di Paolo Tranchina

Carissimi

penso di fare cosa gradita inviandovi il resoconto completo e dettagliato del Seminario a un anno dalla scomparsa di Sergio Piro tenutosi a Napoli nei giorni 7-8-9 gennaio 20010.

Con la presente mi permetto anche di chiedervi, cortesemente, di abbonarvi alla rivista Fogli d’ Informazione per il 2010. Sono quaranta anni che la pubblichiamo e per questa ricorrenza tiamo preparando una serie di inziative che hanno bisogno del vostro sostegno. Le modalità di abbonamento sono alla fine del resocont.

Cordialmente

Paolo Tranchina

 

 

ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

Palazzo Serra di Cassano, Via Monte di Dio 14, Napoli

7-9 GENNAIO 2010

SEMINARIO DI STUDI SU

 

SERGIO PIRO

A UN ANNO DALLA SCOMPARSA

 

GIOVEDÌ 7,

EPISTEMOLOGIA, SCIENZE UMANE, ANTROPOLOGIA, ore 16

ORE 16:, T. DE MAURO, M. FIMIANI, A. MASULLO, H. PFEFFERER-WOLF, F. ROTELLI

PRESIEDE: G.CANTILLO

 

Sergio Piro coniugava senza soluzione di continuità polo umanistico e polo scientifico

 

– G. Cantillo: Ricorda come per Sergio Piro la parità nella relazione curatore-curante sia sempre stata al centro dei suoi interessi, insieme al massimo rispetto per la dignità dell’altro, del malato, dell’escluso. Fondamentale anche il desiderio di tenere insieme la totalità in tutti i suoi aspetti e determinazioni, coniugando, senza soluzione di continuità, polo umanistico e e polo scientifico.

 

Lavorare su Sergio significa continuare a lavorare contro i rigurgiti reazionari oggi così diffusi

 

– Francesco Piro: Questo seminario è parso il mondo migliore per ricordare Sergio Piro, che è sempre stato un intellettuale militante. Non si tratta di commemorarlo, si tratta di riaffermare criticamente i filoni fondamentali del suo lavoro pratico-teorico, traendone ciò che ci ancora utile per lottare efficacemente contro rigurgiti reazionari oggi così diffusi.

 

 

Al centro del discorso c’è sempre il singolo paziente concreto

 

– Tullio De Mauro: Traccia una minuziosa puntuale biografia di Sergio. Dopo la laurea, guardandosi in giro, ha scelto di frequentare l’Istituto di Psicologia, cosa non consueta per uno specializzando in psichiatria, interessandosi di psicolinguistica, dei processi collegati alla neuropsicologia, cosa che allora rappresentava una frattura rispetto agli interessi tradizionali. Si è interessato dei rapporti tra malattia mentale e musica, malattia mentale e arti plastiche, con una attenzione analitica al linguaggio del malato mentale, cercando di cogliere il senso che una persona intende esprimere. Il suo interesse teorico si intreccia con la storia della singola persona per aiutarla a esprimere in modo accettabile il senso che vuole comunicare agli altri. Il suo interesse per l’analisi scientifica del linguaggi parlato, della lingua viva, avviene in un tempo in cui ci si interessava solo di lingue morte, guardandosi bene dalla teoria e dalla filosofia.

Del 51-59 è la sua esperienza antistituzionale di Nocera Superiore e Inferiore.

A questo punto si interessa dei problemi di interfaccia tra lingua italiana e dialetto nel malato di mente. Cosa che porta alla critica dei tests. Nei test il paziente risponde infatti in napoletano. Per esempio se gli si chiede cosa significa la parola tabaccaio, che in napoletano si dice tabacchino, gli viene da pensare a qualcosa di diverso dal negozio di vendita delle sigarette, pensa alla fabbrica di tabacchi. Insomma i tests sono criticabili perché tarati su altri linguaggi in altri contesti e culture.

A Materdomini, che era un’opera pia, fonda la seconda comunità terapeutica italiana, dopo quella di Franco Basaglia a Gorizia. Critica le ripartizioni tra i saperi, in particolare quella tra scienze umane e scienze della natura.

Nel 1967 esce per i tipi di Feltrinelli “Il linguaggio schizofrenico”, con una bibliografia sterminata, in cui puntigliosamente quando non ha letto personalmente un libro, riporta la fonte della sua citazione, cosa che non tutti sempre fanno.

E’ particolarmente attento al rapporto tra docenti e allievi, gettando uno sguardo politico alle condizioni culturali e antropologiche del lavoro dello psichiatra e all’appartenenza socio-culturale del malato e del terapeuta. Da qui dati antropologici fortemente storicizzati per capire cosa sta succedendo nel nostro mondo e in quello del paziente.

Piro elabora il suo zibaldone nel quale utilizza tutto quello che sa sulla critica all’antropologia più tradizionale, senza trascurare mai il punto vista del paziente, del singolo paziente concreto, che mette sempre al centro del suo discorso. Lo si vede bene nel testo “Le parole della follia”.

Sempre interessato ai movimenti, con Franco Basaglia e gli altri, fonda Psichiatria Democratica.

Lavora quindi sulla soggettività. Contro il disimpegno della soggettività degli operatori psichiatrici, Piro chiede partecipazione, immedesimazione, ma proprio questo fa capire perché utilizzi tanta epistemologia.

Lavora anche sulla storia, la sociologia, la scienza dell’ambiente, sulle strategie linguistiche, la memoria, per ricostruirla come nucleo individuale. Usa parole come cronodesi, doxicità: è la ricerca di termini nuovi per

ancorare concetti nuovi, per catturare la curiosità delle persone in formazione.

 

Affrontare il nuovo millennio con una disposizione metacritica nei confronti dell’ontologia , dell’epistemologia, e della politica.

