(photo by Gianluca Monacelli)
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di Vito D’Anza.

Il Forum di Venezia ha visto una partecipazione  attenta e numerosa (nonostante che San Servolo non sia proprio di semplice accesso). Si è discusso della campagna contro le contenzioni “… e tu slegalo subito” registrando che un grande lavoro è stato fatto, le adesioni sono tantissime ma la situazione negli SPDC  nelle diverse regioni è assolutamente stagnante, anzi in qualche caso addirittura si torna indietro . Abbiamo sempre sostenuto che legare o non legare al letto le persone in un SPDC è una condizione sine qua non, una condizione paradigmatica, per l’affermazione e lo  sviluppo della legge 180 che tutti, a parole, ritengono non in discussione. Il movimento sta crescendo e le iniziative a sostegno e di confronto della campagna sono ormai a decine e decine su tutto il territorio nazionale , promosse da ordini professionali come gli infermieri, da dipartimenti di salute mentale, da consiglieri regionali, da senatori e deputati, da associazioni di familiari e di utenti, dalla CGIL, etc. Bisogna puntare ad uno sbocco politico/normativo chiaro ed inequivocabile .

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(photo by Gianluca Monacelli)

La chiusura degli OPG, sebbene a rilento,  va avanti e il commissario unico del governo, Franco Corleone, sta svolgendo un buon lavoro puntando in primis alla chiusura definitiva degli OPG, alla qualità delle REMS e nel contempo ad affermare la legge 81/2014 che individua le REMS come strutture residuali e rafforza invece la presa in carico degli internati, presenti e futuri, da parte dei DSM da potenziare in termini organizzativi e in termini di risorse.

E’ stata all’unanimità condivisa la valutazione generale sullo stato di miseria di pratiche, di culture e di organizzazione dei servizi di salute mentale. Anche a fronte, ma forse questo rende il tutto ancora più insopportabile, di realtà su tutto il territorio nazionale che realizzano cose straordinariamente rispettose delle persone in carico, che sviluppano pratiche realmente di ripresa e non di “stabilizzazione” delle persone nella loro sofferenza. E non regge solo l’alibi delle risorse. Certo che oggi, rispetto ai decenni precedenti, le risorse esistenti, benché sicuramente più scarse,  sono dirottate sempre di più verso percorsi di cronicizzazione delle persone. Le risorse esistenti si stanno spostando verso strutture residenziali, sempre più oggetto di cronache giudiziarie, con l’obiettivo di togliere dalla circolazione persone più “impegnative”,  con CSM che si riducono a sciatti ambulatori giocando esclusivamente con le diagnosi cliniche e farmaci, con l’obiettivo di svuotare e ripulire i CSM  quasi in una sorte di “ripulitura etnico/diagnostica”. L’alimentazione del circuito CSM-strutture residenziali-SPDC-centri diurni non fa altro che dare pessime risposte a pochi e alimentando per questi pochi la strada senza uscita  della cronicizzazione. Con buona pace della salute mentale di comunità propugnata dall’OMS e dalle realtà mondiali più attente. Temi come la recovery, lo stigma, la cronicizzazione, i programmi personalizzati, diventano  parole che riguardano sempre gli altri e mai i DSM dei nostri territori.

(photo by Gianluca Monacelli)
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Al Forum di Pistoia da molti fu espressa la necessità di invertire la rotta e superare queste assurde disparità tra differenti regioni e diversi DSM nella stessa regione. Una necessità di governo nazionale della salute mentale, fu posta. Tutti  gli intervenuti hanno stigmatizzato la proposta di legge 2233, nota anche come 181, ritenendola priva di qualsiasi contenuto di reale cambiamento e ha trovato tutti in totale disaccordo per il rifermento pasticciato di “utenti e familiari”, che sappiamo bene quali portatori di interessi contrastanti e a volta in opposizione.

A Venezia la questione si è ulteriormente rafforzata anche se con accenti diversi rispetto al percorso politico:

a)il rischio d’infilarsi in un percorso legislativo dal quale non si riesce a definire con certezza lo sbocco, perchè la maggioranza che sostiene il governo è composita e non ci fidiamo di tutte le forze che fanno parte della maggioranza, da qui il rischio;

b)la considerazione che un nuovo P.O. nazionale non abbia la forza impositiva necessaria  per le regioni, anche alla luce del Titolo V della Costituzione che fu modificato;

c) Una valutazione completamente negativa della proposta di legge 2233 che abbiamo ritenuto non solo totalmente carente perché in sostanza, al di là di qualche enunciato generico, non dice assolutamente nulla su come rilanciare i servizi e i percorsi e con quali e quante risorse. Una cosa sola la dice, e sospettiamo che sia l’unico obiettivo della proposta di legge, di dare un ruolo importante agli utenti e familiari. E’ un’ovvietà assoluta questa, come afferma Franco Rotelli, chi non è d’accordo con questo principio? Il problema è come e non ci convince il pasticcio molto paternalistico di utenti e familiari come unico soggetto. Lo sappiamo bene del grande ruolo che svolgono le associazioni degli utenti (oggi ancora fragili) e quelle dei familiari che è molto più forte e più incisivo agli occhi delle istituzioni. Sappiamo bene anche che spesso sono portatrici di interessi diversi e a volte contrastanti. E’ superficiale e sbagliato considerarle un unico soggetto. In nome di che?

c)per alcuni c’è l’urgenza di una legge nazionale di riordino che definisca ruoli, percorsi e organizzazione dei DSM.

In conclusione siamo disponibili a lavorare in  un cantiere dove  disegnare contenuti, percorsi di salute mentale e alleanze politiche.

(photo by Gianluca Monacelli)
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E’ evidente che c’è ancora da discutere per cercare di trovare un percorso unitario, definire, come dice Stefano Cecconi lo strumento più efficace per trasformare i contenitori oggi in piedi (il FSM e il dibattito sui servizi, la campagna contro le contenzioni “… e tu slegalo subito”,  StopOpg) in “atti di governo” forti e di rilievo nazionale. Non abbiamo preclusioni pur intravedendo il rischio di stravolgimento della 180 da parte di questo parlamento e nel contempo l’obiettiva maggiore debolezza di un nuovo P.O. nazionale.

Ma sappiamo bene che da soli, un PO o una legge, non garantiscono la qualità di risposte, di percorsi, di organizzazione dei servizi e soprattutto di culture  in salute mentale. Però certamente aiutano, è meglio averli che non averli.

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