Quando è stato pubblicato il Rapporto Nazionale 2013 sull’uso dei farmaci in Italia (Agenzia Italiana del Farmaco, 2014) l’argomento che ha tenuto banco è stato l’incremento dei consumi e della spesa per quasi tutte le classi di farmaco, che il Rapporto evidenziava. Gli antidepressivi non fanno eccezione, anche se gli aspetti che meritano maggiore attenzione sono altri: a) la scarsa aderenza ai trattamenti b) la enorme variabilità regionale.
“ Diversi studi osservazionali – dice testualmente il Rapporto – hanno dimostrato che la quota di soggetti che assumono antidepressivi in maniera continuativa e appropriata è appena il 20%, mentre circa il 50% sospende il trattamento nei primi 3 mesi di terapia e oltre il 70% nei primi 6 mesi. Questo comporta una mancata efficacia del trattamento farmacologico e un aumento ingiustificato della popolazione esposta a possibili effetti collaterali, nonché un aggravio di spesa per il SSN”. In sostanza, 2 persone su 3 assumono questi farmaci con modalità non coerenti con le principali linee guida. Se a questi rilievi aggiungiamo quelli derivanti dalla recente letteratura, che ha messo in discussione la dimensione dei benefici terapeutici, specie se confrontati con quelli ottenibili da interventi non-farmacologici (es.: psicoterapia CBT), sorgono molti dubbi circa la reale utilità di uno degli strumenti più diffusi e criticati dell’armamentario psichiatrico.
Quanto alla variabilità d’uso sul territorio nazionale, è davvero singolare rilevare come Toscana, Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna mostrino un numero medio di dosi di farmaco consumate giornalmente (DDD/1000 abitanti die) quasi doppio rispetto a regioni come Campania, Basilicata, Molise e Puglia. Non è immaginabile che ciò dipenda da reali differenze epidemiologiche nella diffusione della depressione (certamente non nell’ordine del + 80%), né tantomeno è possibile attribuire il minor consumo nelle regioni meridionali alla più ampia disponibilità di interventi non farmacologici (sia per il minor sviluppo della psicoterapia nei servizi pubblici, sia per la minore capacità di acquisto di prestazioni private). Un’interpretazione possibile riguarda il diverso grado di tolleranza, culturalmente determinato, verso la depressione, e un differente stile prescrittivo da parte dei medici. E tuttavia, considerando quello che il Rapporto dice sulle reali modalità di assunzione di questi farmaci, e “l’aumento ingiustificato… dei possibili effetti collaterali” non è detto che il minor uso di antidepressivi equivalga a un “under-treatment”…