vegetables-861363_960_720Di Susanna Berardi, Maria Cappello, Barbara Fabrizi, Rossella Lupo, Vincenza VaccaroAi margini della realtà delle nostre città povere d’umanità, dove l’individualismo competitivo, anche il più feroce, avvelena le relazioni e i valori correnti, dove esiste una moltitudine di uomini, la cui condizione esistenziale è l’abbandono, la solitudine fino alla stigmatizzazione in quanto ultimi, il libro di Carlo Miccio non è solo di stringente attualità nel raccontare una vicenda di sradicamento delle strutture familiari e storico vitali originarie, nel materializzare gli esiti del fenomeno escludente di individui considerati inassimilabili, ma riesce a conciliare il lettore con la drammaticità delle piccole e grandi storie di esclusione che si susseguono, quando offre un protagonista che riesce a trasformare un’esperienza tragica in un processo di costruzione di consapevolezza civile, di responsabilità sociale e di coscienza di sé in rapporto agli altri.

La maturità che si coglie nel protagonista è quella che noi, che l’abbiamo incontrato, abbiamo ritrovato nell’autore e che pensiamo sia all’origine non solo della sua sensibilità umana, ma della sua capacità di dare forma letteraria e artistica ad un accaduto che, nella sua sostanza, può essere esemplificativo di tante altre vicende. Siamo uscite da questa lettura con la percezione di una struttura narrativa costruita sulla complessità di fattori sociali, collocati nei momenti salienti della storia del nostro paese, dal dopoguerra, con l’immigrazione interna e le contraddizioni che ha prodotto, al boom economico con ciò che ha comportato in termini di progresso delle aspirazioni sociali, ma anche di feroce omologazione delle specificità e delle differenze di sviluppo, fino ai giorni nostri, con lo smottamento di tali aspirazioni. La forza del romanzo a nostro giudizio sta proprio in questo, nella collocazione di una vicenda familiare nel suo contesto storico determinato, che rende i suoi tratti generalizzabili e perciò riconoscibili, così da farne una vicenda tipica, una sorta di prisma da cui leggere esperienze diverse, ma simili nella loro genesi socioeconomica.

Nel merito, la vicenda è quella di un bambino, poi giovane e infine adulto che matura anche nel rapporto che stabilisce con la problematica del disagio mentale di suo padre. Di tragica attualità sono i problemi che si trova a fronteggiare una famiglia che ha al suo interno una persona con disagio mentale, in ragione delle insufficienze delle istituzioni pubbliche a farsene carico e dell’isolamento sociale in cui tali situazioni cadono. In tal modo una famiglia, specie se proletaria, si ritrova facilmente soggetta alla disgregazione delle relazioni familiari non potendo, con le proprie risorse materiali e umane, far fronte alla cura e alla gestione della persona malata. In un simile contesto la storia individuale del protagonista colpisce per il coraggio con cui tra mille contraddizioni e disequilibri trova la strada per ricomporre, insieme al rapporto con il padre, le sue fratture interiori.

Quello che è di grande insegnamento in questo romanzo è come il protagonista giunga a sentire la necessità di capire cosa succede a suo padre e come con l’avvicinarsi a questa comprensione riesca a vincere le resistenze all’accettazione e a dimensionare le diffidenze e le paure che la malattia del padre sembravano aver suscitato. Infine, con dei salti di qualità nella crescita personale riesce ad accettare la realtà della malattia e dunque a ritrovare il papà perduto, che alla fine sarà amato nel modo più naturale e più vero. Nel momento in cui questo processo arriva a amaturazione, sembra quasi che il protagonista conquisti la serenità e si riappacifichi anche con la precarietà della sua vita affettiva e materiale fino a raggiungere lo spessore umano e spirituale che lo stesso autore possiede oggi.

Concluderemmo con il dire che abbiamo trovato veramente brillante la metafora calcistica utilizzata come espediente narrativo, non soltanto perché consente di dare un tocco di leggerezza ad una vicenda dolorosa, ma perché restituisce la visione dell’autore nel campo delle dinamiche sociali, sia per l’esistente che come prospettiva ideale. Senza millantare competenze che non abbiamo, ci verrebbe da dire che con il rimando alla regola del fuorigioco, ossia a quella posizione disallineata in cui ogni azione perde validità, l’autore abbia voluto restituire l’immagine di una condizione umana sociale in cui l’individuo nella sua fragilità viene spinto in un vicolo cieco, senza difese, in una trappola esistenziale. Al contempo, l’autore, può aver scelto di dare un respiro a questa condizione tragica ma realistica attraverso la metafora del calcio totale, che su

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