 

– Maria Paola Fimiani: Parte dall’incontro con Sergio Piro nel 1968 quando lei aveva scritto Futuro logico e tempo storico che deve molto alle discussioni con Sergio. Si sofferma poi sulle ultime opere di Piro, nelle quali viene portato a compimento il consumo della prospettiva antropologica. Pur stabilendo l’impossibilità di una antropologia che fondi una volta per tutte le scienze umane – la prospettiva diventa pluralistica; si tratta di “antropologie”, di “scienze umane”. – Piro mantiene un termine tradizionale: “trattato”, (usato ancora nel 2002). Il lemma “tractatus” evoca però ormai non una esposizione ordinata e definitiva, ma piuttosto il processo diadromico che esprime, il ripetersi e lo strappare, la sintesi e l’invenzione come elementi tra loro collegati. Il “corpus” teorico non è più un insieme organico, ma u n insieme di rinvii che non danno luogo a un principio e una fine, cosa che rimanda al “corpus” di Jean-Luc Nancy. Non si trata però di un insieme che non esprime una direzione precisa.

Piro vede gli esiti contraddittori del Novecento, il suo chiudersi nel segno della “aprassia politica” e della “indeterminazione culturale” e invita ad affrontare il nuovo millennio con una disposizione metacritica nei confronti dell’ontologia , dell’epistemologia, e della politica.

 

Mi ha trasmesso la capacità di trasformare le biografie abbandonate dei pazienti in scrigni di senso infinito

 

– Roberto Beneduce: Ho avuto con Sergio uno scambio continuo, sembrava che anticipasse sistematicamente i miei interessi. Mi ha insegnato la possibilità di apprendere e conoscere da qualsiasi testo. Mi ha trasmesso la capacità di trasformare le biografie abbandonate dei pazienti in scrigni di senso infinito. Usava i termini nuovi come magneti. Come De Martino, Devereux, Franz Fanon , era dirompente, connetteva ambiti insoliti. Questa è la modernità di Sergio.

Era capace di anticipare temi che sono dell’umanità. Le sue riflessioni sull’identità erano qualcosa che l’antropologia avrebbe trattato poi, negli anni successivi. Altro che esotismi epistemologici, territori nuovi per sottoporre a critica i saperi psicologici e psichiatrici. Non innocenza epistemologica. Critica Korsbiski e Vella per estirpare vecchi saperi, ovvietà.

Ha anticipato il mio interesse per l’emigrazione, si ferma su Maslow con forza e potenza, anticipa tutto e tutti, e colloca al centro l’emarginato, l’emigrato.

La cronodesi è la capacità di leggere i fatti in una connessione che mai si esaurisce. Importante il suo interesse per le tecniche psicoterapiche che chiama residui operazionali.

Critica l’atassia politica….Sostiene che il potenziale critico presente è solo da scoprire.

La sua riflessione sul dialetto, come discontinuità del dialogo era stata affrontata anche da Franz Fanon. I tests andrebbero costruiti per gruppi storico-culturali. Possiamo parlare di controtransfert culturale.

Lavora non sugli aspetti delle diverse scuole di psicoterapia, ma sulla dimensione culturale, consapevole dei giochi culturali nei quali siamo immersi, anche se ci sentiamo vicini all’altro.

Per il pensiero di Sergio Piro…la difficoltà della sua scrittura… dice le cose scomode, nessuna tecnica può lenire la sofferenza. E’ preoccupato della dilagante voglia di semplicità, che corrisponde quasi alla morte del pensiero.

Aveva il piacere di rendere faticose le conoscenze, per cambiare le regole del gioco. Il problema è la trasmissione di sapere critico, la necessità di non soccombere alla rassegnazione, all’ovvio. Raccogliere questa eredità di Sergio Piro significa chiederci in che misura riusciremo a trasmettere la voglia di non accontentarsi di risposte banali

Come concepire la cura dell’altro come un dispositivo che non dia risposte scontate, ma faccia anche della cura un momento di ricerca?

 

Sergio mi ha sempre affiancato come un compagno, un fratello, con una generosità incredibile

 

– Franco Rotelli: Ho lavorato tre anni in questa regione. Sergio mi ha sempre affiancato come un compagno, un fratello, senza mai far prevalere un minimo di narcisismo, egocentrismo, con una generosità incredibile.

Voglio rispondere con la mia profonda, radicale sfiducia in pretese coscientizzazioni delle persone trascendendo le pratiche. Nella attività delle scienze umane, come in altri percorsi, la questione vera è cosa facciamo, che pratiche riusciamo ad attuare per smontare e a rimontare qualcosa di nuovo.

Ho paura di qualsiasi tentativo su base scientifica che tenti di appropriarsi della vita , imprendibile da qualsiasi scienza. Credo che il nostro lavoro abbia a che fare con l’etica, l’estetica, più che con la scienza. La vita non è trasferibile in saperi. Alla fine o conosci la tua propria vita, e quella dell’altro, o assisti scettico a situazioni in cui qualcuno continua a soffrire…..

Sergio ha continuato a voler credere che attraverso la ricerca scientifica si potesse arrivare da qualche parte continuando a lavorare, ma allo stesso tempo ha avuto il coraggio, con la sua pratica trasgressiva, di determinare campi di cambiamento, imparando dai fallimenti, cambiando la realtà e cercando di comunicare questi processi così difficili da trasmettere.

Quando poi, nel concreto, viene messa in gioco la complessità, da pratiche che fanno aprire gli occhi quando producono cambiamento, allora scatta qualcosa che attiene alla coscienza e alla trasformazione del mondo.

Profondo rispetto quindi per questa azione che ha cambiato molte cose in questa regione che, ingrata, ha rifiutato di riconoscerne le virtù.

 

 

 

 

 

VENERDÌ 8, MATTINA

DALLA LOTTA ANTIMANICOMIALE ALLE RIFORME MANCATE

ORE 9.30: F. BLASI, T. CAPACCHIONE, G. DELL’ACQUA, P. MARTELLI,

P. TRANCHINA

 

 

 

 

Il linguaggio non ci serve perché incapace di descrive l’anima, della quale ci dà solo frammenti strappati

 

– Hans Pfefferer Wolf:

In sua assenza viene letto un suo breve comunicato.

