Ritorna il ricordo della visita ad un SPDC di Firenze. L’attesa al campanello di quella porta chiusa. L’infermiere che ci accoglie sospettoso, ancora l’attesa per attendere l’autorizzazione ad entrare da parte del medico di turno. Quelle figure appoggiate al muro, uomini e donne con una sigaretta in mano, assenti e tranquilli. Di sottofondo un pianto lamentoso e angosciante. E’ una ragazza raggomitolata sul pavimento. L’infermiere che ha aperto la porta ci guarda e ci dice: «Non fateci caso è da questa mattina che ci tormenta con la richiesta di chiamare la madre. Ed hai voglia a dirle che oggi non può…». Poi l’infermiere ci fa accomodare in uno stanzino, ci dice di attendere lì il medico, si allontana tornando indietro e percorrendo parte del lungo corridoio. Lo seguo dall’uscio dello stanzino dove ci ha lasciato. Lo vedo entrare in un’altra stanza, ne esce dopo pochi istanti con una scopa in mano. Si avvicina alla ragazza che continua a lamentarsi sul pavimento, con naturalezza inizia a “spazzarla” e a dirle qualcosa. Non resisto sull’uscio, vado verso l’infermiere riesco a distinguere solo le ultime parole «E finiscila, fai la brava che altrimenti sai come va a finire…». Poi lui si accorge di me, poggia la scopa sul pavimento ed infastidito mi dice «Eh, sa, qui è essenziale mantenere l’ordine che altrimenti si trasforma in un inferno.. Ma G. ora farà la brava, vero?».

Antonio

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