Molto peggio è andata all’Orso d’oro “Gegen die Wand” (contro il muro) del turco-tedesco Fatih Akin che i traduttori italiani di titoli di film stranieri hanno trasformato in una folcloristica “Sposa turca”. Tuttavia resta un enigma perché l’ultimo film di Alain Resnais “Les herbes folles” (le erbe folli) con tanto di locandina che più esplicita di così… è entrato nelle nostre sale come “Gli amori folli”.
Non che gli amori non ci azzecchino: quella di Resnais, ispirata al racconto “L’incident” di Christian Gailly è una pellicola d’amore a tutti gli effetti. È che strappando dal titolo le erbe matte, si toglie potenza alla metafora che in due parole condensa tutto il succo di quest’opera, la 48.esima del grande regista francese che il 3 giugno prossimo compie 88 anni. Costruita sull’analogia tra le passioni del cuore estreme e le erbe matte, che come la neve in “Cuori” o le meduse in “Parole, parole, parole” ne sono il martellante refrain. Erbe che anche chi di giardinaggio non si intende sa quanto inutile sia ficcarsi in testa di estirpare. Pazze scocomerate che si divertono a spuntare dove e quando vogliono loro, ridendosela di barriere naturali e architettoniche, difese psicologiche e paletti sociali. Pronte a scavalcare ogni barricata e si salvi chi può. I candidati per l’infarto stavolta sono Marguerite, una Sabine Azéma da crampi di invidia, e Georges, un André Dussollier stagionato al punto giusto e che qualcuno ha paragonato a quel formaggio francese che più ammuffisce più lo si apprezza.
Lei, una dentista single senza età con un brevetto per aerei leggeri, un’amica con cui fare coppia fissa, centomila uomini e nessuno giusto. E un vecchio Spitfire della II Guerra Mondiale che chiama «il mio ragazzo»; se non trova niente di più emozionante, lo sposerà. Lui, un cinquantenne che pare un settantenne ben conservato con una moglie che sembra sua figlia, dei figli che sembrano suoi nipoti e un vecchio segreto che lo tormenta quando la nausea esistenziale non ne può più di lui. Per il resto passa il tempo a tosare il prato sotto casa e arrostire cotolette sul barbecue. Non si conoscono, non si sono mai visti e anzi, tutto fa credere che le probabilità che si incontrino sono una su un miliardo. Non il destino, che passando gran parte del suo tempo al cinema a vedere film di una noia mortale, un bel giorno decide di farla lui una commedia come si deve. Inscena così uno scippo ai danni del portafoglio di lei, facendolo trovare a lui, e la scintilla è innescata.
Da lì in poi tutto concorrerà ad annegare i personaggi in un’alone di sogno. Dalla fotografia giocata su oniriche luci al neon, a un’ipnotica voce fuori campo che avvertirà «Non ci si può mai stupire di cosa ti succede quando esci dal cinema», dalla trama che ancora una volta scombina le vite dei protagonisti in un aleatorio e surreale intreccio caro a Resnais, ai sottili dialoghi-monologhi spinti all’assurdo. Come la prima telefonata di Marguerite a Georges per ringraziarlo di aver reso il portafogli smarrito. «Lei mi delude», sbotta di punto in bianco lui, troncando la conversazione. Leggi: «Lei non risponde al film che mi sono girato in testa io». E avanti in un gioco a rimbalzello dell’io penso che tu pensi che io penso che tu… Resistervi sarà eroico, sia per i protagonisti sia per lo spettatore. Che una volta espulso dal sogno (e dal cinema) verrà catapultato dritto in qualchecosa che somiglia molto a un incubo. Cominciando per esempio a chiedersi quante volte ha sorpreso se stesso davanti allo specchio a fare le prove di una conversazione immaginaria con una o uno che appena conosce o che non conosce affatto, a distribuire le parti, recitare le battute, montare le scenografie, indossare i costumi di un copione che non esiste? Quante volte ha inseguito sullo schermo opaco della sua vita le proiezioni delle proiezioni delle proiezioni di una trama amorosa di cui non sa più né quando né dove né perché è iniziata, se è iniziata? E così via.
E se in un primo momento scoprirsi nudo potrà dargli sui nervi e si consolerà dicendo che dopotutto era solo un film, sebbene con la firma di un grande mago del cinema che si è bellamente preso gioco di lui, ripensandoci a freddo proverà un certo crescente sollievo. Finendo col ringraziare il vecchio stregone per avergli ricordato, e senza nemmeno scomodare quell’altro di un invasato del suo compatriota di nome Verlaine, che «il miglior modo per realizzare un sogno è svegliarsi».
Korallina
Trieste, 5 maggio 2010