Un articolo apparso sul Manifesto del 16 luglio 2008 che racconta la situazione della psichiatria in Abruzzo.
Dopo l’inchiesta che ha decapitato i vertici della giunta regionale, un viaggio nella sanità abruzzese attraverso la lente del disagio psichico. Servizi territoriali inefficienti e fondi alle cliniche private: non è molta la strada percorsa dalla legge Basaglia in poi. Prospera invece Villa Pini, la clinica di Vincenzo Maria Angelini, le cui rivelazioni sono state fondamentali per la svolta nelle indagini
Nella regione con il più alto tasso di ricoveri dei malati di mente, i manicomi hanno cambiato solo nome
Eleonora Martini
INVIATA AD AVEZZANO (AQ)
Trovare la sofferenza psichica in Abruzzo è facile. Molto più difficile è trovare una persona che abbia conosciuto la malattia psichica e sia disposta a raccontare la propria storia. Non c’è da stupirsi, è solo un altro sintomo di quanta poca strada i servizi psichiatrici territoriali abbiano fatto in questa regione dalla chiusura dei manicomi, voluti dalla legge Basaglia 30 anni fa, in poi. Di quanta poca capacità di cura e riabilitazione siano in grado mediamente di produrre, quanto siano inesistenti le politiche per la salute mentale. Un dato per tutti: l’Abruzzo detiene il triste primato del più alto tasso di ricoveri ospedalieri in reparti psichiatrici d’Italia. Eccezioni alla regola ce ne sono, eccome: a L’Aquila, per esempio, o in modo puntiforme in altre zone. Ma sono poche oasi costantemente a rischio in un mare burrascoso, costruite con fatica da piccoli Davide che combattono dentro il sistema pubblico contro i Golia del convenzionato privato, particolarmente ingrassato in terra abruzzese. Spesso però combattono anche contro la loro stessa inadeguatezza, la mancanza di formazione professionale degli operatori dei Centri di salute mentale (Csm), l’indifferenza, la corruzione. Cliniche private e corruzione, sono queste le piaghe su cui si inserisce l’inchiesta sulla sanità che ha portato lunedì all’arresto del governatore Ottaviano Del Turco e di molta parte della giunta di centrosinistra. Fondamentali le rivelazioni di Vincenzo Maria Angelini, amministratore di Villa Pini d’Abruzzo, la regina della residenzialità privata psichiatrica e non solo, nata dalle ceneri di un vecchio manicomio di proprietà della sua famiglia.
Incontrare malati che abbiano raggiunto un buon livello di coscienza di sé e responsabilizzazione da queste parti è un terno al lotto, mentre sono a portata di mano le persone che «non hanno avuto risposte adeguate» e che spesso «sono andate incontro a destini di rifiuto della vita», come racconta uno dei pochi psichiatri illuminati, non a caso oggi «emigrati» altrove. Eppoi, per raccontarsi bisognerebbe aver superato la paura dello stigma della follia che qui resiste inalterato come le montagne. O essersi liberati dal «ricatto emotivo» che il malato subisce dal medico di riferimento, da cui si sente «completamente dipendente». In questo deserto, in questa «povertà dei servizi che corrisponde ad una povertà di coscienza politica», dove il peso della malattia è tutto scaricato sulle spalle delle famiglie, non ci si può nemmeno stupire che in alcune zone particolarmente arretrate proprio dai parenti dei malati venga la più forte richiesta di controriforma psichiatrica, come conferma Gemma Carlucci, dell’associazione di familiari Percorsi.
