Dal dibattito di Milano: Le leggi per la salute mentale, cittadini, persone, soggetti (vedi)

“Buongiorno a tutti. Mi chiamo Giulia Bordi e sono un’Assistente sociale di Genova che ha lavorato presso l’Associazione Ligure Famiglie Pazienti Psichiatrici. Attualmente sono operatrice e amministratrice della Cooperativa sociale Il Rubino a Trieste.”

Per quanto riguarda la proposta di Legge 181 sono assolutamente d’accordo con la posizione dell’Unasam che, riconoscendo fin da subito l’importanza del movimento delle Parole Ritrovate, si è già espressa nel merito della Proposta in una lettera del 2 gennaio 2012 elencando una serie di contraddizioni.

La prima e più evidente: nel documento della Conferenza stampa Le parole ritrovate scrivono che la Legge 180 “ha portato alla grande conquista della chiusura dei manicomi ma è rimasta incompiuta…”. Questa affermazione è profondamente sbagliata perché la Legge 180 “restituendo il diritto, la cittadinanza e la dignità alle persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale” ha rappresentato e rappresenta tutt’ora una delle Riforme più straordinariamente compiute nella storia del nostro Paese.

Ma la contraddizione è tanto più evidente quando si legge, nelle note introduttive alla Proposta di Legge 181, questa frase: “a partire dal dato vero, ma non sufficiente, che in alcune aree del Paese spirito e principi della 180 sono compiutamente realizzati”.

Ora, se in alcune aree del Paese i principi della 180 si sono realizzati, appare evidente che il problema, come si continua a dire da tanti anni, è da sempre l’inadempienza di ancora tante Regioni che continuano a disattendere le normative vigenti: Progetti Obiettivo 1994-1997 (DPR 7/4/94) e 1998-2000 (DPR 10/11/99); DPCM 21.03.2008 “Linee di indirizzo nazionali per la Salute Mentale”; le Raccomandazioni della Conferenza Stato e Regioni del 2009 in merito all’applicazione Aso e Tso; le Raccomandazioni della Conferenza delle Regioni e PA del 29 luglio 2010 sulla “Contenzione fisica in psichiatria: una strategia possibile di prevenzione”. Questo gennaio 2013 inoltre la Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema sanitario nazionale, con relatori gli onorevoli Saccomanno e Bosone, si è espressa affermando che “ le normative vigenti sulla tutela della salute mentale offrirebbero sufficienti possibilità di attuazione ed organizzazione dei servizi, attraverso la filosofia di cura territoriale, individualizzata e centrata sui luoghi di vita delle persone, come delineata già dalla Legge 180: dove l’applicazione […] è avvenuta senza indugio e i servizi di salute mentale sono stati realizzati in modo efficiente, gli stessi sono stati valutati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come un modello di eccellenza internazionale; ove ciò non è avvenuto, si sono prodotte lacune, anche gravi, nella rete globale dell’assistenza sanitaria, fino a situazioni di franco degrado”.

Sempre nelle note introduttive alla 181 è poi scritto che “occorre aiutare le realtà in ritardo anche con una legge”, che “dobbiamo una 181 a Giovanni” (una persona con disturbo mentale che può essere ognuno di noi). In questa proposta di Legge però non leggo di CSM APERTI 24h, 7 giorni su 7, nessun riferimento ai budget di salute, i progetti terapeutici riabilitativi individualizzati indicati già nell’ultimo Progetto Obiettivo nazionale tra gli interventi prioritari da portare avanti e ancora nessun riferimento rispetto all’ obiettivo di abolire la contenzione.

Leggo invece sempre nelle note alla 181 che “chiudere i manicomi ha avviato una sfida […] che dobbiamo, per amore della verità, riconoscere di avere sino ad ora, almeno in molte parti d’Italia, più perso che vinto”. Ma come? Sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità con la Dichiarazione di Helsinky sia l’Unione Europea con il Libro Verde hanno formulato piani di Azione che promuovono la filosofia, i cambiamenti e le innovazioni introdotte dalla Legge 180! Nessuna sfida è stata persa: sono tante invece le sfide che insieme bisogna ancora affrontare, tutte ruotanti attorno all’urgente necessità di riportare all’attenzione delle singole Regioni la definizione o ridefinizione dell’organizzazione dei servizi di salute mentale secondo tutte le normative citate.

Concludo condividendo pienamente le parole di Gisella Trincas, presidente dell’ASARP ed ex Presidente dell’UNASAM, che, in occasione del Forum Internazionale della Salute SANIT 2011 “Investire in salute mentale comunitaria: nella personalizzazione della cura orientata verso percorsi di ripresa emancipativi, superando qualunque forma di istituzionalizzazione nel rispetto dei diritti umani e di cittadinanza”, nella relazione introduttiva, tra i tanti punti importanti già indicati nella Mozione dell’Assemblea Generale inviata al Ministro Fazio, alla Conferenza delle Regioni e agli Assessori alla Sanità, rispetto all’istituzionalizzazione per legge degli UFE ha affermato:

Siamo contrari alla mercificazione dell’ “esperienza” maturata da familiari e utenti dei servizi di salute mentale e riteniamo che vada preservato il loro ruolo partecipativo e di collaborazione all’interno di eventuali accordi e protocolli di intesa, da stilare con le associazioni in cui operano, preservandone l’autonomia e l’indipendenza, ma anche la differente funzione.  Sarebbe profondamente sbagliato, a parer nostro, mettere sullo stesso piano compiti e responsabilità contrattuali e istituzionali differenti, rischiando di creare confusioni, contrapposizioni e violazione del diritto alla privacy. Inoltre è paradossale che laddove non si riconosce ruolo e protagonismo alle associazioni dei familiari e degli utenti, si è invece disposti a riconoscerlo a singoli familiari e utenti opportunamente e unilateralmente selezionati. Le Associazioni, in base alla normativa vigente, sono tenute a rapportarsi con una pluralità di istituzioni pubbliche territoriali e a partecipare ai tavoli tecnici territoriale di salute mentale, per l’attuazione di “Protocolli attuativi” di una corretta prassi di riabilitazione psicosociale delle persone con sofferenza psichica.  Programmi e verifiche devono, infatti, vedere la partecipazione riconosciuta e attiva delle Associazioni dei familiari e degli utenti come auspicato dalle stesse norme Nazionali ed Europee e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e non decisa unilateralmente dal Dipartimento di Salute Mentale”.

Giulia Bordi

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