di Luigi Benevelli

che recensisce: Thomas Insel, Healing- our path from mental illness to mental health, Penguin Press, New York, 2022

Thomas Insel, figura di assoluto primo piano della psichiatria Nordamericana e mondiale, dal 2002  al 2015 è stato alla guida del National Institute of Mental Health l’organismo istituito del Governo Federale USA nel 1946  con la missione di approfondire e  perfezionare la comprensione e i trattamenti delle malattie mentali attraverso la ricerca clinica e di base, con lo scopo ultimo di innovare e facilitare i percorsi di prevenzione, recovery e cura. Insel si è laureato negli anni ’70 del XX° secolo quando, racconta, trionfava il modello della malattia infettiva assunto a base per la ricerca biomedica e la cura e si diceva: gli internisti sanno tutto e non fanno niente ; i chirurghi non sanno niente ma fanno tutto; gli psichiatri non sanno niente e non fanno niente; i patologi sanno e fanno tutto, ma troppo tardi. Queste dunque le basi di partenza del suo percorso.

Healing- our path from mental illness to mental health  si apre con l’esèrgo del presidente John Fitzgerald Kennedy che il 31 ottobre 1963 licenziava il Community Mental Health Act scrivendo:

“Mi fu detto anni fa che la mente dell’uomo è un paese così lontano che non si sarebbe mai potuto avvicinarlo ed esplorarlo. Ma oggi, nelle presenti condizioni del progresso scientifico, sarà possibile per una nazione così ricca di risorse umane e materiali come la nostra rendere accessibili i luoghi più remoti della mente. Il malato mentale e il ritardato mentale non avranno più bisogno di essere alienati rispetto al nostro amore o al di là delle possibilità di aiuto delle nostre comunità”.

Il presidente Kennedy era cresciuto in una famiglia segnata dalla presenza della sorella Rosemary, nata nel 1918, sottoposta a lobotomia a 23 anni, il doloroso segreto di casa.   Insel apre ogni capitolo con un “caso”, una storia, di vita. Egli parte dall’osservazione che in altri rami della medicina la ricerca biomedica ha prodotto enormi progressi, salvato vite, dato qualità agli anni di vita, mentre in salute mentale questo non è accaduto: negli USA è calcolato in 15 milioni il numero di persone con disturbi mentali gravi per i quali non vi è stata riduzione nel numero delle morti e nelle disabilità, le famiglie hanno continuato ad essere la prima risposta, anche se da involontari esperti caregiver , fra fallimenti e cattivi consigli. 

La malattia mentale di per sé è sì diversa da una malattia del corpo, ma non è una “condanna a vita”, le persone possono risollevarsi, ritrovare una vita piena e significativa.

Insel denuncia i fallimenti del sistema sanitario del suo paese, ma pretende qualcosa di più e di diverso della sola assistenza medica e propone come parole d’ordine di un nuovo indirizzo del lavoro per la salute mentale tre P, ossia le iniziali delle parole People, Place, Purpose, che possiamo tradurre in gente, contesto di vita, scopi di vita. Fare salute mentale comporta equità, fiducia, vita, incontri fuori dalle istituzioni sanitarie; la malattia mentale ha una natura medica, ma le soluzioni dei problemi sono anche sociali, ambientali, politiche. Di qui la centralità delle 3 P da porre al centro dell’assistenza in una società che sia più equa, inclusiva, sensibile, compassionevole. Recovery è ri-costruirsi una vita. Ma, osserva Insel, manca il mandato (politico) per il cambio di parametro.

Ancora, è necessario saldare la frattura fra quanto si sa e quanto si fa in concreto. Negli USA non vi è un sistema pubblico di servizi di salute mentale, ma un sistema di assistenza governato dagli interessi delle compagnie di assicurazione e delle case farmaceutiche, invece che da quelli di pazienti, famiglie, comunità locali. Negli USA il  problema non è la possibilità di accesso alle cure (gli operatori per la salute mentale sono in numero di 700.000, più che in qualsiasi altra specialità medica);  sono disponibili  trattamenti farmacologici di nuova generazione. Ma migliore assistenza sanitaria non significa di per sé migliori esiti, perché questi dipendono da qualcosa di molto di più. E di diverso. Insomma, se sono disponibili trattamenti efficaci, perché gli esiti sono così “orribili”? 