«Non ce la faccio più, mio figlio schizofrenico deve essere rinchiuso perché anche il resto della famiglia si sta ammalando assieme a lui – si sfoga M., una madre che, come tutti gli altri che abbiamo incontrato, vuole rimanere anonima – Ogni volta che necessita di un Tso (trattamento sanitario obbligatorio, ndr) non so perché ma i medici scaricano su di noi la responsabilità della richiesta, così quando torna a casa è più arrabbiato con noi e più violento di prima». La signora che parla ha tutta l’aria di essere una persona benestante, nella media qui ad Avezzano, una cittadina di 30 mila abitanti capoluogo della Marsica che negli ultimi venti anni ha visto sbocciare come funghi banche, negozi e centri commerciali. Uno sviluppo economico che però non si è mai accompagnato ad un pari progresso culturale e del welfare. In compenso invece oggi dilaga la cocaina, una sostanza che facilmente sviluppa psicosi ma che al contempo non raramente conquista un certo tipo di malati cronici che, abbandonati a loro stessi, la sostituiscono agli psicofarmaci ottenendone, oltre ai benefici apparenti, lo «status» di «normalità». P. ha 42 anni, vive in un paese della Marsica. Fino a 10 anni fa aveva una vita realizzata, felice. Una moglie, un figlio, un lavoro importante che gli permetteva di viaggiare e conoscere il mondo. Poi d’improvviso una tragedia lo devasta: la morte di suo figlio ancora bambino. P. ha gli strumenti culturali per capire che da solo non ce la può fare, così si rivolge agli psichiatri del Csm di Avezzano. Qui, come è accaduto a centinaia di persone negli ultimi 20 anni, la risposta che ha ottenuto «non è stata una presa in carico complessiva, ma un rinvio all’ospedalizzazione nella casa di cura privata di Villa Pini, dove complessivamente ha trascorso più di 100 giorni, con alcune brevi interruzioni». Si apre insomma per lui quello che viene chiamato il meccanismo della porta girevole. «A Villa Pini sperimenta tutte le cattive pratiche della psichiatria, dalla contenzione fisica a quella farmacologica. In realtà le subisce personalmente solo dopo averle viste applicate su altri pazienti ed essersi ribellato». A raccontare è il dottor Alessandro Sirolli, ex direttore del Centro diurno psichiatrico de L’Aquila attualmente trasferitosi in Sardegna, ma ancora portavoce del Forum di salute mentale abruzzese. Sirolli conosce P. tardi, ma l’incontro permette all’uomo di uscire dal circolo mortale. Tornato a casa, infatti, il calvario di P. continua nel rapporto disastroso con il Csm di Avezzano, da cui riceve solo risposte di tipo farmacologico, e in particolare con lo psichiatra che lo dirige da tantissimi anni, Angelo Gallese.
Ma la storia di P. è simile a quella di centinaia di altre persone. C’è H., originario di un paese arabo, che di giorni a Villa Pini ne ha trascorsi 400. C’è L., una donna di 45 anni istruita e intelligente ma sofferente dall’adolescenza, che vive con un’anziana madre che non riesce a tener testa alle sue crisi schizofreniche. A casa loro, però, un medico, un operatore o un assistente sociale, non l’hanno mai visto malgrado la famiglia abbia chiesto aiuto in tutti i modi, perché L. spesso diventa molto violenta con se stessa e con gli altri. Nei momenti di maggiore lucidità, quando qualcuno riusciva a convincerla, L. stessa si rivolgeva al Csm. Dall’«ambulatorio» – così lo chiama con molte ragioni L. – ha ricevuto però solo ricoveri, soprattutto a Villa Pini, psicofarmaci, qualche colloquio con psicologi e assistenti sociali, e i documenti per ottenere la pensione d’invalidità di 270 euro circa al mese. Che, sommate con le 550 di sua madre, fanno tutto ciò di cui si può nutrire per tentare di costruirsi un’alternativa di vita.
Sono molti quelli che lamentano di aver chiesto invano un intervento domiciliare al Csm di Avezzano. Il sito del Forum di salute mentale abruzzese riporta ancora la triste storia di un giovane morto suicida nel 2004 dopo che i familiari avevano richiesto per mesi l’aiuto del Csm. E qualcuno invece accusa il direttore Gallese di «favorire uno stile privatistico di lavoro», dove cioè non si costruisce alcuna relazione tra servizi territoriali, né tanto meno tra operatori medici e psicologi.
