frenocomiodi Peppe Dell’Acqua

Il testo unificato sul disegno di legge elaborato dall’onorevole Ciccioli nel tentativo di modificare la legge 180 ha già avviato sul Forum la pubblicazione di analisi e commenti che sono il segno della preoccupazione che il “popolo” della salute mentale vive in questo momento. Il Forum ha già divulgato analisi dettagliate che mettono in evidenza l’inaccettabilità della proposta e le contraddizioni interne ad essa.

Per esempio da una parte si affermano principi di garanzia e libertà per le persone con disturbo mentale, dall’altro,come se questi fossero insignificanti, si descrivono dispositivi e meccanismi che, attraverso un pesante rimaneggiamento del trattamento sanitario, prolungano all’infinito la sottrazione di senso e di potere alla vita delle persone e restituiscono un potere incontrastabile al medico (che neanche la Legge Giolitti aveva osato immaginare!) con la conseguenza del rafforzamento delle “medicine difensive”.

Da una parte si afferma di voler investire e migliorare le organizzazioni dei servizi di salute mentale utilizzando parole e luoghi comuni accattivanti per chi questa esperienza vive nella drammaticità dell’assenza dei servizi, programmando posti letto, reparti ospedalieri, comunità terapeutiche, DSM ben funzionanti, lavoro, salute mentale in carcere; dall’altra le modalità d’intervento a cui si allude evocano controllo sociale, sottrazione di responsabilità, oggettivazione.

E’ paradossale, in questo senso, un articolo su i diritti dei familiari che oscura in un solo passaggio il diritto delle persone con disturbo mentale.

Il linguaggio della proposta, a differenza delle altre 50 che sono passate in questi 30 anni, è accattivante, sembra ragionevole tanto che anche alcuni esponenti della sinistra in Parlamento, sicuramente disattenti, hanno dichiarato la loro disposizione ad approvare il testo di legge, a patto di una qualche integrazione, qualche emendamento.

Il Forum non crede che bastino degli aggiustamenti per rendere accettabile il testo.

Il testo va strenuamente rifiutato.

Non fosse altro perché guardando esclusivamente alla malattia, la proposta  riafferma il paradigma più arcaico e oggettivante della psichiatria.

Come è possibile non accorgersi, da parte di quelli che sono tradizionalmente “con la 180” dell’arretramento in atto nel nostro Paese? C’è bisogno di spiegare quello che sta accadendo nella Regione Lazio, solo per dirne una? Come è possibile non vedere nel testo unico elaborato dalla maggioranza di Governo la legittimazione di questo arretramento e il crollo verticale dei diritti delle persone con disturbo mentale (e delle loro famiglie)?

Sotto la maschera della ragionevolezza e delle buone parole rivolte ai familiari (ma quali?) si nasconde la barbarie.

Basta riflettere sul titolo della proposta di legge: Obbligatorio prima, Necessario ora.

Ai più potrebbe sembrare un semplice cambiamento terminologico.

A ben vedere tra le due parole si cela una differenza abissale che, se colta, svela l’arcano reazionario.

Per comprenderlo è bene ribadire che la cifra epocale della legge 180 è stata una risposta chiara e quanto mani consapevole alla seguente domanda: il malato di mente è cittadino come tutti gli altri? E’ un cittadino che può godere a pieno titolo del diritto costituzionale? E in particolare del diritto alla cura e alla salute nel rispetto della libertà, della dignità e dell’inviolabilità del corpo come nell’art. 32?

Se per secoli la risposta è stata no, i malati di mente non possono e non sono mai stati cittadini da quando i manicomi sono nati, in Italia, alla fine degli anni Settanta, mentre Aldo Moro era prigioniero delle Brigate Rosse, un manipolo di bravi legislatori capitanato da Tina Anselmi, ha risposto che sì, consapevoli delle conseguenze e delle difficoltà di una simile e inaspettata risposta.

Per la prima volta al mondo i malati di mente diventavano cittadini.

