logo_bisDi Peppe Dell’Acqua.

Riprendo il suggerimento di Luigi Benevelli che invita a segnare all’ordine del giorno il problema della formazionedi formazione.

Nelle facoltà di medicina, di psicologia, di infermieristica, di assistenza sociale e nelle scuole di specializzazione  e di riabilitazione psichiatrica è difficile trovare corsi, seminari, ricerche legati alla storia del cambiamento, alle possibilità di cura e di emancipazione che sono nate dalle prime porte aperte dell’ospedale goriziano. I riferimenti vengono cercati altrove, si studiano malattie, modelli di servizi, assetti sociali e politici che non tengono conto della scelta di campo che il nostro paese ha fatto abbandonando il modello manicomiale, restituendo diritti, e scommettendo sulle possibilità dei singoli. Ovunque si insegna La Psichiatria e ovunque domina la freddezza del paradigma medico, troppo spesso mutuato da assetti culturali e sanitari di altri paesi.

Chissà cosa raccontano della storia malattia mentale? E del malato? Della legge 180? Della chiusura dei manicomi? Dei diritti? Delle ritrovate cittadinanze?

So per certo che nelle nostre scuole è raro sentire parlare di salute mentale, che non è psichiatria!  L’insegnamento dominante delle psichiatrie la ignora, oppure la incorpora e la snatura.  Così il dipartimento di salute mentale, in alcune regioni, diventa dipartimento di psichiatria e i servizi territoriali di salute mentale, ambulatori di psichiatria. È chiaro che non è la stessa cosa. I nomi tradiscono la persistenza di modelli che avremmo dovuto abbandonare e comunque una sorda resistenza al cambiamento.

Salute mentale è mettere in campo le persone con le loro singolari esistenze; cogliere l’insieme delle relazioni, delle tensioni, dei conflitti di una comunità; portare le risorse e le cure dalle istituzioni, dagli ospedali (mi riferisco qui alle strutture residenziali, ai “repartini” ospedalieri e non ultimo oggi agli Opg) nel territorio; spostare l’attenzione dalla malattia all’individuo (alla persona, al cittadino) e alle sue peculiari dis/abilità; muovere da azioni individuali ad azioni collettive nei confronti delle persone con disturbo mentale e dei loro contesti. Incontrare e “creare” esistenze.

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