Le ragioni stanno nel fatto che i trattamenti sono raramente associati a quell’assistenza (vicinanza) personalizzata di cui le persone necessitano, vi è un deficit di conoscenze nella messa a punto di un trattamento centrato  sulla singola persona (la medicina di precisione non appartiene proprio alle cure delle malattie mentali); vi sono diffuse opinioni negative circa i trattamenti da cui si tengono quindi lontano i pazienti, salvo i momenti delle crisi. Per ogni problema non c’è un’unica via d’uscita; non c’è bisogno di rinchiudere le persone perché soffrono di disturbi mentali; si può migliorare la qualità dell’assistenza integrando i trattamenti e addestrando gli operatori a erogare trattamenti che funzionano; la ricerca scientifica ci ha fornito sempre più accurate categorie diagnostiche che ci consentono di personalizzare, tarare sul singolo i trattamenti; la discriminazione può essere superata. E qui Insel cita l’esperienza di Trieste caratterizzata da un approccio olistico; dalla scelta dell’ospitalità al posto dell’ospedalizzazione; da un mandato basato sull’agenda dei diritti umani. Per tutto queste ragioni la crisi della salute mentale non è una crisi di assistenza, ma di diritti umani. 

Il primo capitolo si apre con la certificazione che negli USA le malattie mentali sono fra le maggiori cause di morte per suicidio (non omicidio); più numerose del cancro della mammella, della prostata, dell’AIDS. Il dato è in aumento anche senza considerare le morti per overdose, epatite ecc. Secondo il Report 2006 del Substance Abuse and Mental Health Services Administration in 8 Stati le persone con disturbo mentale in carico ai sistemi pubblici (Medicare, MedicaAid) muoiono da 15 a 30 anni prima del resto della popolazione. Le cause di morte sono patologie cardiache, cerebrovascolari, cancro, respiratorie, come se non ci fossero stati grandi progressi nelle cure di queste ultime malattie. Va aggiunto che dal 1990  al 2016 le disabilità correlate alle malattie mentali sono aumentate del 43%, andando a costituire un enorme ulteriore problema per il 21° secolo, tenendo conto del fatto che si è stimato che 1 su 20 adulti USA soffra di gravi disturbi mentali (Serious Mental Illness– SMI). Da ultimo, il problema degli aumenti crescenti dei costi dei trattamenti. 

La crisi della salute mentale è una crisi esistenziale  in cui SMI è fra le maggiori cause di carcerazione e homeless.

Insel denuncia la carenza di ricerche sugli  esiti dei trattamenti e sul rapporto fra cure e stigma nel campo della salute mentale.

La follia è antica, ma negli USA l’assistenza psichiatrica è recente: dopo il 1860 fu aperta la rete di ospedali di Stato (350) con 600.000 persone internate nel 1955; vi era molto praticata la lobotomia. Alle politiche di Kennedy seguirono la Great Society di Lyndon Johnson con l’istituzione di MEDICAID, ossia di un’assistenza pubblica anche psichiatrica. Nelle culture professionali l’approccio psicoanalitico diventava egemone, col risultato che  le situazioni più gravi furono abbandonate a se stesse. Con Jimmy Carter (1980) il Mental Health System Act  promosse e attivò più prevenzione e più assistenza ai cronici. A questi anni di impegno del Governo Federale seguirono 40 anni di abbandono, soprattutto dopo il taglio delle spese federali operato da Reagan nel 1981. Oggi sul versante delle cure, si dispone di trattamenti efficaci da applicare diffusamente, in particolare:

  • gli psicofarmaci: 30 diversi antidepressivi, 20 diversi antipsicotici, 7 stabilizzatori del tono dell’umore, 6 per ADHD. Annota Insel,  le ultime 4 decadi sono state migliori per l’industria farmaceutica più che per il pubblico. I farmaci, se correttamente assunti sono più efficaci dei placebo. Tuttavia la compliance è fra le più basse (meno del 50%). Il fatto è che il farmaco è solo una parte di ciò di cui hanno bisogno le persone con disturbo mentale. per condurre “una vita piena e ricca”.
  • Le psicoterapie con lo sviluppo dei trattamenti comportamentali (non psicoanalitici) e  famigliari. Le psicoterapie richiedono la motivazione e l’adesione del paziente

La stimolazione magnetica transcraniale, un approccio ancora empirico, così come per farmaci e psicoterapie.