Da quel “sì” in poi si afferma la possibilità di riconoscere l’altro come cittadino, come persona, come soggetto. La tutela della soggettività assume priorità in ordine a qualsiasi altra azione venga messa in atto, anche quando a evidente tutela della salute e del diritto alla cura della persona che rifiuta.

Tutto questo è il Trattamento Sanitario Obbligatorio.

“Obbligatorio” significa prima di tutto che l’altro esiste. Posso “obbligare” qualcuno con un’ordinanza, una norma, una legge quando ho riconosciuto la sua autonomia e la sua possibilità di rifiuto. La parola testimonia una tensione alla negoziazione. Obbligare qualcuno a qualcosa ha a che vedere anche con una assunzione di responsabilità: un sentirsi obbligato nei confronti dell’altro che sto obbligando,  limitando la sua libertà, invadendo il suo spazio intimo e personale.

“Necessario” nega prima di tutto l’esistenza dell’altro. Nega la presenza del soggetto in ragione di qualcosa che trascende dai contesti, dalle relazioni, dalle storie, dagli individui. Sposta completamente il campo a ciò che si deve ritenere in assoluto di estremo bisogno, di cui non si può fare a meno: non c’è trattativa perché la necessità rimanda a un oggetto, la malattia mentale, che rientra nella naturalità, nell’ineluttabile accadere delle cose. Necessario è, nella radice del suo significato, “non cedere”, tenere con forza una posizione. Necessario attiene alla forza “naturale” che la normalità deve esercitare sulla follia dopo averla ridotta a malattia. Nel rapporto con chi vive l’esperienza del disturbo mentale non si può cedere: fare o non fare un trattamento significa, per chi esercita il potere vincere o perdere.

La legge ripropone ragionevoli meccanismi rapidi e sbrigativi per il trattamento per contenere comportamenti disturbanti e a rischio: dunque il malato di mente è pericoloso.

La legge propone un incremento incontrollato dei posti letto e milioni offerti a privati sociali e mercantili, per dare una ragionevole risposta alla cronicità: dunque il malato di mente è inguaribile.

La legge sostiene il ragionevole primato della psichiatria medica con il suo armamentario di  diagnosi, farmaci e contenzioni: dunque il malato di mente è incomprensibile.

La legge fa riferimento alla ragionevolezza dell’inclusione sociale, alludendo a  formazioni infinite, infantilizzanti atelier,  lavori separati e protetti:  dunque il malato di mente è improduttivo.

Da qui lo stigma che si riproduce e che la proposta di legge dice di voler combattere.

La proposta di legge Ciccioli, con la ragionevolezza della necessità, accoglie le domande gridate, poste da una minoranza ormai esigua di familiari. Richieste di aiuto, testimonianze di isolamento, manifestazioni di disperazione che, sicuramente vere nella concretezza della quotidianità delle persone, sono state strumentalizzate da politici disattenti o senza scrupoli, da opinionisti tuttologi, da giornalisti amplificatori di luoghi comuni.

Tutte le associazioni dei familiari che si pensa di suggestionare con una luccicante offerta di servizi e ragionevoli soluzioni organizzative (cosa faremo poi con le autonomie regionali è tutto da vedere!) e con il paternalismo del necessario, si preoccupano delle stesse cose.

Tutti i familiari devono vivere con fatica il “carico assistenziale”, devono fare i conti col vissuto di colpa, devono scontrarsi con la distanza e la lontananza dei servizi, devono accettare la restrizione di diritto e possibilità per il loro caro.

Su queste questioni tutte le associazioni sono concordi.

Le differenze si riscontrano sulla concezione della persona con disturbo mentale. Differenze che connotano una chiara scelta di campo.

Per alcune la persona con disturbo mentale è una persona “irresponsabile ed incapace”, che necessita di tutela, di maggiori automatismi nei trattamenti obbligatori, di tempi di ricovero più lunghi, di riconoscimento per legge di uno statuto di “invalidità” e di “incapacità”.