A proposito dei problemi di integrazione e comunicazione, riferisce di uno scritto di Von Kleist del 1805 alla sorella.

“Tu non sai come aprire il mio interno? Mi piacerebbe, ma non posso, ci manca il mezzo per comunicare. Il linguaggio non ci serve perché incapace di descrivere l’anima, della quale ci dà solo frammenti strappati”. Ecco i problemi dei nostri pazienti.

 

Sergio Piro fu uno dei più grandi giornalisti critici

 

– Francesco Blasi: Si sofferma su Piro giornalista definendolo uno dei più grandi giornalisti critici.

Criticata l’accusa di oscurità a Sergio, che spesso nasconde solo la pigrizia intellettuale dell’interlocutore, si sofferma su alcuni punti:

– L’osservante e l’osservato sono della stessa natura e accadono nello stesso spazio-tempo, l’importante è cercare di connettere i diversi tipi di osservazione.

– Piro ha avuto capacità divulgative e polemiche straordinarie.

– Era capace anche di grandissime sgradevolezze e durezze. Nel caso dell’uccisione di uno psichiatra da parte di un paziente, reso onore al collega bravissimo, cifre alla mano dimostrò che rispetto ad altre situazioni, per esempio i presidi di pronto soccorso, il numero di operatori psichiatrici deceduti era infimo, e chiuse il discorso.

Intervenne anche a favore dei 19 pazienti bruciati in una struttura intermedia in Campania, e anche per Vito De Rosa, che dopo 50 anni di OPG ricevette la grazia da Ciampi. Si oppose con forza al ripristino dell’elettrochoc alla Seconda Clinica Psichiatrica. Bellissimo anche l’articolo che ha scritto per la nascita del Forum di Salute Mentale.

Sergio Piro rappresentava un punto fermo contro i semplificatori, contro chi si sente portatore della verità.

 

Nella legge 180 invece degli SPDC si dovevano fare Centri Crisi aperti 24 ore

 

– Teresa Capacchione: L’attività di Sergio Piro è stata tutta dedicata alla difesa delle persone sofferenti.

Nel 67- 68 a Materdomini realizza la sua comunità terapeutica e fa funzionare una commissione di pazienti, che verifica la quotidianità, i diritti nell’istituzione, a partire dalle cucine.

I n uno dei suoi ultimi interventi, critica Oliver Sacs che chiede piccole strutture per curare i pazienti, dal costo di 100.000 dollari l’anno, sostenuti dai familiari.

Interrogandosi su cosa non ha funzionato nella legge 180, che ha abolito il manicomio e il concetto di pericolosità, Piro in un intervento con Mancini, ha sostenuto che invece degli SPDC si sarebbero dovuto fare dei Centri Crisi, aperti 24 ore, 360 giorni l’anno. Inoltre la legge è stata applicata solo in alcuni posti. Piro si chiede anche se nei sistemi capitalistici avanzati siano possibili interventi avanzati generalizzati o si possono realizzare solo interventi parcellizzati.. Denuncia poi la regressione politica territoriale, dove proliferano prassi consuetudinarie simili a quelle del manicomio. Cosa distingue la vecchia ergoterapia dalla ripetitività monotona di gesti, atti, rapporti in moltissime strutture intermedie, dove il paziente non ha alcun futuro, speranza di cambiamento? Piro denuncia anche la burocratizzazione delle ASL a seguito dei processi di aziendalizzazione.

Ci si interroga anche sul perché non è stato possibile esportare sul territorio il regime assembleare che è stato un aspetto fondamentale della deistituzionalizzazione del manicomio?

L’aumento del costo degli psicofarmaci moderni ha fatto levitare le spese inducendo a pensare che la malattia mentale è una malattia del cervello.

Tutto il lavoro della sua scuola (1985-1999) si è basato, senza appoggi economici esterni, sul lavoro volontario degli allievi che assumevano anche il ruolo di docenti. La scuola è stata fondamentale nell’affinamento della sensibilità epistemologica e delle pratiche alternative.

Quel mondo, nonostante la crisi, non è morto, come non sono morte le esperienze di libertà. Bisogna sopravvivere alla restaurazione continuando a lottare.

 

Ogni archivio è la sostanza sempre formattata dal potere. L’esempio del S. Maria della Pietà di Roma

 

– Pompeo Martelli: Riferisce dell’esperienza dell’Archivio dell’OP di Santa Maria della Pietà di Roma, la cui realizzazione ha discusso con Sergio, di cui ha messo brani di filmati che impressionano notevolmente i visitatori. L’archivio di Roma rivela enorme bizzarria e sinistra grandezza, con caratteristiche che variano a seconda dei periodi storici.

Si tratta non solo di testimonianza, ingenua o innocente, l’archivio è la sostanza sempre formattata dal potere, valori, selezione dell’informazione, secondo criteri precisi. Vede solo ciò che è appropriato ai suoi scopi professionali. Pochissimi sono gli archivi post-bellici, mentre una enorme mole di documentazione riguarda gli istituti psichiatrici.

L’Archivio, che contiene 300.000 cartelle e molti altri documenti e materiali che risalgono al XVI° secolo, crea gerarchie tra i materiali, tra potere e vita.

Alla storia manca sempre qualcosa, la storia personale è labile, votata alla precarietà. L’accademia è lontana e si basa, spesso, sul sabotaggio sistematico dei documenti esistenti.

Abbiamo fondato anche un controarchivio, basato su testimonianze orali, che ha raggiunto attualmente una consistenza di 150 ore di testimonianze dirette di protagonisti. Avevo chiesto a Sergio di lavorare insieme sulla sua storia per renderla fruibile a chiunque desiderasse leggerla.

