Ti trovi di fronte questa immagine nella sala d’attesa del reparto di oncologia a Macerata. Tu ti siedi, alzi gli occhi e ti metti a pensare. Ti chiedi se è così in tutti gli ospedali o se è solo in quello della tua città che si opera una distinzione tanto netta. Provi a ripeterti che con tutti i problemi conseguenti i tagli alla sanità non è certo primario occuparsi di questi cartelli che magari sono qui da un sacco di tempo e nessuno ci fa più caso. Eppure continui a rimuginare sul termine ‘handicappati’ perché non sei mica sicuro di cosa voglia ben dire. Magari con un’accezione più ampia vuol rivolgersi ai pazienti, altrimenti capisci bene che un visitatore in carrozzina manderebbe al collasso questo format degli handicappati di qua e del pubblico di là. Questo avrebbe senso perché i pazienti non fanno parte del pubblico mi sa. Che anche ‘pubblico’ poi pare più che altro riferito a uno spettacolo, come se da un momento all’altro dovessero arrivare degli attori a inscenare qualcosa, il che giustificherebbe in qualche modo il prezzo del biglietto pagato per essere qui, che comunque non riuscirai mai ad accettarlo che parcheggiare all’ospedale non debba essere gratis. E però te ne stai seduto e non succede un granché.
Un’infermiera ti interroga perché non ti riconosce. Dici:”Aspetto mio padre.”
L’orologio è fermo sulle 2:40. Pensi di andare a comprare una pila per farlo ripartire finché non vai in paranoia. Ti accorgi che quasi tutti gli orologi in reparto, quasi tutti tranne uno, sono fermi sulle 2:40. Può darsi abbia un senso ‘sta cosa ma tu che ne sai? Può darsi sia meglio non fissare lancette sul tempo che passa.
-Che ora è?
-Questa è l’ora del tempo immobile.
Che siano stati caricati tutti insieme e tutti insieme si siano di conseguenza fermati non ti sfiora neanche, ma del resto il tuo problema più grande è sempre stato che sentendo gli zoccoli non hai mai pensato ai cavalli.
Guardi tuo padre e la porta.
Finché si riesce meglio fare le scale, poi si vedrà.
Angelica Paolorossi