Per altre associazioni invece, egli è una persona che deve avere diritto ad una crescita personale, alla sua autonomia, ad una collocazione nella società  attraverso percorsi di normalità. Sono queste le associazioni che chiedono anche una maggiore disponibilità del servizio a farsi carico o a condividere le situazioni di crisi, un minore ricorso ai ricoveri obbligatori e l’abbandono di tutte quelle situazioni di costrizione che aumentano la drammaticità dei trattamenti e ne riducono l’efficacia.

E benché queste seconde rappresentino ormai l’assoluta maggioranza, l’onorevole Ciccioli ha scelto le prime.

Trieste,ottobre ’10

8 Comments

  1. Anna Maria De Angelis: sono d’accordo con quanto affermato da peppe dell’acqua. dirò di più come familiare mi sono accorta da tempo che a volte nel nostro volere fortemente difendere la legge basaglia sbagliamo la modalità di approccio, non …solo sottolinenando il… carico che è sulle nostre spalle e che è sacrosantamente vero ma confondendo in tale modo anche quellle forze politiche chesono dalla nostra parte e arrivano a pensare di alleviare la nostra sofferenza con bel altro della presa in carico territoriale ossia l’inclusione sociale. 1) coloro che soffrono di disturbo mentale soffrono molto di più dei familiari;2) loro devono essere al centro di tutto l’impegno che va fatto a tutto tondo, dalla cura , all’autonomia, alla restituzione sociale,3) noi familiari dobbiamo puntare su pochi aspetti irrinunciabili che vadano dalle dolomiti alla punta della sicilia e su questi sferrare un impegno forte. ciccioli è scaltro e supponente e pensa di avere dalla sua l’ignoranza crassa degli altri che si ha, malgrado lo sforzo che facciamo tutti insieme , la paura e lo stigma. l’analisi che fa peppe sulla differenza tra necessario e obbligatorio è illuminante.

  2. Carmedea Amedea Frau: Egregio Ciccioli,forse non ha capito diverse cose:
    1)Il malatou di mentale necessita di “umanesimo”,non di Istituzionalizzazzioni.
    2)Più si viene “protetti”o rinchiusi e meno si ha reazione
    3)Forse è il caso che si faccia una formazione educa…tiva lei sul criterio educativo e iformativo,più che su di noi.

  3. Germano Costa: l’ho già scritto: ci sono poteri in questa società che nemmeno il più onesto dei ministri può contrapporsi.se non si avesse capito ciccioli è uno strumento in mano a i poteri che vanno oltre quello che si può immaginare: poteri che dirigon…o i suoi passi e anche quelli di tanti altri… quelli che chiacchierano ma che non sanno cosa vuol dire vivere per giorni con il tuo famigliare in preda alle crisi e che quando vai a chiedere aiuto ti dicono di aumentare la dose di farmaci perchè non hanno altre risposte. farmaci il più delle volte che aumentano il delirio-Il dio denaro oggi manovra anche il più fervido degli idealisti al cotrairio di noi comuni mortali famigliari di sofferenti mentali che per sopravivere e dare una vita decente ai nostri cari,abbandonati da uno stato e da chi dovrebbe aiutarci percepiscono 260 euro al mese che non bastano nemmeno per le sigarette.L’evoluzione che io, e credo tanti altri come me, auspichiamo specie nel campo della disabilità mentale è un modello che superi i modelli attualmente conosciut un modello che adotti in primis l’incontro e no come succede adesso che siamo noi ad andare incontro ad un sistema pigro. …