L’Archivio è un ex luogo necrofilo tornato oggi alla vita. In un anno e mezzo è stato visitato da 13.000 persone, per lo più studenti delle medie superiori. Facciamo visite a piccoli gruppi, su prenotazione, valorizzando l’incontro, le domande, i dubbi, lavorando sulle ideologie, gli stereotipi del passato. E’ un formidabile strumento di formazione.

Il materiale su Sergio suscita entusiasmo, invidie. C’è chi si chiede cosa c’entra con un archivio romano!

E’ più apprezzato in Europa che in Italia.

 

Nella lingua ebraica, violenza significa riduzione al silenzio

 

– Peppe dell’Acqua:: “Da studente, in clinica, si leggeva poco Basaglia, era come bandito. Quando ho trovato i suoi primi testi ho provato una enorme emozione. Faccio fatica adesso, a parlare di storia, di un periodo così denso, ricco di vittorie e di sconfitte, e di cose da continuare a fare oggi, come direttore di servizi, che mi preoccupano moltissimo. Si fa fatica a orientarsi.

Silvia Bonner, una leader che ha conosciuto l’esperienza della follia, sta scrivendo un testo sulla guarigione.

Una cosa va detta senza la minima ombra di dubbio: La guarigione esiste.

Che un vescovo faccia visita a una “psicolabile” è cosa che preoccupa. Non abbiamo più le parole grandi che

davano informazioni, non ci sono più persone che le dicano, ma sono condannate al silenzio. In Sardegna abbiamo fatto cose importanti, Sergio era molto interessato anche perchè si trattava della sua terra di origine.

C’è stata una battaglia durissima, ma nessuno ne sa nulla.

Come mi ha riferito un collega israeliano, nella lingua ebraica, violenza, significa riduzione al silenzio.

Col nostro lavoro, come ha sostenuto Manuali, abbiamo aperto uno squarcio irrimediabile nella cultura psichiatrica tradizionale. All’ordine del giorno c’è il ritorno alla parola, al non silenzio.

Dobbiamo anche continuare a smontare luoghi comuni, bugie. Si dice, per esempio, che con la legge 180 ci sono stati più suicidi nella popolazione. Sono balle. I tassi statistici non si sono spostati affatto. Dobbiamo anche continuare a opporci al supposto aumento della criminalità in rapporto alla legge 180. Per esempio, dal 1978 il numero dei figlicidi diminuisce perché passa una legge sulla maternità consapevole. Importante anche l’intervento sulla cultura, la scuola. Dobbiamo continuare a sostenere, come ci ha insegnato Franco Basaglia, che la vita è il regno dell’incertezza. Dobbiamo dare spazio alla possibilità, sostenere la responsabilità.

Come dimenticare che su oltre 300 Servizi Psichiatrici di Diagnosi e cura, solo una ventina sono sempre aperti e non legano i pazienti? Negli ultimi tempi sei persone legate a letto di contenzione sono morte. Crisi, cronicità, sono parole della medicina.

I servizi devono esser luoghi di transito, nodi di collegamento, un confine aperto, permeabile. I pazienti devono avere il passaporto che permette di entrare e uscire. Devono essere luogo di incontro, di relazioni, dove posso far sentire anche il mio male senza compromettere la mia esistenza. Non bisogna perdere la curiosità. A troppi non gli interessa niente, sono incapaci di vedere.

Edelweis è finito al manicomio di Budapest perché aveva sostenuto che se i medici degli ospedali si fossero lavati le manim tra una visita e l’altra, i decessi di pazienti sarebbero diminuiti.

Chiuderò con le parole di Francesco: “Quando si è conclusa questa storia ho continuato a sentirmi schiacciato, non sentivo, non mi sentivo più. Un muro altissimo mi opprimeva. Ho provato a scalarlo, mi sono fatto male, sono caduto. Ora ho cominciato a picconarlo, pezzo per pezzo.”

 

Chirone e Prometeo: la cura tra saperi specialistici e amore trasgressivo. Piro e i gatti

 

– Paolo Tranchina: Ho conosciuto Serigo Piro a Milano nel gennaio 1970, in occasione del seminario, durato per tutto l’anno: “Psichiatria Comunitaria e Socioterapia” organizzato da Diego Napoletani e dal suo gruppo di Villa Omega, ex Villa Serena. Incontro dopo incontro abbiamo contestato le pretese egemoniche della psicoanalisi, le sue modalità ideologiche di interpretare le istituzioni criticando Resnik, Fornari, Tosquelles, Racamier, Sidney Klein. Abbiamo ottenuto di presentare una nostra relazione “Analisi sociopolitica delle istituzioni psichiatriche”, che abbiamo discusso al seminario, ma che è stata esclusa dagli atti. Allora l’abbiamo pubblicata in un volumetto: La coda di paglia, psicoanalisi e ideologia. Ho poi rincontrato Sergio al X° Convegno internazionale di psicoterapia, organizzato nello stesso anno a Milano da Pier-Francesco Galli, abbiamo discusso di una mia relazione: Il potere in psicoterapia”. Sul primo numero della rivista Fogli d’Informazione, che dirigo insieme al prof. Agostino Pirella e che si avvia al suo quarantesimo anno di vita, ho pubblicato una sostanziosa recensione delle Tecniche della liberazione, è l’unica che ho scritto in vita mia. Importante anche il seminario che abbiamo fatto nel 1994 a Montepulciano, all’USL di Vieri Marzi, una collaborazione importante tra il gruppo di Antropologia Trasformazionale e il nostro gruppo fiorentino di Psicoterapia Concreta. Abbbiamo pubblicato gli atti come N° 196 dei Fogli d’Informazione: e come volume N° 23, nella collana della rivista: Anticipazione, giornate di studio su psicoterapia delle psicosi e formazione , a cura di Vieri Marzi e Laura Dalla Ragione, Editrice Centro di Documentazone di Pistoia, 1999.