In questo puzzle della psichiatria abruzzese ci sono poi alcuni protagonisti d’eccezione. Chiunque viva in Abruzzo ha perlomeno sentito parlare di Villa Pini, a Chieti, come di Villa Serena, a Città Sant’Angelo (Pe). Villa Pini è una mega clinica privata convenzionata che, oltre alla struttura residenziale protetta (sbarre alle finestre, porte serrate) gestisce anche una comunità alloggio, alcuni gruppi appartamento, un’azienda agricola e una Rsa (residenza sanitaria assistita) esterni alla clinica. In tutto più di 320 posti. Dello stesso tipo, anche se un po’ più piccola (intorno ai 200 posti letto nella residenzialità), è Villa Serena che nel solo reparto per acuti ha 60 posti letto con possibilità di ricoveri in Tso. Tanto per capire le proporzioni, l’Spdc dell’ospedale di Pescara, il servizio psichiatrico pubblico, può arrivare a un massimo di 20. Da notare che, almeno negli anni che vanno dal 2005 al 2008, le cliniche private venivano pagate, attraverso la Fira (Finanziaria regionale abruzzese, a capo della quale c’è Giancarlo Masciarelli, arrestato lunedì), dalle aziende sanitarie locali, a “pacchetto”, conoscendo cioè solo il numero e non l’identità dei pazienti per i quali la regione rimborsava le cure convenzionate.
Complessivamente, la capienza regionale della residenzialità è di 807 posti, la stragrande maggioranza in cliniche private. Ma il piano sanitario da poco approvato (predisposto da Francesco Di Stanislao, direttore dell’Agenzia regionale di sanità, anche lui indagato e con il divieto di dimora a Pescara) prevede di ridurre questo numero entro il 2009-2010 a 520 posti e distribuirli maggiormente sul territorio. Anche i fondi per la riabilitazione residenziale diminuiscono: si passa da 28.600.000 euro (stanziati nella delibera 207 del 2005 firmata dall’allora assessore Domenici, arrestato lunedì) a circa 26 milioni. «Nessuno – dice Sirolli – ci spiega come con meno soldi la sanità pubblica intenda curare nei Csm quei 300 pazienti in più che “escono” dalle strutture residenziali». I finanziamenti pubblici per questo tipo di strutture sono distribuiti, nel nuovo piano sanitario, distinguendo la residenzialità psichiatrica in quattro tipologie: le case famiglia, i gruppi appartamento, le residenze protette e quelle «riabilitative post-acuzie» a cui va la maggior parte dei fondi (9.674.379 euro) e che, racconta Sirolli, «non esistono nelle regioni dove la psichiatria è al servizio della salute mentale pubblica». «Non potevano inventarsi uno strumento migliore per togliere le castagne dal fuoco ai Csm – continua Sirolli – sono luoghi dove si viene ricoverati dopo un Tso o dopo una riacutizzazione dei sintomi e vi si può rimanere anche fino a 12 mesi». Dopo, se i sintomi persistono, per il paziente si aprono le porte delle strutture di degenza protetta (a cui va la seconda fetta dei finanziamenti), senza alcun limite massimo. Anche le case famiglia, il cui costo è di 120 euro al giorno a persona, «sono considerate, nelle regioni dove esistono da anni come in Emilia Romagna, luoghi di cronicizzazione e quindi in fase di destrutturazione», come racconta Lucia D’Alfonso, del centro diurno psichiatrico di Chieti.
Infine, il problema per eccellenza, in Abruzzo: il lavoro. Senza un’occupazione, senza un ruolo sociale, si perdono anche gli amici e gli interessi, e per il malato psichico non c’è guarigione. Qualche sforzo in questo senso la Regione lo ha fatto: ha istituito un fondo per finanziare borse lavoro con le quali si sperava di garantire un reinserimento lavorativo dei malati. Ma finite le borse lavoro (250 euro di stipendio per 20 ore settimanali), le aziende pubbliche e private non rinnovano i contratti. E allora, non rimane che la pensione e chiudersi in casa. In questa terra, dopo la 180, i manicomi hanno solo cambiato nome e ubicazione.