11392816_10152972494398391_4111550808029079385_n15 di maggio del 1974. A San Giovanni arriva Ornette Coleman. Era la prima volta che il grande parco sulla collina ospitava un concerto. I permessi, i costi, l’ospitalità per i musicisti, la pubblicità misero alla prova la nostra inesistente forza organizzativa. Dopo molte incertezze decidemmo per il campo sportivo del parco. Un campetto per il calcio. Un piccolo palco, poco meno di un metro di altezza, e un’amplificazione approssimativa avrebbe ospitato il quartetto. Un manager olandese imponente, lunghi capelli biondi raccolti a coda di cavallo, una sirena tatuata sul braccio teneva i rapporti con noi. Poco prima che Coleman salisse sul palco, migliaia di giovani in attesa, pretendeva che saldassimo quanto pattuito. Niente soldi niente concerto. 

Nel campo sportivo, credo per la prima volta, più di tremila persone venute da “fuori” in attesa. Tutti i reparti erano già aperti e tutti quelli che lo volevano erano presenti al concerto. Le persone entravano nel campo lasciando un’offerta a piacere. Avevamo incassato meno della metà di quanto serviva. Il resto sarebbe venuto da una banca che sponsorizzava l’iniziativa. Cercavamo di dire al manager che all’indomani la banca avrebbe liquidato il mandato di pagamento. Niente da fare. Coleman e gli altri erano trattenuti dietro un muro che faceva da quinta a pochi passi dal palco. Nell’imbarazzo generale dal pubblico, dalla prima fila viene fuori Rosina. Rosina sale sul palco, guarda stupita il pubblico che applaude, tira fuori dalla tasca la sua armonica a bocca e comincia a suonare. Ornette Coleman sente la musica e fa capolino incuriosito, ascolta ancora per un attimo, si avvicina a Rosina che continua a suonare e riprende dolcemente le note col suo sassofono. Entra Billy Higgins che prende posto alla batteria e dietro di lui Sirone Norris Jones che comincia a sostenere al basso il sassofono e James Ulmer che riprende l’aria di Rosina alla chitarra. Il concerto comincia. Una magia.

8 maggio 2005, Roma, Parco della musica, sala santa Cecilia. Concerto di Ornette Coleman.

“It was really very unique, molto speciale. Non mi ero mai trovato in un ambiente così particolare. Non avevamo la minima idea di chi potesse esserci in quell’ospedale, ci siamo trovati fra tanta gente di tutti i tipi e certo non avresti potuto dire, guardandoli in faccia, questo è malato e questo no”. Era per tutti noi la prima volta. Coleman ricorda molto bene quel pomeriggio triestino, tra i matti, trent’anni prima. “In realtà non immaginavo affatto la situazione in cui poi ci siamo trovati”. Nel prato del campo sportivo, circondato dai reparti “non c’era un vero palco, solo una pedana e noi suonavamo con la gente che andava e veniva intorno e vicino a noi, con l’aria di pensare vediamo chi sono questi artisti, cosa fanno. Era davvero molto bello, era real audience, un vero pubblico che si muoveva in modo consapevole, attento, coinvolto. Poi è venuta fuori quella signora, di lato rispetto a noi, dall’ombra, senza che nessuno la controllasse, suonando l’armonica. Si muoveva in modo molto tranquillo, convinta che non ci fosse nulla di sbagliato in quello che stava facendo, quasi professionale, suonava qualcosa che mi sembrò una canzone popolare. Mi ricordo che ho pensato questa è musica, let’s join her, andiamole dietro, e così abbiamo cominciato a suonare ciò che suonava lei.”

Con la musica di Coleman quello spazio fu, quel pomeriggio luogo di possibilità, di immaginazione, di un diverso modo di stare insieme.

Peppe Dell’Acqua

Trieste, giugno 2015 

(Il racconto fa riferimento a “Non ho l’arma che uccide il leone. La vera storia del cambiamentonella Trieste di Basaglia e nel manicomio di San Giovanni”. Edizioni alphabeta verlag, Merano, 2014)

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