Lavorando a questo intervento ho fatto un sogno. Avevo risolto il problema dalla unificazione dei contrari. Ero molto contento. Casualmente mi è capitato in mano il testo di Eraclito:Frammenti e testimonianze, nella seconda di copertina c’è scritto: “Per Eraclito l’universo ha il suo principio negli opposti”. Piro maestro degli opposti, ho pensato, la migliore rappresentazione, forse, che se ne possa dare.

Attualmente sto riflettendo sulla cura. L’archetipo del curatore è il centauro Chirone, l’uomo-cavallo, maestro di Asclepio, il dio della medicina, portatore di una ferita che non si rimarginava mai. Segno della impossibilità a ergersi sul paziente con assoluta sanità rispetto all’assoluto della sua malattia. Solo che a un certo punto il dolore si è fatto insopportabile, e Chirone ha chiesto a suo padre Zeus di ucciderlo. Il suo posto è stato preso da Prometeo. Ma cosa significa questa oscillazione tra le due figure? Chirone è il grande terapeuta che si limita a curare, mentre Prometeo cambia i rapporti tra uomini e dei. Ma perché ha rubato il fuoco per noi? Sembra che l’abbia fatto perchè ci amava.

Curare significa allora oscillare tra conoscenze terapeutiche e amore trasgressivo, tra saperi specifici e visione del mondo. Ma se Chirone è un uomo cavallo chi è Sergio Piro? Sergo Piro è un uomo-gatto, data la presenza del gatto nella sua vita e nella sua riflessione. In Egitto la dea Bastet era una donna dal viso di gatta, molto vicina a Seckhmet dal volto di leonessa. Recitava un detto del tempo ( 2000 a .c.): “ Non accarezzare la gatta Bastet prima di aver affrontato la leonessa Seckmet”. Bastet era la dea della pace e dell’amore, ma come occhio d Ra, anche la dea della guerra. Teneva insieme l’amore e la guerra, cosa che nel mondo greco si è scissa in Afrodite e Ares. Il gatto custodisce opposti inconciliabili, affettività e aggressività, placidità e felina prestanza. Si dice che fosse stato domato nel 2000 a:c. quando è nato il linguaggio scrittto, argomento di interesse fondamentale nella vita di Sergio. Casualità? Forse. Ma è bene non dimenticare il principio di sincronicità di Jung secondo il quale elementi che appaiono insieme, nello steso tempo, hanno sensi e connessioni meta-logiche da indagare.

 

 

 

VENERDÌ 8, POMERIGGIO

LA RICERCA E LA DIDATTICA NEL CAMPO ANTROPICO CONTINUO

ORE 15.30: R. BENEDUCE, W. DI MUNZIO, F. MARONE, A. ODDATI, T. PAGANO

PRESIEDE: G. CORRIVETTI

 

 

La fondazione Centro Ricerche sulla Psichiatriae le Scienze Umane

 

– Walter di Munzio: E’ stato illustrato un filmato che descrive il funzionamento di un servizio psichiatrico di comunità (di Nocera Inferiore – ASL Salerno). Si sviluppa in quella sede una operatività fortemente influenzata dall’insegnamento teorico di Sergio Piro, basata sulla integrazione con il sociale e su interventi multidisciplinari. Le attività sulle quali si investe oggi sono orientate alle strategie di reinserimento sociale e lavorative con particolare attenzione alla formazione al lavoro di gruppi di utenti che sono poi organizzati in piccole cooperative di produzione, accompagnate fino all’inserimento pieno nelle dinamiche del libero mercato.

L’intervento ha poi raccontato della istituzione – alla chiusura del manicomio di Nocera (nel 1999) – di una Fondazione onlus denominata “Centro Ricerche sulla Psichiatria e le Scienze umane (CerPS)” che ha utilizzato risorse strutturali e finanziarie ricavate dalla dismissione di quel presidio asilare e che ha ereditato la storia e la produzione scientifica dell’omonimo centro ricerche fondato da Piro a Napoli negli anni ’80, conservando anche le due collane editoriali (“Politropos” e “Politropos-Materiali”) dedicate alle produzioni scientifiche e di ricerca teorica, la prima ai report e ai materiali di ricerca operazionale la seconda. Sono stati pubblicati sino ad oggi oltre 50 volumi che si aggiungono agli oltre cento titoli pubblicati dall’originario centro ricerche. Questo materiale è naturalmente oggi disponibile presso la biblioteca storica dell’ex OP attualmente gestita dalla stessa Fondazione CerPS.

Si è ricordato infine che entro la fine di gennaio 2010 saranno assegnate dalla Fondazione 4 borse di studio in ricordo di Sergio Piro per progetti annuali di ricerca ispirati al suo lavoro pratico e teorico, assegnate grazie al contributo della Regione Campania.

 

 

Non si dà ricerca senza un campo continuo del sapere. Nei servizi lo smistamento ha sostituito la presa in carico

 

– Antonio Oddati: Il metodo di Sergio Piro lavora sulla complessità del reale nel suo strutturarsi e destrutturarsi, sui differenti linguaggi, le diverse tecniche. E’ addestramento alle reciproche traduzioni dei saperi che ci permettono di interpretare. Il lavoro sociale, oggi, è una catalogazione che rischia di riprodurre lo stigma. Con la categorizzazione di ogni forma di marginalità, lo smistamento ha sostituito la presa in carico. C’è il rischio di un sistema che produce nuovi tecnici staccati dalla realtà degli utenti. La separazione tra sociale e sanitario produce più esclusione e trascura tutto ciò che non è sanitario.

Piuttosto che di psichiatria alternativa Piro parlava di “al di là della psichiatria”, e questo è importate per relativizzare gli strumenti psicologici e psichiatrici. La salute mentale è allargamento del campo, fa riferimento a differenze (antagonizzazione del danno). La necessità di sistematizzazione allude alla scuola. Non si dà ricerca senza un campo continuo del sapere: la dimensione connessionale allude a un insieme di saperi diversi, ma è dentro la prassi come momento operazionale. Bisogna tenere insieme ciò che si vede con ciò che si immagina in una dialettica che deve essere verificata e allargata.

