Il New Yorker fa il punto su psichiatria, scienza e depressione. Il giornalista Louis Menand si domanda: ma non è che quella che noi chiamiamo depressione, è semplicemente tristezza, melanconia, vuoto esistenziale, paura? L’articolo ha una pretesa. Illustrare il dibattito – assai complesso – sulla differenza tra scienza e psichiatria. Si domandano da decenni gli studiosi: i problemi psichici e psicologici devono essere affrontati con l’uso di farmaci oppure si tratta di questioni riconducibili a tratti caratteriali e a tendenze dell’animo e del cuore? In pratica, quando mi sento giù, faccio bene a prendermi un prozac o dovrei uscire di casa, cercare un bel prato verde, rotolarmici annusando i fiori e cercare di riconquistare la dolcezza perduta? Bella domanda. Risposta difficile e personale. Però, Menand, ci racconta una cosa interessante.

In un esperimento sulla somministrazione di anti depressivi a un gruppo di pazienti tendenti alla “melanconia” è saltato fuori che chi prendeva semplici placebo (zuccherini) riprendeva vigore e tono tanto quanto quelli cui veniva distribuito il farmaco. Come hanno fatto a capirlo? Semplice. Gli antidepressivi, come tutti i farmaci, hanno effetti collaterali. Chi tra i pazienti riceveva il farmaco, oltre a veder scomparire il male oscuro, si ritrovava con mal di testa o mal di stomaco. Allegri, positivi e sani, invece, i pazienti cui è stato somministrato solo il placebo.

La morale, forse banale, è che l’autosuggestione è più potente della chimica. E quindi che il nostro cervello, che è pura materia chimica, è milioni di volte più potente di qualunque principio chimico-farmaceutico. Meraviglioso, no? I consumatori di Prozac dovrebbero provare. Quanto meno risparmierebbero sul portafogli.

di Michela Ravalico per Libero-News.it, articolo originale in:

http://www.newyorker.com/arts/critics/atlarge/2010/03/01/100301crat_atlarge_menand

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