Gli interventi della seconda giornata dell’incontro romano per il trentennale dell’Unasam sono stati coordinati da Antonio Esposito, giornalista e ricercatore indipendente, che ha guidato la Tavola Rotonda sulle “questioni prioritarie su cui impegnare Governo, Parlamento e Regioni per garantire su tutto il territorio nazionale servizi per la tutela della salute mentale di comunità orientati al rispetto dei diritti umani, della legge 180, della 833, della Carta Costituzionale…”

“In direzione ostinata e contraria” è il racconto che Esposito fa dell’incontro, sottolineando come tanti diritti, alla dignità della persona, alla vita indipendente, a servizi competenti… “sono messi in discussione da politiche, pratiche e teorie che ripropongono interventi afflittivi come la contenzione – fisica, chimica e ambientale –, costruiscono nuovi spazi di internamento nei reparti ospedalieri e, soprattutto, nelle residenze del privato imprenditoriale; depauperano la psichiatria territoriale di risorse e personale…”. Ma nello stesso tempo sottolinea le indicazioni emerse per “sfondare quella porta che si vuole tenere chiusa”.

Con la sensibilità che gli è propria, Antonio Esposito, che è scrittore e indagatore di vicende umane, propone, per raccontare le storture del sistema e per indicare gli interventi da realizzare, la testimonianza di Elio Pitzalis. Elio, 21 anni, membro dell’associazione Asarp e, si presenta, “ho un disturbo borderline di personalità e un disturbo bipolare”. Ed è voce che, sommessa, grida… 

Ne riprendiamo alcuni passaggi. 

“Sono una delle otto persone che è stata portata via dalla comunità creata dall’associazione (la comunità Franca Ongaro Basaglia di Cagliari costretta a chiudere a fronte delle infauste scelte politiche assunte dalla Regione e dall’Azienda sanitaria, ndr) […], dedico il mio intervento ad Alexander, un ragazzo che ho conosciuto durante il mio primo ricovero e che si è suicidato nel maggio scorso, anche a causa del cattivo lavoro dei servizi. Un ragazzo di ventitré anni che potevo tranquillamente essere io, poteva essere vostro nipote, vostro fratello, un vostro amico”.
“… Cosa si aspettano gli utenti dai servizi. [Innanzitutto] il Centro Salute Mentale aperto sulle ventiquattro ore, anche durante le festività. In Friuli ci siamo riusciti, perché non farlo in tutte le regioni? Mi sembra assurdo che […] il CSM sia chiuso durante le festività, periodo in cui solitamente aumentano gli accessi in pronto soccorso psichiatrici perché le persone si sentono sole, o si sentono come se i genitori, i parenti non le capissero. Idem per i weekend, nei quali tante persone non hanno molto da fare, come succedeva a me, e la noia portava pensieri non molto felici. Io ero una di quelle persone che tutti i weekend andava all’ospedale, si faceva cinque ore di fila per poi parlare dieci minuti col dottore del reparto SPDC (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura). Mi veniva fatta una puntura di una benzodiazepina o di un antipsicotico, tornavo e dormivo tutto il giorno. Loro pensano di risolvere i problemi così”.

«Sarebbe poi necessario prevedere delle attività in SPDC, compreso anche un supporto psicologico che in realtà non c’è, perché possiamo parlare solo con psichiatri […]. Mi è capitato di fare un ricovero più lungo, trenta giorni in SPDC a non fare niente, perché eravamo solamente parcheggiati, ho passato trenta giorni a colorare mandala, a giocare a “Uno” con gli operatori socio-sanitari, a piangere…”

«Ancora, si dovrebbe potenziare la neuropsichiatria: durante il mio primo ricovero, a un certo punto, è arrivato un ragazzino di quindici anni. Un ragazzino di quindici anni in un reparto di psichiatria per adulti, messo in camera con persone anziane, persone con attacchi psicotici, persone legate che urlavano dalla loro camera, e questo ragazzino messo lì… già è abbastanza traumatizzante essere in un reparto di psichiatria per le persone maggiorenni, immaginiamoci per un ragazzino… è terribile.”

