Macchina_elettroshock_Ugo_CerlettiE mi recai al mattatoio (ed ero Direttore dell’Ist. Neurobiol. di Milano) e vidi i crani dei maiali tra le pesanti morse di metallo (e il mio studio in via Savoia) e la leva dell’interruttore (e i miei bronzi antichi sullo scrittoio) e osservai come gli animali crollassero privi di coscienza e s’irrigidissero (e Prof. di Neuropsichiatria Univ. Bari Univ. Genova Univ. Roma) e come dopo un paio di secondi fossero colti da convulsioni (e inventore di un detonatore ad accensione ritardata per l’artiglieria e l’aereonautica) e pensai di disporre qui di un materiale estremamente prezioso per i miei esperimenti (e le mie onorificenze e medaglie d’oro) e decisi di identificare la dose la tensione e il metodo adatti a procurare la morte dei maiali (e Pres. Soc. It. Psich.) e diedi loro delle scariche elettriche nel cranio da diverse parti (e Membro Onor. della Comm. di Biol. e Med. del C.N.R.) e nel tronco per parecchi minuti (e candidato al Premio Nobel) e mi accorsi che raramente gli animali soccombevano quando la corrente traversava loro la testa (e la mia governante di casa e il mio accendisigari da tavolo in cristallo di Murano) e che dopo uno spasimo violento giacevano immobili per alcuni minuti (e Dr. h. c. Sorbonne, Parigi) e che poi si rialzavano con estrema fatica (e Dr. h. c. Rio de Janeiro e San Paolo e Montreal per ricerche d’avanguardia sul gozzo e sul cretinismo) e tentavano infine di scappare

E avvertii i miei assistenti di non lasciarsi sfuggire le persone adatte all’esperimento (e W il Duce) e il 15.4.1938 il prefetto di Roma mi fece consegnare un individuo da tenere in osservazione (e il Fascismo s’è innalzato sopra le spoglie putride della Dea Libertà) e cito ora dalla sua lettera d’accompagnamento (e Italiani! Camerati! Legionari!); «S. E., di professione ingegnere e di anni 39 e fermato alla stazione centrale e sprovvisto di biglietto valido e evidentemente non in possesso delle sue piene facoltà mentali» (e inestinguibili ovazioni) e scelsi questo individuo per il mio primo esperimento umano

E gli applicai due elettrodi alle tempie (e le principali indicazioni sono schizofrenia e paranoia) e decisi di cominciare con una corrente alternata di 80 volt e 0,2 secondi (e alcolismo e tossicomania e depressione e malinconia) e i suoi muscoli s’irrigidirono (e i principali effetti collaterali sono amnesia e nausea e panico) ed egli s’inalberò (e questa è la tipica «posa del burattino» descritta da von Braunmühl) e s’accasciò ma senza perdere conoscenza (e le principali complicazioni sono fratture del femore del braccio della mascella e della colonna vertebrale) e si mise a cantare a voce altissima (e disturbi cardiaci ed emorragie interne) e poi tacque e non si mosse piú

IV.

E naturalmente tutto ciò rappresentava per me un notevole peso emotivo (e secondo Reil [1803] la tortura non dannosa è una necessità per l’arte medica) e conferii con i miei assistenti circa l’opportunità di una pausa (e secondo Squire [1973] si ignora la durata dell’amnesia) e l’uomo ci ascoltò e improvvisamente con voce alta e solenne disse: «Non fatelo un’altra volta. È la morte» (e secondo Sogliano [1943] il trattamento può essere ripetuto senza problema alcuno sino a cinque volte nello spazio di dieci minuti) e confesso che il coraggio mi venne meno (e secondo Kalinowski et al. [1946] occorre sempre tener pronti cinture e legacci per i casi in cui il paziente diventa violento e pericoloso) e dovetti farmi forza per non cedere a quel sentimento superstizioso (e secondo Sakel et al. [1965] manca purtroppo tuttora una giustificazione scientifica dell’elettroshock) e poi presi animo e gli diedi ancora una scarica di 110 volt

V.

E da allora nei loro reparti isolati con indosso i loro pigiama si arrampicano sui loro lettini di ferro bianco smaltato (e non potremo mai dimenticare la sua impresa pionieristica) e si beccano un’iniezione e se resistono un’altra iniezione (e il suo contributo al progresso scientifico) e quattro infermieri afferrano loro mani e piedi (e il suo ardore creativo) e tappano loro la bocca con un tubo di gomma e calcano le fredde placche cromate sulle tempie (e la sua inappagabile sete di sapere) e nei mattatoi non si odono piú mugolii e muggiti e squittii (e il suo autentico umanesimo) e poi il capo dà loro una bella scossa (e una giustificazione scientifica di tutto ciò manca purtroppo tuttora) e poi vengono meno e poi si ridestano e poi sono obliterati

Tratto da  “Gli elisir della scienza. Sguardi trasversali in poesia e in prosa, di Hans Magnus Enzensberger

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