Prima notizia.

Un ragazzo vince in una trasmissione televisiva come il Grande Fratello, ottiene il plauso di migliaia di fans in una sovraesposizione mediatica che appare normale e desiderabile in un mondo abituato a spettacolarizzare le vite come prova di realtà, e tutto funziona, tutto va bene.

Seconda notizia.

E’ in uscita”c’è una cosa che non vi ho detto”, un libro, un’autobiografia in cui questo stesso ragazzo, Mauro Marin di Castelfranco Veneto, racconta di quello che, fino a questo momento, ha deciso e potuto sottrarre all’occhio ubiquitario della telecamera. La propria storia fatta anche di sofferenza psichica, di ricoveri, di diagnosi che paiono condanne a morte e che, nella maggior parte dei casi, decretano, senza mezzi termini, la fine di credibilità di una persona, la perdita del potere di dire di sé, di decidere di sé, di accedere alle opportunità di chiunque. Una storia di reclusione – per anni in una struttura psichiatrica- di contenzioni, di stordimenti farmacologici.

Terza notizia:

Ad un certo punto della vita di questo ragazzo, per qualche congiuntura fortunata, incluso il fatto che lo psicologo del programma “che sapeva” ha dato comunque l’ok alla sua partecipazione, la vittoria del Grande Fratello e la “confessione”( così la chiamano) sul proprio passato.

E qui l’ordine delle notizie d’improvviso si inverte. Non è più il successo a fare notizia e nemmeno la bravura e il talento che in questi casi si attribuiscono ai vincitori, ma nemmeno la possibilità di guarire o le cattive pratiche psichiatriche; quello che fa notizia è se sia stato più o meno lecito offrire questa opportunità ad una persona che ha vissuto l’ esperienza della sofferenza mentale.

Fa notizia la domanda: se un malato non è in grado di decidere per le propria cura, come può decidere di poter partecipare a questo programma? come recita Vittorino Andreoli per il quale, evidentemente, qualcuno che in un dato momento della sua vita ha subito un trattamento sanitario obbligatorio, perde definitivamente la competenza a decidere di sé. E ancora, visto che la scelta e la volontà di questo ragazzo si considerano insignificanti, chi ha deciso per lui e con quali criteri l’ha fatto? Quale posta, quali rischi, quale legittimità nel concedere tale “permesso”?

Non è chiaro allora, nella sequenza tra le notizie, cosa ci racconti davvero questa storia: la rimonta di una persona che nonostante gli anni trascorsi in una struttura psichiatrica, legata al letto o imbottita di farmaci, ha potuto riaversi e saputo guadagnarsi questo successo, oppure la supposta irresponsabilità di chi gli ha riconosciuto il diritto a giocarsi su una scena mediatica che peraltro sembra davvero dare accesso a chiunque. E ancora: ci racconta di servizi psichiatrici che ricorrono a sistematiche violazioni dei diritti di chi soffre di disagio mentale o della presunta leggerezza di chi questo diritto si azzarda a riconoscerlo?

Che ne è, in questo girotondo di presunte neutrali informazioni, del diritto di ciascuno a non essere identificato con la “malattia mentale” e con un destino senza via d’uscita? Perché non basta nemmeno vincere il Grande Fratello per sottrarsi a quella identificazione?

Forse c’è una sola risposta a tutto questo: la follia, o meglio questa idea della follia, fa notizia. Scatena sguardi morbosi, invoca lo scandalo. Tanto da far persino concorrenza all’esistenza esibita ad arte nei reality e al voyeurismo che li anima. Allora forse, come richiamavano Pieraldo Rovatti e Franco Rotelli al convegno Impazzire si può (Trieste 21-24 giugno), dovremmo sfruttare – forzare questa fatale attrattiva, usarla per smontare quell’idea di follia, per cominciare a dire altro di questa condizione umana che tutti ci riguarda. La storia di questo ragazzo è una storia che permette di farlo. E’ una storia di rimonta, di riscatto. La storia di un destino segnato che si cancella e si riscrive, incarnando il sogno di migliaia di ragazzi nonostante chi, da subito, si affretta a dire”capisco che chi deve fare i casting scelga persone anormali per dar vita a certe dinamiche, ma trovo gravissima la vicenda” ( Aldo Grasso, Corriere della Sera). Cosa è gravissimo? Di quale anormalità o normalità si sta parlando? Possiamo finalmente restituire protagonismo a chi ha conosciuto l’esperienza di un disturbo mentale e cominciare a parlare delle centinaia di persone legate nei letti d’ospedale o di una casa di riposo, blindate dentro reparti ospedalieri o strutture che fanno della sottrazione del diritto e della privazione il cuore dei propri interventi? Possiamo dire che si muore di questo e che questa oscenità deve farsi scandalo, farsi notizia? Perché questo lato delle vite dei matti continua a non interessare le fabbriche dell’informazione? Possiamo finalmente far diventare scandalo e notizia la storia di Francesco Mastrogiovanni morto dopo quattro lunghi giorni legato a un letto in un servizio di Diagnosi e Cura Psichiatrico di Valle della Lucania e tante altre morti rese mute dal silenzio assordante dei media e degli psichiatri illuminati?

Possiamo, dobbiamo rimescolare le carte.

Grazie Mauro che ce ne ridai l’occasione.

Anna Poma

Presidente Con-Tatto

Portavoce Forum Veneto Salute Mentale

(da la Nuova venezia del 30 luglio 2010)

Write A Comment