  4. Alessandro Iaboni: Se l’operatore della salute mentale deve essere un umanista ( e fondamentalmente sono d’accordo )…deve anche essere scevro dalla politica…deve interpretare con coscienza il suo lavoro a prescindere dai protocolli d’intervento stabiliti …su criteri “particolari ” nel nome di un qualcosa che ha poco a che vedere con la realtà o rete del singolo individuo …ecco perchè rompo un pò sul discorso formazione degli operatori…bisogna avere il “coraggio ” di “ribellarsi ” a determinate linee guida prestabilite quando è necessario…il disagio psichico non è come rompersi una gamba , esso necessità di un approccio originale non può assolutamente essere catalogato o istituzionalizzato…e il percorso di cura , riabilitativo o semplicemente percorso è un rapporto tra essere umani che offre o può offrire di volta in volta nuovi spunti da cui trarre ricchezza e lavorare cosicchè , a prescindere dal “risultato “, il livello di vita risulterà qualitativamente migliore . Gli operatori , tutti , per primi devono o dovrebbero essere sensibilizzati in questo senso ed essere in grado di sensibilizzare la società tutta attraverso l’agire in tal senso …credo che gli operatori stessi siano i primi a doversi mettere in discussione…gli “utenti ” e i loro familiari non hanno scelto di trovarsi di fronte a questa montagna da scalare…GLI OPERATORI sì …e devono essere in grado di offrire una relazione umana soddisfacente…che è alla base della qualità di vita di qualsiasi persona . Il carissimo signor Germano dice tutto quando afferma …ti dicono di aumentare la dose dei farmaci perchè non hanno altre risposte…io dico che forse pensano solo di non avere altre risposte…cosa ben più grave . Lo sforzo da fare deve essere univoco …operatori , familiari e “utenti ” devono rivendicare ognuno i propri diritti ma univocamente …diritto alla Formazione , al Lavoro e alla Salute devono andare di pari passo per migliorare le condizioni di vita di tutti…così da non essere alla mercè di alcuna forma di potere o volontà dominante . Il mio non è idealismo e neanche critica ma solo una chiave di lettura che prende spunto dalle opinioni o pareri condivisi con tutti voi in questo spazio…per quanta mi riguarda al momento continuo il mio lavoro in cooperativa ( anche se in altro ambito ) per pochi spiccioli e non intendo andare a lavorare nel privato…ritenendo quest’ultima la mia forma di lotta e il mio contributo alla causa , come lo è il tentativo di aumentare il livello delle mie competenze nonchè della mia esperienza sul campo…a presto

  5. Anna Maria De Angelis: quando di basaglia si parla dello “sguardo” io penso all’emppatia, alla capacità che lo psichiatra deve avere per immedesimarsi nei panni dell’altro/a e partire dall’altrui punto di vista, accettarlo e iniziare un percorso insieme a 360 gradi nel rispetto della dignità e diritti. la comunicazione della salute e nella salute è fondamentale. ci vogliono volontà personali, risorse e tanta pazienza da parte di tutti i protagonisti e crederci fortemente crederci.

  6. Gloria Gaetano: Annamaria, hai perfettamente ragione, ma occorre la formazione per il personale psichiatrico e occorre che tutti insiemo troviamo dei punti, dei temi d’incontro su cui riflettere e lavorare.

  7. MANLIO: sono davvero molto d’accordo con Annamari De Angelis, in particolare, perché coglie in pieno la diversità delle sofferenze; quelle di chi soffre di disturbi mentali sono certo incomparabili alle alt…re quante volte abbiamo sentito l’affermazione: meglio morire?). Certo, quelle dei familiari costituiscono un carico molto pesante, soprattutto nella solitudine che spesso si determina nell’emarginazione sociale e nella inconsistenza, spesso, delle istituzioni. Ecco perché occorre darsi da fare anche in direzione dell’opinione pubblica, per far sapere davvero come stanno le cose e contribuire così ad estendere l’indignazione per le proposte di legge in esame alle commissioni parlamentari, che ripristinano di fatto la subordinazione del malato alle regole costrittive e non lo avviano per niente (anzi!) alla ricerca assistita di un proprio progetto di vita. Occorre fare, cercando di ottenere forte risonanza, quel forum a Roma, proposto da Peppe. Che facciamo? Come loorganizziamo, cosa dobbiamo fare? Possiamo fare una sorta di comitato organizzativo?

  8. Gloria Gaetano: sono d’accordo con la proposta di Manlio e aggiungo che ci dovrebbero essere del comitato organizzativo precisi referenti regionali

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