Residenze Costrette
Residenzialità psichiatrica in Piemonte, che cosa ancora non va
(spoiler: quasi tutto)
di Enrico Di Croce

Dal 2015 in Piemonte si combatte una battaglia sul cosiddetto riordino della residenzialità psichiatrica: nella sostanza sull‘applicazione regionale dell’accordo Stato Regioni in materia, in vigore dal 2013. Le delibere approvate dalla Giunta Chiamparino, di centro sinistra, hanno suscitato un’opposizione corale, dei gestori privati, delle associazioni, degli enti locali, per diverse ragioni secondo i punti di vista dei vari portatori di interesse, uniti però dalla decisione di rivolgersi al Tar. Il tutto nell’assordante silenzio dei Dipartimenti di Salute Mentale e della psichiatria pubblica in ogni sua forma.

Le questioni più controverse hanno riguardato, come spesso succede, aspetti economici: le regole di compartecipazione alla spesa da parte di pazienti e servizi sociali, i cosiddetti minutaggi (gli standard minimi di personale previsti per le “strutture”) e quindi l’entità delle rette riconosciute dalla Regione, in quel momento nel mirino del Governo centrale in quanto sottoposta a piano di rientro.

Per fortuna nel dibattito si sono sollevate anche questioni di sostanza clinica e politico-culturale. In particolare si è notato che le delibere delle Giunta Chiamparino hanno portato un attacco frontale ai cosiddetti gruppi appartamento o appartamenti supportati, una delle esperienze più avanzate sviluppatesi in Piemonte fin dai primi anni del superamento dei manicomi: il tentativo cioè di dare una vera casa e un vero inserimento sociale ai pazienti, anche con l’utilizzo dei meccanismi gruppali dell’abitare insieme come potente strumento di cura e crescita personale. Esperienze nate in gran parte dall’iniziativa dei Dipartimenti di salute mentale nell’ambito di partnership spesso virtuose con il privato sociale.

Ebbene nell’ottica del “riordino” questo modello è diventato un’anomalia da denunciare e abbattere, perché estranea alla logica dell’accreditamento, dei posti letto e dell’esternalizzazione dei servizi. I gruppi appartamento sono quindi stati forzosamente trasformati in strutture accreditate, il modello della cogestione pubblico-privato proibito con toni terroristici (e minacce ricorrenti di ricorso alla Corte dei Conti). 

Per di più si è negato che i gruppi di convivenza in contesti di civile abitazione potessero avere un valore terapeutico, assegnando loro, per legge, una pura funzione assistenziale, riservata a pazienti “stabilizzati”, definiti come non più bisognosi di interventi riabilitativi. Le cosiddette funzioni terapeutiche essendo riservate alle sole comunità protette di 20 posti letto, spesso situate in contesti isolati extra-urbani e per di più regolamentate con criteri strutturali tali da farle assomigliare il più possibile a strutture ospedaliere (le uniche considerate “adeguate” alla cura e sicure). E anche esse, come gli ormai ex gruppi appartamento, obbligate a irrigidire e impoverire la dotazione di personale, con la presenza crescente di figure assistenziali.

L’insieme di tutte queste criticità ha sostenuto un’opposizione diffusa e duratura che ha convinto la Giunta a qualche rimaneggiamento, ma a nessun sostanziale ripensamento, anche perché la via dei ricorsi al Tar ha dato torto ai ricorrenti e non si è sviluppato alcun vero sostegno politico esterno, presso l’opinione pubblica, alle ragioni dei contestatori.

I “progressi” della Giunta Cirio

Con il cambio di legislatura, dal 2019, la nuova Giunta Cirio di centrodestra promette di rivedere radicalmente il sistema. In effetti alla fine del 2021 fa approvare una nuova delibera, la Dgr 84, che incassa l’appoggio di tutte le forze politiche e degli interlocutori prima contrapposti (gestori privati, cooperative, associazioni) 

Quali sono i cambiamenti concreti introdotti dal nuovo provvedimento? In sostanza di tipo organizzativo ed economico (si prevede uno stanziamento complessivo di 7 milioni di euro l’anno) mentre l’orientamento teorico-culturale di fondo rimane invariato.