  • Trattamenti riabilitativi che si rivolgono alla persona intera (whole person care)

Ma allora la domanda diventa: come mai se disponiamo di trattamenti efficaci gli esiti in generale sono negativi? Nella cura del diabete abbiamo imparato a combinare insulina e altri farmaci con i cambiamenti nello stile di vita, l’istruzione della famiglia e la lungoassistenza, col risultato che le persone con diabete possono continuare a funzionare invecchiando, pur affetti da una malattia cronica. Nelle malattie mentali si tratta di ri-costruire una vita attraverso i progetti personalizzati di recovery che richiedono una squadra di operatori che aiutano la persona a gestire la propria vita a casa, garantiscono sostegno nella scuola e nel lavoro, psicoeducazione della famiglia. Nel 2017 è risultato che meno del 5% dei pazienti con SMI poteva fruire di servizi di tale qualità e complessità. 

Fra i limiti poi della ricerca, ci si concentra sugli effetti dei trattamenti a breve anche in malattie che durano nel tempo; raramente i trattamenti tengono conto dei bisogni e dei desideri dei pazienti e i clinici si concentrano sulla ripresa dai sintomi piuttosto che sulla recovery. 

Negli USA, a fronte del taglio dei posti letto nei manicomi di Stato, vi è stato un incremento del 63% dei letti in ospedali privati e dei letti negli Ospedali di comunità (con 6 giorni di degenza di media). Nelle cliniche ammissioni e dimissioni sono diventati problemi di ordine finanziario più che sanitari.

Di grande rilevanza critica è il fenomeno della transistituzionalizzazione:

  • Le prigioni, diventate de facto ospedali psichiatrici, ospitano persone che non sono ancora state giudicate (Insel cita la prigione della Contea di S. Francisco con 1300 reclusi di cui 200 in trattamento con antipsicotici e 200 con antidepressivi). Candidati al carcere sono soprattutto Afroamericani e senza casa. I tassi di suicidio nei detenuti in attesa di giudizio sono 10 volte superiori rispetto al resto della popolazione.
  • A loro volta i manicomi di Stato sono diventati manicomi giudiziari, prigioni, con degenze che durano anche anni. 
  • Un rapporto del 2014 evidenzia che le persone con SMI in prigione sono 356.268; circa 35.000 quelle in manicomi di Stato; questo senza considerare le dipendenze patologiche. I tassi di recidive sono due volte la media nazionale. È avvenuto invece che le prigioni sono diventate ospedali e gli ospedali prigioni. Ma le prigioni sono fatte per punire, non per curare.  E qui, efficacemente Insel commenta che così 

si è compiuto un percorso rovescio rispetto a Pinel.

Necessario quindi cercare una via d’uscita da una situazione inaccettabile. Insel cita:

  • la condizione della metà delle donne detenute che sono madri single, il che significa che ci sono 250.000 bambini col loro unico genitore in carcere. Un dato catastrofico.
  • il legame polizia-malattia mentale -violenza porta con sé razzismo, eccesso di reazione, abbandono: le persone con SMI rischiano 16 volte di più di essere coinvolte in operazioni di polizia con conseguenze gravi anche per la salute mentale dei poliziotti coinvolti (suicidi, PTSD, alcoolismo)
  • La questione dei senza casa: nella città di Oakland gi afroamericani costituiscono il 70% dei senza casa ( i neri sono il 25% della popolazione della città). Il 25% dei senza casa è affetto da SMI , quindi 138.000 persone vivono come profughi nella loro città. Ad essi vanno aggiunti quelli in prigione e quelli sequestrati in famiglia, fuori dai servizi  di salute mentale, fuori dall’assistenza sanitaria. 
  • Un giovane con psicosi, che abbisogna di valide  opportunità di assistenza, al 50% può finire in prigione, al 25% fra i senza casa, al 25% in un ospedale o in una struttura h 24.