 

Se fosse vivo, oggi, Freud sarebbe un neuroscienziato

 

– Giulio Corrivetti: Se fosse vivo oggi Freud sarebbe un neuroscienziato. Il problema dell’intimità non può tralasciare il rapporto io-mondo. Può l’inconscio essere inteso come portato del fatto che memoria e esperienza riattivano questi problemi?

 

Dalle tecniche all’etica

 

– Fulvio Marone: Sergio Piro ha sempre pensato che le cosiddette “discipline psy-” fossero casi particolari di un più generale sistema di riferimento. Il lavoro su Le tecniche della liberazione (1971) riformula il dato psicoanalitico del soggetto diviso nei termini della dialettica marxiana, e più specificamente del saggio “Sulla contraddizione” (1937) di Mao Zedong. Secondo questo scritto, la legge della contraddizione è la legge fondamentale della natura e della società, e quindi anche del pensiero. Per Piro, la contraddizione psicologica esprime contraddizioni sociali, e il superamento del disagio non può essere ristretto all’individuo e al suo microambiente, ma deve essere esteso all’intero ambito sociale. Il “tecnico della liberazione” ha il compito di capire l’esigenza reale del singolo e di dargli una giusta indicazione di metodo e di prassi. Le tecniche della liberazione possono essere individuali o collettive. La tecnica collettiva per eccellenza è il “rovesciamento istituzionale”. Quando il disagio del singolo è legato principalmente a contraddizioni esterne, è opportuno risolverle attraverso le “tecniche individuali di prassi attiva”. Quando il disagio nevrotico e psicotico è legato alla presenza di forti contraddizioni interne, si impongono tecniche storico-analitiche individuali, che per Piro «coincidono perfettamente con l’essenza metodologica della psicoanalisi di Freud». In effetti, le critiche aspre di Piro non sono e non saranno mai tanto dirette al “metodo freudiano”, ma piuttosto a quella che egli chiama l’”ideologia psicoanalitica”, e cioè la cristallizzazione di una prassi viva in una serie di rituali denominati setting. Un atteggiamento critico, quello di Piro, che non si è mai lasciato sedurre da facili slogan, e non si è neppure adagiato sulla stereotipica ripetizione di vuote formule sulla terapeuticità di un fare che ha rinunciato al sapere. Questa prevalenza della “prassi della teoria” – o, come dice Piro nel linguaggio dell’epoca, del ciclo prassi-teoria-prassi – sulle pratiche cieche, perché prive di teorie che le guidino, e sulle teorie vuote, perché non accolgono le repliche dell’esperienza, è la lezione più importante che si possa estrarre dai suoi insegnamenti.

 

La scuola

 

– Tommaso Pagano: Ricorda le prime stagioni dell’esperienza della didattica al Frullone, una avventura che supponeva qualcosa che forse non esiste più: operatori fortemente motivati e disponibili ad allargare il discorso in modo interdisciplinare. Ricorda i seminari del tempo e l’intreccio tra filosofia della mente, linguistica, scienze cognitive che caratterizzarono la prima stagione della scuola.

 

 

SABATO 9

L’INTELLETTUALE E LA CITTÀ

ORE 9.30: D. STEFANO DELL’AQUILA, E. DE NOTARIS . R. MOSCARELLI,, S. MANES

BRANI DALL’OPERA DI SERGIO PIRO LETTI DA C. DONADIO E ENZO MOSCATO

PRESIEDE: A. MANCINI

 

Da Freud a Mao, la pratica integrale dei diritti degli esclusi

 

– Antonio Mancini: Ha contestualizzato la militanza politica di Sergio nel quadro più ampio della sua ricerca scientifica, cioè ha cercato di ricondurre la sua ricerca alla sua visione politica generale. La sua ricerca procede senza intoppi fino al libro Le tecniche della liberazione. Sergio parte dall’interpretazione del linguaggio schizofrenico, studiando gli aspetti semantici, stilistici, sintattici, metrici, ecc. per approdare al gesto di slegatura del malato e alla necessaria lotta per l’abolizione del manicomio. Questo approdo avviene ad opera del convincimento che lo schizofrenico parlasse in modo sensato e che quindi la schizofasia non potesse essere intesa alla stregua di una malattia. L’epoca successiva alla pubblicazione del Il linguaggio schizofrenico e alla cacciata da Materdomini,, vedono un Piro impegnato nella psicoanalisi di gruppo e nelle tecniche della liberazione, coniugazione di Freud (Il Freud psicolinguista della psicopatologia della vita quotidiana e dell’interpretazione dei sogni) e Mao ( Mao del saggio sulla contraddizione).

Dopo quel periodo, a metà degli anni ‘70, Piro decide di bruciare Dialettica della sublimazione (libro già promesso a Feltrinelli) e cerca una sua strada che possa mettere insieme in modo originale le teorie degli altri studiosi e il suo tentativo di organizzare una propria teoria dell’accadere umano. Per questo motivo usa anche un lessico ignoto nell’ambiente “psy”, ma noto a linguisti e filosofi, programma la sperimentazione didattica e formula una propria concezione autonoma del funzionamento del Servizio di salute mentale. Il punto centrale dell’intensa attività di programmazione ( non pubblicò alcun libro dal 1971 al 1980) culmina con un libro del 1980 che fu La scacchiera maledetta e con l’elaborazione della legge regionale sulla psichiatria del 1983.

