frisaldi, un impianto iconografico rinnovato grazie al recupero delle foto originali e all’aggiunta di preziosi inediti, e un dvd (Marco Cavallo 1973/2004) con le immagini della creazione di Marco Cavallo realizzate dal fotografo e cineamatore Geri Pozzar nel 1973 e commentate nel 2004 da Giuliano Scabia e Peppe Dell’Acqua.
Per riafferare il senso del viaggio
Il desiderio condiviso dalla casa editrice e dagli autori che hanno lavorato alla nuova edizione di Marco Cavallo è che l’uscita del libro possa rafforzare, stimolare e provocare il desiderio e la memoria del cambiamento, allontanando la smemoratezza che rischia di appiattire e cancellare dal presente ogni traccia del passato profondo.
Troppe voci tacciono. Coscienze morte.
La follia rischia sempre più spesso di essere associata alla pericolosità.
Il cavallo oggi è ancora più magico di allora e, tuttavia, rischia di tornare a essere rinchiuso, circondato da mura. E invece deve continuare a “correre”, deve girare tutta la penisola facendo sosta davanti ai servizi di diagnosi e cura chiusi, davanti ai luoghi in cui le persone muoiono di psichiatria, davanti ai centri di salute mentale vuoti, sporchi e privi di significato, davanti alle cliniche private, private di senso, che privano le persone di futuro.
Da quando ha fatto breccia nelle mura del San Giovanni, il cavallo azzurro ha capito che, da quel momento in poi, avrebbe sempre dovuto raccontare la sua storia dall’inizio, come fosse la prima volta. E così farà ora, a distanza di tanti anni. Buon viaggio Marco Cavallo!
Dalle pagina della Cronaca del laboratorio P
Tredicesimo giorno (26 gennaio 1973)
La nascita dei burattini è lenta e faticosa. Dappertutto si disegna, Vittorio e Federico vanno avanti col cavallo, Ortensia si occupa soprattutto dell’organizzazione della sala dei pupi. Stefano e Vittoria seguono i disegni nuovi che si vanno accumulando. Molti disegni in successione diventano storie, libri. Cucù realizza serie sempre diverse di disegni astratti che sono strutture in continua metamorfosi, abitate da un segno base variato in grandezza, colore e posizione, un cuneo che in campo sonoro potrebbe essere assimilato a un fonema alto-basso-alto (o basso-alto-basso). Tutti sembrano saper trovare i propri segni per comunicare: e si ha la dimensione di quanto tutti siamo espropriati della possibilità di esprimerci quando un infermiere, vedendo un foglio riempito di piccoli disegni da un ricoverato che per la prima volta è venuto al P, dice: – Come, Pockar ha fatto dei disegni?
[…] I burattini in mano, gestiti a vista, funzionano perfettamente, molto meglio che facendo i burattinai nascosti. Così il burattino diventa un tramite dietro cui ci nascondiamo, pur rimanendo esposti. Col burattino in mano e allo scoperto recuperiamo la recitazione del pupazzo e insieme la recitazione del nostro corpo. Il burattino facilita la rottura della barriera che si interpone fra due che parlano.
I burattini hanno una nascita, una vita e una morte. L’ho imparato, questo, a poco a poco, costruendo e facendo costruire centinaia di pupazzi in questi anni (sono pupazzi che si costruiscono rapidissimi, in meno di mezz’ora, di cartapesta). Si possono anche scrivere le loro biografie. Qui al P abbiamo una rastrelliera grandissima costruita da Stefano e ogni dente porta infilato un burattino. Sopra il burattino c’è il foglio con la «vita» di ciascuno…
Trentaquattresimo giorno (24 febbraio 1973)
Insistiamo che abbiamo lavorato senza spirito missionaristico o pietistico (la buona azione coi matti), mettendo in gioco il nostro mestiere (chi fa l’uomo di teatro il suo mestiere teatrale, chi fa il pittore il suo mestiere di pittore, chi fa l’insegnante il suo mestiere di insegnante, ecc.), confrontando cioè le nostre capacità tecniche con la necessità continua di inventare, di trovare soluzioni, di fare teatro, pittura, musica, pedagogia attraverso strade accessibili a tutti, in cui si trovino protagonisti. Non è vero che i ricoverati abbiano fatto tutto di testa loro: abbiamo fatto insieme. Noi abbiamo rinunciato a qualcosa della nostra espressività?
No: attraverso le difficoltà della comunicazione abbiamo sicuramente dilatato la nostra percettività. Ed è proprio questo confronto continuo di ciò che tutti sapevano fare che ha fondato una parità sul piano espressivo e una continua sfida (al nostro mestiere).
Trentacinquesimo giorno (25 febbraio 1973)
In testa viene il camion che traina Marco Cavallo, sul quale stanno in piedi o appollaiati Ljubo, Vittorio, Riad, Stefano e altri. E una fila lunghissima di automobili cammina dietro al cavallo azzurro, che scivola alla velocità di una corsa d’uomo, sotto i muri tetri e le finestre e le serrande chiuse di una città domenicale semivuota e un poco ostile. Nel traffico e sotto gli sguardi un po’ stupiti della gente che lo incontra, Marco Cavallo ha la sfacciataggine dell’assurdo (ma un assurdo ben carico di significato), che lo fa sembrare gigantesco, mentre non è alto neppure tre metri.
Trieste è tappezzata dei nostri manifesti, ma la gente che ci guarda passare non sembra capire, come se il muro che il cavallo ha dovuto rompere per uscire dal manicomio ce lo portassimo addosso. In qualche momento abbiamo l’impressione di attraversare una città morta. Forse per questo sentiamo il cavallo azzurro tanto più vivo. Poi sulla costiera della collina con tutto il mare davanti, San Giusto ci appare piena di gente. Si intravedono le figurine nere e molti ci vengono incontro, applaudono.
Contatti
Aldo Mazza
Edizioni alphabeta Verlag
Piazza della Rena 2I-39032 Merano (BZ)
tel.: +39 0473 210650
fax: +39 0473 211595
e-mail: mazza@alphabeta.it
sito: www.alphabeta.it/verlag/edizioni_ab.html