Il capitolo 5 si occupa del problema della qualità delle prestazioni, perché per il trattamento delle crisi la qualità è altrettanto importante della quantità (garanzia di accesso alle cure e buone cure). Queste le criticità:

  • ci sono molti tipi di professionisti e tutti si chiamano terapeuti. Questo non accade nel caso del cancro o dell’asma. Inoltre vi è scarso consenso circa i vari modi di affrontare anche le forme più comuni di malattia mentale. 
  • Negli USA operano quasi 700.000 professionisti, 12 psichiatri per 100.000 abitanti (il 45% della popolazione mondiale vive in paesi con meno di 1 psichiatra per 100.000 abitanti). Vi sono grandi differenze  nei singoli Stati nella distribuzione dei professionisti e nei servizi di salute mentale- 5,2 psichiatri per 100.000 abitanti nell’Idaho; 24,7 nel Massachussets; 7,9 psicologi per 100.000 abitanti nel Mississipi; 76 nel Massachussets.
  • A questo si aggiungano le differenze entro gli Stati fra aree rurali e aree urbane, quartieri poveri e quartieri di gente ricca: il 56% delle Contee non ha uno psichiatra; il 70% non ha un NPI; pochissimi gli infermieri psichiatrici.
  • Il 57% degli psichiatri non accetta di lavorare per i programmi pubblici Medicaid

Ma gli ostacoli più importanti sono costituiti dal fatto che la forza lavoro disponibile per la cura spesso non è stata ben formata, addestrata. l’assistenza è molto frammentata (specie fra presidi per la salute mentale e quelli per abuso di sostanze), mancano i riscontri di esito raramente monitorati e misurati.

Di qui 3 problemi: FORMAZIONE, INTEGRAZIONE, RESPONSABILITA’ (ACCOUNTABILITY)

La formazione: i professionisti usano quello che hanno appreso personalmente da clinici “carismatici” e mancano controlli, verifiche su come si opera. Insel si pronuncia decisamente per un’assistenza basata sull’evidenza. 

Fra i limiti maggiori vi sono la mancanza della conoscenza degli effetti dell’integrazione fra trattamenti farmacologici, psicologici, neurotecnologici, riabilitativi. È da sviluppare la ricerca sull’efficacia della combinazione di trattamenti. Va tenuto anche conto del grande intervallo di tempo che trascorre fra la comparsa dei sintomi e l’inizio delle cure: da 6 a 8 anni per la depressione; da 9 a 23 per i disturbi d’ansia. Il problema qui è che spesso il rinvio del trattamento comporta la negazione di un esito positivo. Un altro aspetto critico  è costituito dal fatto che la maggior parte delle prescrizioni di farmaci è fatta da medici e pediatri di famiglia perché le prestazioni degli specialisti costano troppo.

Si può partire dal fatto che sappiamo cosa è efficace e  possiamo digitalizzare le informazioni, misurando gli esiti e imparando dai risultati ( come accade per la P/A nell’ipertensione o la glicemia nel diabete). Il National Committee for Quality Assurance → Health Effectiveness Data and Information Set (HEDIS) (2019) riporta che l’adesione al trattamento nei casi di diabete e malattia cardiovascolare a 1 settimana dalla dimissione è del 75%; meno del 50% invece per la salute mentale. I gestori dei servizi di salute mentale hanno tardato a adottare registrazioni elettroniche dei dati in formati standard. La causa sta nella prevalenza della professione privata

Un capitolo è dedicato alla Medicina di precisione. Insel parte dalla presentazione della vicenda di Dylan che all’età di 9 anni ha ricevuto 7 diagnosi e 9 trattamenti diversi. In medicina il cancro è diagnosticato e trattato oggi non in base alla localizzazione, ma al meccanismo genetico che lo causa (marker molecolari) per identificare le mutazioni. Nelle  malattie mentali, invece, non sono mai state riscontrate lesioni specifiche (in quale parte del cervello ricerchiamo?). Nel lavoro per la salute mentale le etichette diagnostiche in uso sono datate, imprecise e questo è di ostacolo al progresso dei trattamenti medici e psicologici. Una diagnosi accurata è di fondamentale importanza per identificare gli obiettivi per esiti migliori; per questo è necessario riempire il divario fra ciò che conosciamo e ciò che facciamo nella pratica.

