12 – Le ragioni del viaggio di Marco Cavallo nel mondo di fuori per incontrare gli internati. Di Anita Eusebi.
Sul piano giuridico – istituzionale.
Lo Stato deve occuparsi dei cittadini per ciò che fanno o per ciò che sono? Questa celebre domanda di Michel Foucault è quanto mai attuale a proposito di come il nostro sistema giudiziario tratta il caso di reati commessi da persone con disturbi psichici: giudicando non i fatti ma le persone, la loro storia familiare e le loro condizioni di vita, praticando una giustizia basata sul pregiudizio e sull’ignoranza, offrendo come unica assurda prospettiva l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Quella degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari è un’orrenda realtà che si trascina ormai da troppo tempo, capace di sopravvivere imperturbabile all’evoluzione delle conoscenze psichiatriche e al superamento dell’istituzione manicomiale sancito ormai 35 anni fa dalla legge 180. La mancata chiusura degli OPG lo scorso 31 marzo 2013, il rinvio di un anno, il rischio di un’ulteriore proroga, insieme alle gravi carenze di risorse economiche e umane nei servizi di salute mentale a livello territoriale, sono un chiaro segno di come funzionano, o meglio non funzionano, le cose.
Dal punto di vista tecnico-giuridico la questione più complessa, ma anche la più importante, è quella dell’attuale non imputabilità del reato al malato di mente. Infatti, in base agli artt. 88 e 89 del codice penale, accade che “il reo non viene inviato in carcere perché non può comprendere ciò che significa pena e rieducazione; viene allora inviato in manicomio giudiziario, dove sotto forma di cura espia in realtà una pena che capisce ancora meno”, scriveva Basaglia. È allora doveroso, per cogliere bene il senso del viaggio di Marco Cavallo a fianco dell’iniziativa stopOPG, riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica il disegno di legge relativo all’imputabilità presentato nel 1991 e nel 1996 dal prima senatore e poi deputato Franco Corleone, che riconoscerebbe la persona con disturbo mentale che ha commesso reato capace di intendere e di volere, quindi imputabile e soggetta alle pene previste dalla legge, sostituendo l’art. 88 e abrogando di fatto l’art. 89.
Non si deve poi dimenticare che, pur con i correttivi introdotti dalla Corte Costituzionale attraverso le sentenze n. 139/1982, n. 253/2003 e n. 367/2004 in termini di pericolosità e misure di sicurezza, l’impianto normativo in materia è ancora quello del Codice Rocco del 1930, residuo del regime fascista, coerente con la mentalità e la legislazione segregazionista in materia di malattia mentale. Un impianto secondo cui la connessione tra malattia mentale e pericolosità sociale, peraltro priva di contenuto scientifico, è il presupposto per la legittimazione di sanzioni penali quali le misure di sicurezza, che talvolta si protraggono per anni, spesso anche superando la pena detentiva prevista. Infatti, sulla base della pericolosità sociale sono state internate persone e persone negli anni per aver commesso reati di poco conto, come rubare una bicicletta o dare uno schiaffo a un rivale in amore, reati per i quali persone ‘sane’ non sarebbero neanche mai state arrestate. Al riguardo occorre precisare che se da un lato è vero che l’articolo 31 della legge n. 663 del 1986 abroga la fattispecie della pericolosità presunta, dall’altro però non risolve il problema poiché non abolisce la nozione di pericolosità né impedisce l’applicazione della misura di sicurezza in alcuni casi.
Straordinario è stato invece il lavoro della Commissione d’inchiesta del Senato presieduta dal senatore Ignazio Marino, e il video che ha accompagnato la denuncia di un tale inferno ha colpito fortemente e finalmente l’opinione pubblica, comprese le massime istituzioni del Paese a cominciare dalla Presidenza della Repubblica. Si è determinata così un’accelerazione che ha portato all’approvazione di un articolo all’interno della legge sulla detenzione domiciliare (3 ter) la n. 9 del 2012 che prevedeva per il febbraio 2013 il superamento completo degli attuali OPG, poi rinviato. Il rischio di un nuovo impantanamento spinge allora Marco Cavallo, che teme in particolare il mantenimento dell’istituzione totale sotto nuove vesti, solo più ripulite, a rimettersi in viaggio nella speranza di smuovere le coscienze e aprire una riflessione collettiva. Il vero cruccio di Marco Cavallo è proprio questo: impedire che nuovi ospedali psichiatrici, anche se piccoli e nelle intenzioni puliti e ordinati, nascano in tutte le regioni, non solo perpetuando la logica manicomiale, ma anche rafforzando stigma, pregiudizi e luoghi comuni, quali pericolosità sociale, inguaribilità, incomprensibilità, improduttività, irresponsabilità.
In nome di quanto detto, della legge 180 e degli artt. 27 e 32 della stessa Costituzione, si pone dunque la necessità di un ripensamento della normativa del codice penale, al fine di abolire l’istituto giuridico dell’OPG. “Sarebbe una scelta di civiltà”, per dirla con le parole dell’allora Magistrato di sorveglianza di Napoli Igino Cappelli, “il manicomio giudiziario è un’istituzione due volte da negare perché due volte violenta e due volte inumanamente e irrazionalmente totale: come carcere e come manicomio.”