Ecco riassunte le innovazioni principali:

 

  •  Rette e personale

 

Aumentano le rette per tutti i tipi di strutture, il che è di sicuro positivo, visto che quelle previste dalla Giunta precedente erano inadeguate. Ma non sempre il maggiore riconoscimento economico corrisponde a maggiori servizi garantiti. Anzi, per tre categorie su sei di strutture si riducono gli standard di personale: ad esempio per le ex comunità protette, cosiddette di tipo A e B, sono consentite 39 e 34 ore la settimana in meno di personale la settimana, rispettivamente, a fronte di 15 e 14 euro in più al giorno per ogni paziente. 

 

  • Più personale per alcuni gruppi appartamento, che diventano“sanitari” 

 

Si prevede invece un significativo aumento di operatori negli ex gruppi appartamento a protezione sulle 24 ore: Srp2.2 e Srp3.1. Nelle SRP2.2 si tratta solo di ore oss, di discutibile utilità clinica; per le Srp3.1 c’è un incremento di 50 ore la settimana, quasi tutte di educatori e tecnici della riabilitazione, figure teoricamente più qualificate in senso terapeutico. Queste variazioni consentono un livello, non certo ottimale ma almeno decente, di compresenza fra operatori in servizio, correggendo la scandalosa penuria di personale della Dgr precedente. Inoltre i gruppi appartamento sulle 24 ore (e solo quelli) diventano strutture sanitarie, viene cioè loro riconosciuto un valore terapeutico-riabilitativo e rimangono a totale carico dell’Asl, evitando il rischio che i progetti saltino per carenza di fondi dei servizi sociali o delle famiglie, come avviene di regola nelle Regioni che da tempo usano rigidamente il meccanismo della compartecipazione alla spesa. 

 

  • Compartecipazione alla spesa

 

Questo meccanismo, previsto dalle leggi nazionali sui Lea, è mantenuto solo per i gruppi appartamento a minor protezione (sulle 12 ore e a fasce orarie). Ma soprattutto la nuova Dgr stabilisce con precisione le regole per il contributo da parte delle famiglie e/o dei servizi sociali, sulla base dell’Isee socio-sanitario, cioè del reddito personale del paziente, indipendentemente dal reddito della famiglia di origine. Un indubbio progresso. Tuttavia non viene messo in discussione il principio, previsto dai lea nazionali, della partecipazione attraverso una frazione definita della retta; il meccanismo alternativo della partecipazione personalizzata progettuale, secondo i criteri del cosiddetto budget di salute, rimane confinato alle dichiarazioni di principio della parte introduttiva della delibera.

 

  • Libero accesso alle strutture residenziali da parte delle associazioni

 

La dgr 84 prevede che “i rappresentanti della associazioni di tutela di familiari e utenti hanno diritto di accedere alle strutture psichiatriche residenziali, liberamente e senza necessità di autorizzazione o avviso”. In questo caso si tratta di un progresso reale, che riproduce un meccanismo di controllo dall’esterno e dal basso, prezioso, se usato bene, per garantire la qualità delle strutture e i diritti degli utenti

Nel complesso rimane però inalterato l’impianto culturale di base della riforma, per cui la Regione Piemonte recepisce le norme nazionali nel modo più povero possibile. Spariscono i termini, e i concetti stessi, di comunità terapeutica e gruppo appartamento, centrali nel percorso di costruzione della nuova psichiatria non-istituzionale. Infatti le comunità e gli appartamenti erano nati come luoghi del territorio, alternativi alla logica istituzionale ospedaliera; al termine di una lunga parabola contro-riformatrice si ritrovano ad essere separati e alternativi al territorio, ancora una volta posti letto assai più che posti nel mondo. I Dipartimenti di salute mentale sono indotti alla delega e al controllo burocratico di standard e procedure, assai più che alla partnership e alla co-progettazione. La distinzione fra strutture sanitarie e socio-sanitarie, prevista dalle regole nazionali è realizzata, secondo il pregiudizio per cui a conferire valore terapeutico è solo il livello di protezione-controllo e la presenza di figure sanitarie come medici e infermieri.