Il Manuale diagnostico (DSM)

La diagnosi delle malattie mentali si basa esclusivamente sui sintomi riferiti dal paziente e dai segni  osservati dal clinico. Non vi sono test di laboratorio o biomarcatori salvo quelli usati per escludere una causalità medica (v. ansia nei disturbi tiroidei o sindromi autoimmuni per psicosi). E, osserva, che se si scopre una causa biologica per depressione, ansia o psicosi, la malattia non è più considerata come psichiatrica.

Nella prima redazione del DSM (1952) i disturbi sono identificati attraverso i sintomi, non in rapporto alle cause o alle risposte ai trattamenti. Le etichette sono applicate o tolte in base ai voti di comitati composti da psichiatri maschi americani bianchi. 265 le categorie diagnostiche. 

L’approccio genomico ha evidenziato + di 200 variazioni nel DNA; nessuna di queste ha valore diagnostico e per la maggior parte si trova fuori dalla parte del genoma che codifica le proteine. A differenza dalle mutazioni evidenziate per il cancro o le malattie rare, nessuna delle varianti genetiche associate a malattie mentali può essere considerata avere valore causale, al massimo, come fattore di rischio. Nella clinica, nella diagnosi e nel trattamento di malattie mentali i determinanti sociali quali povertà e fattori stressanti risultano più importanti per l’esito e certamente più manovrabili rispetto al rischio genomico. Nel caso dell’autismo il danno al genoma evidenziabile è stimato al 30%. Ma si tratta di cambiamento de novo, non ereditato, da mutazioni random nel corso della divisione delle cellule germinali. 

Gli studi derivati dalle neuroscienze inducono a pensare che la malattia mentale sia un disordine dei circuiti cerebrali rimediabile attraverso farmaci, psicoterapie, esperienze e combinazioni di tali fattori. Quanto alla diagnosi, è un modo per descrivere i sintomi, non una definizione di identità. Abbiamo sì bisogno di un approccio medico per definire il problema, ma di un approccio sociale e relazionale per risolverlo. Inoltre possiamo stabilire il trattamento anche prima della diagnosi. L’adozione di questi principi nel lavoro per la salute mentale da parte di operatori anche non laureati può portare a risultati utili.

Oltre lo stigma

La gran parte delle prestazioni assistenziali nelle malattie mentali è erogata non da medici o infermieri, ma da famigliari e comunità. Le famiglie indicano lo stigma come problema più importante, causa di inadeguate coperture assicurative, scarsi investimenti nella ricerca, pochi progressi nelle cure, trattamenti mancati. Lo stigma è largamente condiviso e, a differenza di quanto accade per altre malattie, per molte persone con malattia mentale definisce quello che uno è. Questo è già accaduto per cancro, AIDS, prima della disponibilità di trattamenti efficaci. È suggestivo ma non realistico, pensare che stigma e vergogna spariranno con la disponibilità di trattamenti efficaci: questo perché disponiamo di trattamenti efficaci.  Inoltre stigma rievoca vittimizzazione e inazione; meglio allora, propone Insel,  il termine discriminazione alimentata da paura e ignoranza e che richiama alla giustizia sociale.

Poche persone ricevono cure anche per il timore dei trattamenti cui potrebbero essere sottoposte, in particolare per le cure in regime di coazione: il lato oscuro della storia. Qui Insel cita le  60.000 sterilizzazioni praticate in 27 Stati di Americani con motivazioni eugenetiche su persone con SMI o deficit intellettivi e il fatto che  in California la pratica è fuori legge dal 2014.

Il capitolo 8  è dedicato a recovery e alle 3 P: recovery  intesa non solo come ripresa dai sintomi, ma anche trovare connessioni, significati non definiti o delimitati dalla malattia; non è psicoterapia, psicoeducazione, psicanalisi, prozac, Paxit, Prolixin, ma PPP, chiavi per la guarigione da collocare al centro del lavoro per la salute mentale:

  • PEOPLE (ossia la gente), risorsa per le crisi delle relazioni e delle connessioni sociali. L’isolamento sociale può essere devastante, l’attaccamento curativo; la solitudine è fattore di rischio per mortalità precoce, obesità, fumo, abuso di alcool. E qui cita l’esperienza della pandemia da Covid nel corso della quale negli USA 19 milioni di persone hanno preferito il rischio delle relazioni sociali ad una vita quotidiana in isolamento. 