«Nei reparti di psichiatria dovrebbe esserci del personale adeguatamente formato. […] Mi sono successe cose assurde: mi avevano dato molti farmaci, avevo una salivazione eccessiva, quindi non riuscivo a esprimermi correttamente, andavo a parlare con gli infermieri e non mi capivano, ma invece di aiutarmi mi facevano il verso, oppure mi dicevano: “Non fare quella faccia, è colpa tua se sei qui”. Poi, l’infermiere a cui avevo detto che, sempre a causa di tutti i farmaci assunti, sentivo di svenire, ha deciso di legarmi a letto per questo motivo, e, vi giuro, essere contenuti è davvero un’esperienza orribile, anche perché poi ho passato tutta la notte a urlare, ma non è mai arrivato nessuno” . 

 «… Bisogna poi agire nelle scuole: proprio avantieri con l’associazione abbiamo parlato delle nostre attività in una scuola superiore. Io ho parlato dello stigma […], l’insegnante ci ha poi detto che questi ragazzi volevano assolutamente richiamarci, volevano fare un incontro più lungo e farci più domande. Mi sembra assurdo che nelle scuole non sia prevista un’educazione emotiva, che magari può aiutare i ragazzi a capire cosa gli sta succedendo. Io ho iniziato ad avere i primi sintomi a otto anni e ho impiegato dieci anni per chiedere aiuto, perché non sapevo quello che mi stava succedendo […], pensavo di essere pazzo. Non volevo dirlo ai miei genitori perché non volevo che pensassero che fossi pazzo, pensavo di non avere via d’uscita, che sarei morto suicida, fine. Se a scuola qualcuno mi avesse spiegato cos’era la depressione e altro, magari, avrebbe un po’ ridotto lo stigma, portandomi a cercare aiuto prima, e così per tutti gli altri ragazzi che non chiedono aiuto.

«C’è la necessità di potenziare i consultori […] e il personale Asl per non ricadere nel privato. Una cosa importante sarebbe la possibilità di accedere ad alcune terapie specifiche. Per esempio, c’è una terapia specifica per le persone con disturbo borderline o in generale con disregolazione emotiva, con difficoltà a contenere gli impulsi, la rabbia, eccetera. Si chiama DBT, terapia dialettico-comportamentale, di solito viene fatta in gruppo e un gruppo di DBT dura sei mesi. Da nessuna parte è offerta dai servizi, te la devi pagare, e un gruppo costa circa settecento euro, a cui devi aggiungere il professionista che ti fa le sedute individuali, quindi verso fine anno arrivi a circa cinquemila euro di spesa per la tua salute mentale. Servirebbe anche un servizio di aiuto telefonico. Ci sono in realtà alcune associazioni che offrono un servizio di questo tipo, ma servirebbe una linea nazionale dedicata. Anche perché sia io che altre persone, quando abbiamo provato a usare l’attuale servizio, è andata più o meno così: “Pronto”. “Voglio suicidarmi”. “Hai creato un piano per farlo?”. “Sì”. “Ok, vai in 118”. “No”. “Ok, parlane col tuo medico”, e la conversazione terminava qui. Quindi non mi pare molto molto utile.

«Infine dovrebbero esserci norme più specifiche per tutelare le persone con disagio mentale, perché in molte cose non siamo per niente tutelati. Voglio fare un esempio: io sono uscito dalla comunità, ed è successo che per due volte mi abbiano negato il contratto d’affitto perché avevano scoperto che ero una persona con delle malattie mentali. Avevo le prove di questa cosa, ma non ho potuto denunciarli per discriminazione perché non c’è nessuna norma che ci protegge in questo senso».

Elio, annota Antonio Esposito, ha concluso il suo intervento ricordando il libro In bilico. Poesie sulla salute mentale scritto con Giulia Mason (Brà edizioni, 2022), dal quale prendiamo questi versi: “Nessuno resta al mio fianco/ scappano/ scappano da me, da chi sono, da ciò/ che porto dentro./ Perché non restano?/ L’ho capito/ hanno paura/ è vero”. 

Redazionale