I due piani erano tenuti assieme da una sopravvenuta visione unitaria del disagio umano e del suo trattamento: servizi aperti 24 ore, non selezione dell’utenza, trattamento continuativo e lungo della crisi, prevenzione e cura di tutte le forme di disagio di quel territorio (la vecchia USL) da un lato, ma anche formazione continua del personale senza distinzione di professione, operazione di critica e conoscenza di tutti i contributi scientifici che provenivano non solo da psicologia e psichiatria, ma anche da sociologia, antropologia, linguistica, filosofia, ecc…..riduzione a residuo (operazionale o storico a seconda se il residuo veniva utilizzato in una prospettiva più ampia o veniva lasciato cadere e consegnato alla stoia: ad esempio, il silenzio attivo dell’analista può essere un residuo operazionale, L’elettroshock , un residuo storico), invenzione continua di nuove forme di cura.

La rivoluzione aziendale in campo sanitario, i trasformarsi del politico in ceto politico, l’appannarsi delle lotte della sinistra per la difesa dei diritti dei deboli e degli esclusi, ha reso necessario che la ricerca antro pica di Piro si spostasse dal chiuso del servizio di salute mentale ai movimenti “no-global” (Sergio fu uno dei pochi a capire, fin dal 1999, l’importanza del movimento che esplose a Seattle) agli studenti a cui non era concessa possibilità di capire ciò che studiavano, ai gruppi di self-help nel campo della salute mentale. La pratica integrale dei diritti degli esclusi, il tentativo di far nascere un tribunale dei diritti dei malati mentali, sono insieme il contrassegno di una ricerca che è sempre stata politica al suo nascere (la stessa decisione di studiare non la malattia schizofrenica, ma il linguaggio, luogo di elezione dell’espressione della libertà e della rivendicazione umana dell’uomo) e di una politica che non si è mai abbandonata a formule teoriche facili ma che si è sempre confrontata con il lavoro sperimentale sul campo.

 

Faceva sentire ognuno di noi come un interlocutore privilegiato

 

– Roberta Moscatelli: Nei suoi rapporti personali Sergio credeva nei legami, faceva sentire ognuno di noi come un interlocutore privilegiato. Con la consegna di continuare a costruire legami e a produrne altri nella prospettiva del cambiamento radicale e della tutela dei diritti. L’operatività rispetto al rapporto esclusione-sofferenza trasmigrava poi nel fare salute mentale. Il rispetto per l’altro era assoluto, integrale. Era molto interessato al tribunale dei diritti del malato, perché l’osservatorio sull’abbandono era per lui in primo piano.

 

Aveva la capacità di dire la verità al potere. I Greci la chiamavano “Parresia”

 

– Stefano dell’Aquila: Mi occupo di carceri, per questo ho incontrato Sergio Piro. Sergio e la città: oltre a Sergio intellettuale c’è Sergio politico. La politica dell’affetto. Bisogna partire da Marx. Sergio non voleva parlare ai movimenti, ma essere nei movimenti, negli accadimenti, nelle cose presenti. Voleva mettere insieme le parole di potere, sapere e verità: insieme di quotidianità e intellettualità.

Era in piazza il 17 marzo, era presente alla nascita di un centro sociale, stava seduto in terra con gli altri, al freddo. Gli studenti erano affascinati.

 

Entrano in aula un folto gruppo di studenti e studentesse di medicina che recano un grande manifesto scritto in rosso:

 

COORDINAMENTO II° POLICLINICO

AULA OCCUPATA SERGIO PIRO

LE IDEE NON MUOIONO MAI

Ciao Sergio

 

Sergio ha infatti tenuto al Policlinico il suo ultimo intervento pubblico e gli studenti gli hanno dedicato l’aula in cui ha parlato.

 

Continua Dell’Aquila:

L’anno scorso Piro ha preso posizione per l’eliminazione del locale manicomio giudiziario entrando in conflitto col potere politico di sinistra che voleva mantenere quella struttura. Era sempre disponibile a partecipare, con la sua disponibilità umana, affettiva.

Il termine greco “Parresia” indica la capacità di dire la verità al potere e si collega con:

1) L’ascendente sugli altri

2) Il credere con forza alla verità delle cose che si affermano

3) Il coraggio di mettersi in gioco.

Piro continua a intervenire con l’assessore di turno, perché un servizio non viene aperto, perché un paziente è stato umiliato, aprendo conflitti, magari, tra chi si definisce suo allievo e poi usa i letti di contenzione. La sua presenza era denuncia, era “Parresia”, era dire che una certa cosa era inumana.

L’attraversamento di Sergio è stato faticoso perché era un lottatore, non esitava a schierarsi.

Importante è stata la sua presa di posizione contro il 19 pazienti morti bruciati al San Gregorio Magno. Ha scritto Sergio Piro: “ Il fumo di morte che viene da San Gregorio, trascina tutti nel baratro della sconfitta. Se a San Gregorio non ha ucciso il caso, è la manicomialità che ha colpito ancora. Se è stato qualcosa prodotto dall’uomo, quello è stato, ancora, il manicomio”

 

La psichiatria è così forte perché è funzionale al capitalismo

 

– Enrico De Notaris: Nella sua ultima lezione al Policlinico, di fronte agli studenti di medicina, in modo informale, c’era la semplicità di Sergio di narrare le cose della vita con la sua passione scientifica, politica. La brevità era il suo pregio. L’aula occupata che l’onda studentesca aveva conquistato, è stata dedicata a lui perché è stato colto il messaggio libertario di Sergio. Gli studenti sono esclusi, chi fa ricerca sull’esclusione diventa egli stesso escluso. Questa era l’unica dinamica possibile, la dinamica che trasforma se stessi. Senza trasformare se stessi e l’altro in ricercatore non si svolge adeguatamente il proprio compito.

Negli anni 1965-1966, ci vedevamo a casa sua il mercoledì. Ci dava un libro da leggere e poi ci illuminava sulle cose. Abbiamo cominciato con Freud.