Insel sottolinea l’importanza per la nostra salute mentale di riti sociali quali la passeggiata in Italia, di reti di relazioni sociali fra persone che condividono un fine come il Mori in Giappone , di culture che promuovono l’Ubuntu in Sud Africa(io sono perché ci sei tu). la cosa più importante che davvero conta sono le relazioni con gli altri”, le relazioni “deboli” nella vita quotidiana. La malattia mentale è un viaggio solitario (rottura nei rapporti famigliari, amicali) e le connessioni possono battere la solitudine. Le relazioni sociali sono parte della cura, così come l’accompagnamento, lo stare insieme. La malattia mentale è un problema medico che richiede una soluzione sociale

  • PLACE (ossia i luoghi della vita quotidiana), luoghi sicuri e dignitosi dove vivere- Qui cita l’esperienza secolare di Gheel di ospitalità degli ossessi, pensionanti che possono andarsene; Il posto, il contesto è qualcosa di più di una casa sicura, è anche lavoro, occupazione.
  • PURPOSE , ossia il fine, lo scopo, la ragione, il senso e cita Viktor Frankl secondo cui chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni cosa. L’85% dei SMI è senza lavoro; il lavoro aumenta autostima e qualità della vita; importante non interrompere il lavoro.

Insel agli esordi della sua carriera pensava che il miglioramento dell’assistenza potesse derivare da migliori trattamenti, una breccia che avrebbe consentito di spegnere il fuoco per poi avviare il percorso verso la recovery: come era accaduto nel caso della leucemia linfoblastica acuta dei bambini con il 90% dei morti negli anni ’70, nella cura si usava  l’associazione di 8 farmaci chemioterapici e il nursing, il continuo monitoraggio. Così quando una persona ammala per la prima volta di una malattia mentale, al 1° episodio dovrebbero essere disponibili insieme psicoterapie, farmaci, educazione e sostegno ai famigliari, lavoro e/o istruzione a supporto dei giovani. In questi programmi i pari con esperienza possono diventare centrali nella squadra di assistenza.

Il lavoro per la salute mentale deve/può avvalersi degli strumenti  della telepsichiatria: video online; faccia su video o cellulare; chatbox come terapeuta. La tele psichiatria (care online, online peer support), nonostante i suoi vantaggi non è stata adottata prima del 2020 (COVID). Essa può aiutare a risolvere anche uno degli elementi di debolezza dei Servizi di salute mentale nei quali circa il 60% delle persone con disturbo mentale non cerca assistenza, cercando aiuto non nel sistema sanitario ma nei social media. Alla domanda rivolta alle persone con disturbo mentale  riguardo il “cosa vuoi per il tuo problema?”, le risposte sono state: “un’informazione credibile, un’opportunità di connettermi con qualcuno come me”. Terapie e farmaci più giù nella lista. Nella Telehealth si pongono importanti questioni di etica e di fiducia nel terapeuta virtuale che risulta meno giudicante e più facile da parlargli. Tuttavia, per Insel, la tecnologia non può sostituire “gli stivali sul terreno”.

L’assistenza quindi non è né il problema né la soluzione; decisiva invece la prevenzione attraverso la  rimozione delle diseguaglianze sociali: le differenze le fanno le 3 P ossia  il sostegno sociale, la casa, l’occupazione. Non ci sono infatti vaccini. Il rischio individuale è più difficile da definire rispetto ai fattori di rischio di una popolazione. Insel cita il caso della depressione postpartum che colpisce il 15% delle puerpere. In queste situazioni possiamo identificare chi è a rischio e procedere come nel “Nurse family partnership program” di David Olds (Sidney) , a sostegno di madri a basso reddito a crescere bambini sani, iniziando con la visita domiciliare di un operatore alla donna gravida con l’offerta di collaborazione per educazione, salute, sostegno sociale: questi i risultati.

