Il 17 novembre 1999 le associazioni dei famigliari incontrando a Roma l’allora Ministro della Sanità Bindi per chiedere attenzione ai problemi della promozione della salute mentale, presentarono la lettera di un giovane paziente. poi pubblicata su il Sole 24 ore Sanità n. 46 1999, titolata “Slegatemi dalla paura”.
“Onorevole signor ministro,
ho 29 anni e vengo dalla Sardegna per parlare con Lei (…) Durante la degenza al servizio di psichiatria di Cagliari, durante una settimana sono stato legato per giorni interi e imbottito di psicofarmaci. Quando ero legato qualcuno degli infermieri mi insultava dicendomi:” adesso cagati e pisciati addosso”. Ero spaventato e agitato, chiedevo che mi slegassero, volevo andare a casa. Sono rimasto legato tre giorni interi; solo l’intervento di mio padre ha messo fine a questa tortura. (…). Signora ministro io Le chiedo, a nome di migliaia di persone che hanno i miei stessi problemi, queste riforme: 1) eliminare i farmaci che hanno effetti gravi come le crisi dislettiche (…); 2) creare comunità per i malati di mente; 3) divieto di legare i malati di mente.”
Le storie cagliaritane di trattamenti psichiatrici pesanti sono quindi antiche e fanno riferimento evidentemente a consolidate prassi locali. Una indagine recente condotta in 10 paesi europei sull’uso di misure coercitive in corso dei trattamenti psichiatrici coatti (Raboch e altri, «Psychiatric services» 2010, 61, 1012-1017) conferma che il loro uso è fortemente condizionato dalle tradizioni locali e dagli atteggiamenti sociali nei confronti dei cittadini con disturbo mentale.
Ma è anche vero che non sé più tollerabile che non abbiano risposta quelli che nel terzo millennio addirittura definiscono la contenzione un “atto medico”: ricordo che l’alleanza terapeutica, l’autonomia decisionale e il rispetto della persona nel rapporto di cura sono veri e propri principi generale, valori-guida dei Codici deontologici di medici e infermieri. Per questo sono scandalosi il silenzio della Regione sarda, dei manager della sanità regionale e delle organizzazioni professionali sanitarie dell’isola: chi intendano tutelare mettendo la testa sotto la sabbia?
In Italia esistono Servizi psichiatrici di diagnosi e cura con le porte aperte e dove non si lega; ciò significa che è possibile cambiare anche culture professionali consolidate per mettere al centro del lavoro di cura la persona che sta male. Al riguardo va ricordato che nella nostra Carta Costituzionale non è previsto l’obbligo di curarsi, mentre invece è riconosciuto il diritto a essere curati.
Nelle attività di assistenza psichiatrica:
• in epoca pre-psicofarmacologica è stato possibile occuparsi ed assistere i pazienti psichiatrici senza legarli;
• il massiccio ingresso degli psicofarmaci nei trattamenti psichiatrici non ha eliminato le pratiche delle contenzioni e dell’isolamento né ha modificato significativamente la situazione;
• situazioni simili dal punto di vista clinico e dei comportamenti della persona ricoverata trovano risposta diversa a seconda dei contesti istituzionali e degli operatori. Tenere le porte dei reparti chiuse a chiave, legare le persone e tenerle in isolamento per minuti, ore, giorni, è una scelta che dipende dalle culture professionali locali, dalle caratteristiche personologiche degli infermieri e dei medici, dalle relazioni interpersonali e di potere all’interno delle squadre che si avvicendano nei turni di servizio, dai rapporti fra medici e non-medici negli staff.;
• contenzione ed isolamento in talune situazioni rientrano nei programmi di trattamento; in altre costituiscono episodi “eccezionali”, di breve durata, nella “carriera istituzionale” del paziente.
In epoca manicomiale le pratiche della contenzione e dell’isolamento erano consentite dall’articolo 60 del Regio Decreto 16 agosto 1909, n. 615 “Regolamento sui manicomi e gli alienati”:
” Nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell’istituto. Tale autorizzazione deve indicare la natura e la durata del mezzo di coercizione. L’autorizzazione indebita dell’uso di detti mezzi rende passibili coloro che ne sono responsabili (…). L’uso dei mezzi di coercizione è vietato nelle case di cura private (…).”
Contenzioni e isolamento costituiscono un aspetto sgradevole, di particolare asprezza, sensibilità e criticità della qualità dell’accoglienza e dei trattamenti nelle strutture di assistenza psichiatrica, una questione sulla quale è doveroso mantenere grande attenzione. In Italia, non essendovi più l’alibi del “queste cose si facevano in manicomio”, è ancora più doveroso oggi monitorare le situazioni, sollecitare l’attenzione delle Aziende Sanitarie, degli operatori, degli utenti e delle loro organizzazioni, dei movimenti per i diritti civili.
Per questo sarebbe necessario un progetto nazionale di ricerca per far uscire alla luce del sole la questione contenzioni, per quello che è effettivamente nelle pratiche quotidiane dell’assistenza psichiatrica, perché chi le sceglie e le adotta ne risponda, per evitare atteggiamenti di mera deprecazione o risposte giustificazionistiche incapaci di misurarsi con la durezza del tema.
Il progetto dovrebbe raccogliere dati su tutto il territorio nazionale circa il numero, la durata, le motivazioni delle contenzioni meccaniche e dell’isolamento, le ragioni degli infermieri e dei medici, l’esistenza di regolamenti scritti adottati dal Dsm o dagli Spdc, il numero e la qualità degli incidenti a carico del paziente e del personale (infortunio sul lavoro) conseguenti alla gestione della contenzione, i vissuti di chi subisce tali trattamenti.
Dall’indagine si potranno ricavare dati utili per programmi di formazione di base e permanente per tutti gli operatori della salute mentale.
Dobbiamo essere consapevoli della asprezza di un argomento che non riguarda come sappiamo solo la storia e l’attualità dell’assistenza psichiatrica italiana: non dobbiamo dimenticare infatti, per parlare delle sole strutture sanitarie, che le contenzioni sono largamente in uso anche in altre attività di assistenza, dalle corsie degli Ospedali per acuti ai reparti di lungodegenza ed alle RSA.
Mantova, 23 ottobre 2010