(R)Esisterà la cooperazione sociale nell’era di “Blade runner”?

Alle operatrici, operatori, familiari e utenti che stanno occupando l’ex manicomio “Bianchi” di Napoli.

Carissime colleghe e carissimi colleghi,

[… ma cosa sto scrivendo? Se ogni parola ha il suo senso, “colleghe e colleghi” è termine  adeguato quando si ricevono regolarmente gli stipendi, quando si viene curati tempestivamente, quando vengono forniti servizi sociali puntuali ed adeguati, quando si vive in un mondo civile. Quando gli enti che ti affidano i servizi non ti pagano anni ed anni dopo. Non lo è invece quando si è costretti a rioccupare un vecchio manicomio, per denunciare situazioni estreme. E quindi, ricominciando a scrivere la lettera, con un linguaggio consono ed adeguato alla situazione odierna:]

Care compagne e compagni occupanti,

quanto stiamo vivendo in quest’epoca di decadenza assomiglia troppo ai film di fantascienza della nostra gioventù. Con l’unica differenza che non ci hanno ancora fornito le utilitarie volanti per solcare le vie aeree dei nuovi ghetti in cui chi nasce non avrà speranza di un lavoro, chi lavora non ha prospettive di sicurezza, regolarità contrattuale e previdenza per una maternità od una malattia; in cui la pensione diventa una prospettiva da ricchi; dove – come diceva il dittatore di un tempo – “chi si ferma è perduto” e può solo sperare in un annullamento morbido, che lo sottragga all’inedia di giornate prive di prospettive. Non so se riusciremo, come Rutger Hauer, a pronunciare le fatidiche parole negli ultimi momenti di r/esistenza:

« Io ne ho… viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…

Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione…

E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser…

E tutti quei… momenti andranno perduti nel tempo…

Come… lacrime… nella pioggia…

È tempo… di morire… »

Nel dubbio, meglio – come avete fatto voi occupando un vecchio manicomio – cercare di fermarsi prima che sia troppo tardi. Denunciando lo scandalo della distruzione del sistema di protezione sociale italiano (mai giunto alla maturità di un moderno Welfare), nascosta alla vista dell’opinione pubblica da una politica occupata in tutt’altre cose. Mettendo il dito sulla piaga di una regressione sociale sminuzzata, parcellizzata, in cui ognuno di noi viene sconfitto singolarmente, mentre gli altri sono ancora distratti perché si sentono estranei.

Ve lo dico da cooperatore di una regione dove la crisi sembra colpire meno duramente e c’è ancora spazio per la progettazione sociale: i colpi di maglio della restaurazione neoliberista che risuonano in Grecia, Irlanda e Portogallo preannunciano il nostro destino comune. Chi si vede ancora pagare le fatture nei mesi successivi al lavoro, chi riesce ancora a sopravvivere usando con moderazione gli ammortizzatori sociali, sarà la vittima certa di domani.

Decenni di riforme vengono smantellati in nome di un presunto riformismo. I diritti tornano a diventare privilegi e lo Stato – se non ancora “minimo” certo in via di riduzione estrema – sembra ritornato  alla vocazione originaria di puro gendarme e repressore della disperazione sociale.

E’ stato giusto assumere come obiettivo uno dei vecchi monumenti all’internamento istituzionale di migliaia di sofferenti ed esclusi. Puntando il dito non solo su politiche scandalose e sulla omologazione e subalternità di chi dovrebbe avversarle, ma sul pericolo che una delle poche rivoluzioni accadute in Italia (e so di usare un termine serio – come Rivoluzione – parlando ai cittadini di quella Napoli, che fu l’epicentro dei sommovimenti euromediterranei della metà del XVII secolo) venga annullata da un giorno all’altro, a causa del convergere alchemico dei bisogni securitari del leader politico del momento, e delle fumisterie repressorie e reazionarie del suo psichiatra favorito.

Carissime/i, con la Vostra provocazione avete mosso le acque stagnanti di una situazione assurda. Quella in cui teorici del sociale, invece di guardare alla realtà e denunciarla, hanno delirato per mesi su una “open society” inesistente: quella del conservatore Cameron che sta distruggendo il più antico e glorioso Welfare europeo. Quella in cui certi esponenti del “terzo settore” passano le giornate a pietire la carità di un 5 per mille, proprio da chi ha deciso di far fare un balzo di secolo all’indietro alla storia italiana. Quella di politici trasversalmente succubi dei poteri forti, ed incapaci di costruire od almeno difendere modelli alternativi.

Prima di tornare ad emigrare, come i nostri avi, verso quell’America Latina dove oggi si ripubblicizzano le pensioni e si allarga l’offerta di servizi sociali; prima di dover sfuggire alle povertà vecchie e nuove oltre Atlantico, è giusto almeno accettare la sfida della Resistenza a questo sfacelo.

Noi, friulani e giuliani, proprio un anno fa sfidammo la politica regionale per opporci all’attacco al nostro diritto a vivere, lavorare e godere di servizi. Voi, oggi, in una situazione così diversa e così comune, indicate la strada della costruzione di un movimento nazionale. Arrivederci a Napoli presto, ed il 14 e 15 gennaio ad Aversa al Forum per la Salute Mentale, per ricordare all’Italia che esistono ancora non solo manicomi da rioccupare, ma anche quelli giudiziari da disoccupare.

Gian Luigi Bettoli,

presidente di Legacoopsociali del Friuli Venezia Giulia e responsabile del Gruppo di lavoro sulla Salute Mentale di Legacoopsociali nazionale

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