Citato anche l’Henry Ford Health System che opera nel Michigan da 20 anni per la prevenzione del suicidio in pazienti psichiatrici: il centro dell’intervento è il periodo che segue il tentato suicidio (t.s.). I tre i gruppi di persone con SMI a maggior rischio di suicidio  sono: uomini bianchi over 65, nativi americani, adolescenti LGBT. Ma è importante non solo chi, ma anche come, dove, quando. La gran parte dei p. ricoverati dopo t,s, aveva negato l’intenzione di uccidersi durante l’ultima conversazione prima del t.s. è quindi fondamentale la formazione del team.

Da ultimo, Insel affronta il tema della guarigione chiedendosi perché stiano aumentando i tassi di morte e disabilità di sempre più persone con disturbo mentale grave anche se trattate nei modi migliori. Le risposte che dà sono: 

  • Molte persone che vorrebbero o potrebbero beneficiare dei trattamenti non ricevono assistenza per diffidenza rispetto ai trattamenti, difficoltà negli accessi e disturbi mentali che spesso precludono la ricerca di aiuto. Le persone ricevono assistenza quando o si trovano in una crisi che porta o all’ospedale o al carcere, o ricevono prescrizioni dal medico generalista. Questo è il chiasma della qualità, ossia il divario fra ciò che sappiamo serve e ciò che accade in concreto. Il sistema di assistenza è frammentato, non centrato sugli esiti; gli addetti non sono addestrati a gestire i trattamenti su una forte base di evidenza; continuità e coordinamento sono carenti. Dobbiamo ricordare che non è tanto la quantità che conta, quanto la qualità e soprattutto il disconoscimento del peso  di povertà, crisi razziale, diseguaglianze sociali da cui deriva l’alto il rischio di carcere, senza casa, abbandono sociale.
  • Bisogna spendere, investire di più in recovery e prevenzione. Di qui la critica serrata all’organizzazione della sanità negli USA e il giudizio positivo sui sistemi europei. Le risposte efficaci alla crisi della salute mentale non sono un’ambulanza medica o un’auto della polizia, ma un caravan con un infermiere, un operatore sociale e un pari; nelle situazioni di acuzie è il ricovero nelle emergenze psichiatriche e/o in strutture residenziali, ma che sia il più breve possibile. L’assistenza a chi non necessita di tali strutture deve  contare sulla combinazione di farmaci, psicoterapia, sotto la guida di un esperto di trattamenti basati sull’evidenza, come accade per una gamba rotta o una crisi glicemica. Uso delle tecnologie per misurare gli esiti. La salute mentale sia parte dell’assistenza generale.
  • Quanto alle coperture finanziarie e alle assicurazioni, le assicurazioni coprono il rischio di una persona, non di una popolazione. Debolezza delle associazioni a difesa dei malati mentali. Se non si cambia registro ci si potrà confrontare solo con le crisi acute. Occorre quindi un forte movimento, come per i diritti civili o il clima. La sfida è qualcosa di più di una sfida medica, è un problema di giustizia sociale. In USA si è alla fase di un Jim Crow nella salute mentale: separati e disuguali. Il tema del passaggio dalle politiche criminali alla salute  La questione non è purtroppo all’ordine del giorno nel dibattito pubblico.

E Insel così conclude: anni ad ascoltare le famiglie, visitare rifugi per senza casa, residenze protette, cliniche, ospedali, carceri mi hanno convinto che le questioni sono più complesse e le soluzioni di gran lunga più semplici. Per troppo tempo abbiamo chiesto alle persone e alle famiglie di arrangiarsi da sole nelle difficoltà. 

Dalle famiglie che hanno perso i figli nella malattia mentale ho imparato il potere distruttivo dell’anima che hanno queste malattie; da  chi si è battuto con la depressione e la psicosi ho imparato l’importanza della pazienza e del coraggio; da coloro che ne sono usciti, il potere dell’amore e dell’impegno a raggiungere lo scopo. 

Healing è un testo di rara eloquenza e potenza che racconta l’approdo alla salute mentale del direttore di uno dei più importanti centri mondiali di ricerca biomedica psichiatrica. Credo che siano assolutamente utili la sua traduzione e messa a disposizione del pubblico italiano.

Luigi Benevelli

Mantova, 18 agosto 2022 

1)Dopo la messa fuori legge dello schiavismo e la guerra civile, a partire dal 1877 fino al 1964 gli Stati del Sud adottarono leggi dette “Jim Crow” che legittimavano la segregazione razziale nei servizi pubblici.