Pitbull_AnitaEusebi (2)di Anita Eusebi.

“È possibile rieducare un pitbull? È possibile reinserire all’interno della cosiddetta società civile un cane che ha vissuto innumerevoli combattimenti, che ha subìto e inferto grandi sofferenze?”. Da tale dilemma prende spunto lo spettacolo teatrale PITBULL, interpretato dagli internati dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, per la regia di Monica Franzoni, che si terrà a Trieste giovedì 12 marzo alle ore 18.00 al Circolo Culturale Skala e venerdì 13 marzo alle ore 18.00 al Cinema Teatro dei Fabbri (ingresso a offerta libera).

Attraverso la metafora del canile lo spettacolo racconta la scomoda e drammatica realtà degli OPG. «Ricordo una emozionantissima rappresentazione in occasione della visita di Marco Cavallo all’OPG di Reggio Emilia, nel novembre 2013», commenta con entusiasmo Peppe Dell’Acqua.

“Catene e bastone, bastone e catene…”, questo l’addestramento “infame” del pitbull, attraverso il quale “la violenza diviene così una forza che si autoalimenta, che nutre se stessa, secondo una logica distruttiva e autodistruttiva”. Le parole di un lavorante dell’OPG risuonano sulla scena forti, ironiche e profonde:  “in Italia ad oggi esistono solo i canili, le gabbie e  le botte”, con chiara allusione alle pessime condizioni di vita degli internati in OPG, “ingabbiati in un canile dove si chiede loro di ritrovare l’equilibrio e di ricostruire quei limiti e quegli argini che hanno irrimediabilmente perduto”.

Si alternano scene di dialoghi e testimonianze dure e commoventi. Le storie narrate di volta in volta al cambio di scena sono tragicamente vere. “Non c’è posto dimenticato da Dio che possa essere peggio dell’OPG. Da una parte ci siamo noi, i matti, le bestie feroci, dall’altra la società dei sani”: con coraggio gli internati si mettono in gioco in prima persona, raccontano frammenti di vita di alcuni loro compagni di sorte, di uomini che combattono ogni giorno con le proprie ombre e di altri che non ce l’hanno fatta, e si sono arresi. Perché “ci vuole un attimo a scrivere due righe di saluto, prendere su un calzino e appendersi”.

Dal canile all’OPG, dal pitbull all’internato. «Il dilemma di partenza alla fine dello spettacolo cambia dunque soggetto», afferma Monica Franzoni, che da oltre dieci anni cura con grande impegno e determinazione le attività di laboratorio teatrale all’interno dell’OPG di Reggio Emilia. «Ci si chiede ora: è possibile reinserire all’interno della cosiddetta società civile una persona che è stata internata in OPG? E la risposta è sì». Al tema della violenza si sostituisce pertanto quello della possibilità e della speranza: “ogni giorno inizia con una richiesta di perdono al mondo, ci vuole tempo e silenzio”. Lo spettacolo solleva numerosi interrogativi e spunti di riflessione e il pubblico viene coinvolto nel dibattito conclusivo: un momento di fondamentale importanza, sia per chi è “dentro” sia per chi è “fuori” dalle mura e dai meccanismi perversi dell’istituto dell’OPG. Perché la parola e la narrazione sono elementi di cura, nel raccontare e raccontarsi.

Siamo sicuri che il canile giudiziario – alias l’inferno del manicomio criminale – sia il luogo adatto per favorire il necessario processo di reinserimento sociale? Questa la domanda principale posta dal copione teatrale. Negli ultimi anni la campagna di superamento degli OPG promossa da StopOPG ha già dato la sua risposta: no, gli OPG non sono assolutamente luoghi idonei a rispondere alle esigenze di cura e di riabilitazione. Perché è di persone che stiamo parlando, non di pitbull da combattimento.

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