L’ho rincontrato più volte sotto l’ambasciata american, non per leggere, ma per dimostrare. Sergio ha frequentato un gruppo extracomunitario di sinistra, I suoi richiami alla dimensione politica erano continui, fondamentali. Diceva che nel mondo la psichiatria è così forte perché è funzionale al capitalismo, negatrice di ogni senso della sofferenza. La psichiatria è sovrapponibile con l’organizzazione capitalistica. Con il gruppo “Servire il popolo” si divise perché “non mi avevano cacciato. In realtà dovevo stare vicino al PCI perché dovevo contribuire alla legge 180”

 

Se penso all’umanesimo marxista, penso a lui. Nella lotta metteva tutte le speranze dell’umanità

 

– Sergio Manes: Sergio Piro è stato un militante, non solo uno scienziato. Era saturo di umanità. Se penso all’umanesimo marxista penso a lui: al centro del nostro agire e del divenire storico c’e sempre l’uomo. L’intellettuale per far prevalere la giustizia deve essere un militante. Sergio Piro non militò in “Servire il popolo”, rimase collegato al gruppo “Lotta di lunga durata”, legato a Gustavo Herman. Si collega all’esperienza cinese maoista, grande esperienza di popolo, di partecipazione, della capacità degli uomini di impossessarsi del proprio destino e di modificarlo.

Fondamentali sono le lotte di Sergio per abbattere i manicomi. Nell’ultimo periodo mi chiama e mi chiede: “Mi pubblichi un libro?” e continua: “Lo voglio con la copertina rossa e uno spartito musicale”. Ovviamente accetto. Speravamo che Sergio diventasse presidente del centro culturale “Città del Sole”. La scienza di Sergio era la sua umanità, era un comunista in lotta contro la sofferenza e l’ingiustizia, ma nella lotta metteva anche tutte la speranze dell’umanità. Proprio la speranza che continua è ciò che dobbiamo trasmettere ai giovani come eredità di Sergio Piro.

 

Aspettavo le sue conclusioni come una bambina che aspettala favola più bella

 

– Cristina Donadio: Aspettavo le sue conclusioni come una bambina che aspetta di sentire la favola più bella. Ho messo anche in scena il libro della Morandini, La contessa e i demoni. Ci sono state esperienze all’Ospedale Psichiatrico Frullone con Anna Sargenti. Ricordo le lavanderie: brandelli di vita di tutte le persone che sono passate nell’ospedale…..

 

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I lavori si sono conclusi con la lettura di Cristina Donadio di alcuni brani di Sergio Piro tratti da Critica della vita personale e Parole di follia. Ne riportiamo alcuni frammenti.

 

Al passato noi non dobbiamo più nulla

 

– Sergio Piro: Sento da qualche tempo nuovamente risuonare fra gli intellettuali questa parola, politica, che in una stagione felice di venticinque anni fa, quando fu gridata da chi non vi era addetto, fece tremare i ministeri, le banche, le cattedrali e le università.

Ma ora debbo per forza chiedermi quale sia il mistero che si nasconde dietro questo ritorno inatteso e inopportuno.

Di questo ritorno sono felice e profondamente spaventato. Se si trattasse di evocare un fantasma perduto, quello della fantasia al potere, del Che, della speranza di un socialismo maoista in cui la linea democratica di massa sostituisce la dittatura del proletariato, se si trattasse di ciò, ci sarebbe veramente da fuggire. Un passato risuscitato è quasi peggio di un passato arrestato e congelato.

Quella stagione di venticinque anni fa ebbe conseguenze molteplici: come dal cappello di un prestigiatore uscirono le più incredibili chincaglierie e solo chi si dette con serietà a quell’impegno, pagando ciò che doveva essere pagato, sa riconoscere fra quelle chincaglierie i pochissimi gioielli autentici e le conseguenze dense di conseguenze.

Se però questa parola viene pronunziata da chi allora, come Te, era appena nata e se non vi sono né trucco né suggestione né contrabbando capitalistico mediale, essa ha forse il senso politico di un’aurora politica. Ma qui deve essere chiaro che non vi può essere contaminazione alcuna con residui espliciti di quel passato movimentistico: nostalgie stolte di ciò che, se è narrato dai “reduci” o da “quelli che ci credono ancora”, non è esistito mai.

 

Dalla morte della società binariamente divisa in classi e dalla fine della plurisecolare contrapposizione del proletariato alla borghesia è nata, negli anni ottanta e novanta di questo secolo, la società della frammentazione, della spersonalizzazione, della marginalizzazione espulsiva e della marginalità di riserva, del farsi ineluttabilmente criminale dell’agire sociale plurimo per bande. I ceti a reddito fisso prendono il posto del proletariato, mentre l’esclusione dal lavoro diviene lo strumento principale per il dominio del mercato del lavoro, per la distruzione del sindacato, per la ridicolizzazione dei partiti politici di sinistra. Ai canti risonanti e alle bandiere rosse si sono sostituiti il lamento astratto, ripetitivo e inutile dei disoccupati, il battimento cupo e insignificante dei loro bidoni trasformati in tamburi, le nenie tristi degli extracomunitari, le continue inascoltate lamentele della gente alle televisioni pubbliche e private. Verso la condizione di tutti costoro le bandiere rosse e le parole del sessantotto sono insulti gratuiti, verbigerazioni inutili

 

Noi dobbiamo stare attenti: quando ci rilasciamo e abbassiamo la guardia, ciò che una volta chiamavamo “destra” vince sempre fuori di noi e dentro di noi. Il nostro fascismo interno diventa sempre più forte, perché nel mondo dei bianchi si collega a tutto e dall’interno ci stringe la gola in una morsa potente. E ora non abbiamo più le forme antiche della vigilanza rivoluzionaria e dell’epoché politica così che dobbiamo inventarne di nuove. Di tutti i fascisti che assolviamo perché sono amici nostri e perché vogliamo loro bene, noi siamo complici irrimediabili e alleati fedeli.

Così oggi non può darsi politica alcuna, senza un’invenzione totale della politica: invenzione singolare e plurima, solitaria e partecipata, interiore e sociale, senza un attimo di sosta, senza un momento di respiro. Al passato noi non dobbiamo più nulla.

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