I progressi alla prova dei fatti: un contratto neo-manicomiale

Il sospetto che le innovazioni introdotte con l’ultima delibera regionale non annunciassero un reale progresso culturale ha avuto una clamorosa conferma di recente. L’Assessorato ha infatti proposto alle strutture residenziali uno schema di contratto che contiene alcune disposizioni clamorosamente dissonanti rispetto ai principi affermati nella delibera, ed enfatizzate nella comunicazione politica della Giunta (principio di libera scelta del paziente, rispetto della dignità personale e della soggettività nei percorsi di cura).

Ad esempio l’obbligo delle strutture di comunicare “senza ritardo” alle “autorità di pubblica sicurezza” l’allontanamento non autorizzato dell’utente. Proprio così. Alle autorità di pubblica sicurezza. E si badi bene: non solo degli utenti sottoposti a restrizioni giuridiche, o in condizioni cliniche preoccupanti, ma di qualunque utente, evidentemente considerato in una sorta di “libertà vigilata d’ufficio” per il semplice fatto di trovarsi in una struttura residenziale psichiatrica.

Al di là delle evidenti implicazioni stigmatizzanti, sono da considerare anche le conseguenze pratiche che comporterebbe l’assunzione di un simile obbligo da parte delle strutture residenziali: innanzitutto in termini di rapporto terapeutico con i pazienti (che magari ricorrono più volte ad allontanamenti non concordati nelle fasi di costruzione di una relazione di fiducia; e trattare tali comportamenti come fenomeni di “pubblica sicurezza” avrebbe conseguenze devastanti sul percorso di cura); ma anche in termini legali (è molto discutibile che segnalare alle forze dell’ordine  l’ allontanamento di un libero cittadino da un luogo di cura dove si trova per libera volontà, senza precise motivazioni cliniche, sia giuridicamente legittimo). 

Un discorso analogo vale per la clausola che definisce l’obbligo per le strutture residenziali di stipulare una polizza di responsabilità civile. A differenza del testo della Dgr (nel quale si parla genericamente di “danni agli utenti o a terzi” prodotti da “fatti accidentali o imputabili a negligenza, imprudenza o imperizia”) il contratto afferma senza mezzi termini che l’assicurazione debba valere per “i danni causati da utenti ad altri ospiti agli operatori, a terzi e alle cose”. Non vengono nemmeno menzionate altre fattispecie di responsabilità civile; evidentemente si dà per scontato che solo gli utenti possano “fare danni” e che la struttura residenziale ne debba rispondere a prescindere. Non è nemmeno specificato a quali tipi di danni ci si riferisca, arrecati in quali circostanze e in quali contesti (magari nel corso di un “allontanamento non concordato”, in attesa dell’intervento della pubblica sicurezza?).  I più maliziosi hanno visto in questa descrizione analogie con le polizze che vengono stipulate per altri soggetti considerati a priori irresponsabili, potenzialmente pericolosi e coperti, in caso di danno, dalla responsabilità dei loro “custodi”: gli animali domestici.

Ci auguriamo che i tecnici della Regione riconoscano l’errore e che l’Assessorato lo corregga prontamente. Altrimenti sarebbe difficile allontanare il sospetto che, dietro alle belle parole e alle nobili intenzioni proclamate dalla Dgr, si nasconda la solita visione neo-istituzionale, che dà per scontata la pericolosità e l’”incapacità naturale” dei pazienti e la funzione di puro controllo sociale degli operatori.