mattoPrima dello scandalo provocato da un’indagine della Commissione d’inchiesta del Senato e dell’affermarsi del vasto movimento d’opinione che ha sostenuto i provvedimenti culminati nella legge n.81/2014, le persone non imputabili o semimputabili per disturbo mentale, se ritenute “socialmente pericolose”, potevano rimanere internate a tempo indeterminato e finanche a vita – i cosiddetti ergastoli bianchi – persino per fatti di scarsa gravità. Si veniva rinchiusi in uno dei sei O.p.g. presenti sul territorio nazionale, in condizioni inumane e degradanti; luoghi destinati a segregare, anziché curare.

Dopo la recente riforma, l’internamento deve svolgersi in una struttura chiamata “residenza per l’esecuzione di misure di sicurezza” (R.e.m.s.), sita nella regione di residenza dell’internato, gestita da personale sanitario, con il controllo, ora solo esterno, delle forze dell’ordine. Il giudice, che non può più applicare la misura sulla base di condizioni sociali e familiari di abbandono, deve ricercare prima di tutto misure alternative all’internamento, favorendo la realizzazione di un progetto terapeutico riabilitativo individuale, di concerto con i centri di salute mentale.

Tutto questo per legge. Nella realtà però, sotto diversi aspetti, culturali prima che normativi, permangono ancora esiti di categorie concettuali ed assiologiche introdotte nelle scienze sociali dal positivismo criminologico di fine Ottocento; lo stesso pensiero che contribuì a fondare le ideologie totalitarie e razziste del Novecento. Permane infatti il cosiddetto “doppio binario” di pene e misure di sicurezza, basato sull’idea che l’infermo di mente non debba essere trattato come persona, chiamato a responsabilità, processato e, se responsabile, punito con una pena proporzionata al fatto commesso; ma sia, invece, una ‘non persona’, una sorta di bestia da ‘amministrare’ rinchiudendola per un tempo sproporzionato, anche senza processo, facendone un mero oggetto di contenzione: inframuraria, fisica o farmacologica. Permane la centralità dell’internamento che dovrebbe costituire nei fatti, e non solo su carta, l’extrema ratio; mentre la strada maestra dovrebbe essere, sempre e per tutti, quella di un graduale reinserimento sociale, con l’aiuto dei servizi socio-sanitari territoriali. Soprattutto, permane la misura di sicurezza fondata su un concetto, di tipo predittivo, privo di qualsiasi verificabilità empirica come quello di ‘pericolosità sociale’.

Per superare realmente l’incultura segregazionista ancora dominante, occorre opporvi la cultura del primato della persona, dell’inclusione, della solidarietà, secondo le esperienze migliori che si sono realizzate nel nostro come in altri Paesi; esse vanno tradotte in concrete politiche socio-sanitarie.

Ma tali mete restano irraggiungibili senza una profonda revisione delle misure di sicurezza e della pericolosità sociale.

Modifichiamo la normativa! Abbiamo da perdere solo la mortificazione di esseri umani ma abbiamo da conquistare la civiltà e il progresso.

Primo firmatario Andrea Camilleri

Firma su http://www.societapericolosa.it/

Write A Comment