Dall’analisi dei costi alle “nuove” politiche di gestione. Che ci preoccupano.
Trecentocinquanta euro: questa somma corrisponde al costo di un mese di borsa lavoro. Ce ne vuole il doppio (700 euro) per un solo giorno di ricovero in ospedale. In un mese oltre ventimila euro.
Anche se consideriamo solo l’aspetto economico, questo semplice confronto ci fa comprendere che un metodo di cura della salute mentale basato sull’inserimento sociale sia più vantaggioso, oltreché più efficace e più giusto rispetto agli approcci tradizionali che solo fino a pochi decenni fa venivano praticati.
La grande intuizione di Franco Basaglia, di curare il disagio mentale reinserendo le persone nella società e quindi aiutandoli a trovare e mantenere lavoro, alloggio, relazioni personali e quant’altro serva a restituire dignità, si basa anche su questo calcolo: ciò che si risparmia, riducendo drasticamente i ricoveri, lo si investe in progetti e opportunità per favorire quelle pratiche di inclusione sociale che qui a Trieste si sperimentano da oltre trent’anni.
Questo metodo di cura fa della nostra città un faro di civiltà. Tutto il mondo viene a Trieste per studiarne il modello di salute mentale: nel 2010 sono venute delegazioni dalla Svezia, dalla Germania, dal Giappone solo per citarne alcune. Per chi non lo sapesse, la comunità scientifica considera Basaglia uno dei dieci scienziati più importanti del XX secolo. Tutta la città dovrebbe esserne orgogliosa e comprendere l’importanza di costituire un esempio di inclusione sociale.
Attualmente ci sono segnali che preoccupano molto chi si trova a vivere in questo realtà.
Il principale timore riguarda il lavoro. E’ inutile sottolineare come senza lavoro non ci sia dignità. Fu proprio Basaglia, per superare questa difficoltà a fondare la prima cooperativa che aveva il compito di assicurare lavoro a tutte le persone svantaggiate. Le cooperative in cui almeno il 30% di lavoratori appartiene alle categorie più deboli, le cosiddette “cooperative di tipo B”, possono ottenere lavori in convenzione con le amministrazioni pubbliche. Per questo motivo alcuni enti locali riservano una quota dei lavori esterni a cooperative di tipo B operanti sul loro territorio.
Paradossalmente a Trieste, che dovrebbe essere all’avanguardia in questi interventi, provvedimenti di questo tipo non sono stati presi. Negli anni passati, amministratori coraggiosi si sono assunti la responsabilità di fare scelte coerenti: ora non è più così e la cooperazione sociale è in forte crisi, con molti lavoratori in cassa integrazione. Per la gestione dei servizi le cooperative devono confrontarsi con grandi aziende che operano sull’intero territorio nazionale e che operano al ribasso. Nei capitolati d’appalto, l’inserimento di soggetti svantaggiati, viene considerato pochissimo (in alcuni casi appena l’un per cento dell’intera valutazione) e il criterio prevalente è quello del prezzo più basso. Chi vince spesso appalta i lavori a soggetti, che operano sotto forma di cooperativa, al solo scopo di pagare i lavoratori due soldi e di poterli licenziare a piacimento.
Società fittizie, false cooperative, lavoratori sottopagati, ingenti guadagni che si perdono in mille rivoli non sempre legali: questo è lo scenario, già presente in altre regioni, che si prefigura per la nostra città e la nostra regione.
Siamo sicuri di volere tutto questo?
Oltre alla ricaduta negativa che certe scelte hanno sulla salute mentale e, più in generale, sulla dignità di tutte le persone svantaggiate che vogliono lavoro e non assistenza, a nostro avviso, c’è da considerare anche la tenuta morale del nostro territorio. Non è una questione di destra o sinistra, c’è di mezzo la difesa degli assetti economici del nostro territorio, finora più sani rispetto al resto del territorio nazionale.
Ma qual è la politica di gestione della sanità nella nostra regione? A prima vista non sono stati operati tagli e lo stanziamento è lo stesso del precedente anno. Tutto bene? Non esattamente, perché negli anni precedenti lo stanziamento era adeguato all’inflazione. Quest’anno no. Quindi c’è una diminuzione del potere d’acquisto del 2/3 per cento.
C’è poi il progetto della cosiddetta area vasta che vorrebbe raggruppare le aziende sanitarie di Trieste e Gorizia in un’unica struttura: “giuliano isontina”. Teoricamente potrebbe funzionare: si eliminano doppioni burocratici per migliorare i servizi. In pratica non funziona quasi mai così. Ad ogni direttore si affianca un vice direttore, per ogni ufficio si crea una sede distaccata: i costi non diminuiscono e la qualità dei servizi non aumenta, la confusione sì. La ricaduta sui servizi di salute mentale triestini, rispetto alla riunificazione, rischia invece di essere fortemente negativa. Infatti Trieste dedica alla salute mentale il 4,6% del budget sanitario mentre a Gorizia si scende a circa il 3%. Se la percentuale goriziana si adegua verso l’alto, va bene. Altrimenti la salute mentale di Trieste rischia un drastico ridimensionamento.
Gli amministratori della salute mentale triestina ci hanno segnalato che ultimamente i controlli formali sugli adempimenti burocratici da parte degli organismi regionali sono cresciuti ad un livello tale da inibire o ritardare il funzionamento anche delle più semplici modalità operative. Un eccesso di burocratizzazione che non è affatto giustificato per un dipartimento d’eccellenza con i bilanci sempre in pareggio.
C’è infine un altro aspetto che ci preoccupa non poco: il ritorno alla centralità dell’ospedale. Nel campo della salute mentale questo fatto rappresenta una grave regressione. Ma come? Esistono le micro aree per essere più vicini ai bisogni e comprendere meglio i contesti nei quali si vive e poi si torna alla centralità dell’ospedale? Sarebbe bene che i responsabili di questa scelta ne spieghino meglio le ragioni e la modalità applicative nel campo della salute mentale.
Aspettiamo spiegazioni. E soprattutto vogliamo garanzie che queste “nuove” politiche di gestione non nascondano interessi economici privati.
Fortemente contrari allo smantellamento del lavoro e della cultura basagliana sulla salute mentale che in trent’anni si è radicata sul territorio, mostrandone la validità oltre alla realtà della sua attuazione ed efficacia, chiediamo uniti alla Regione, e in particolare all’assessore alla sanità, Vladimir Kosic, una spiegazione in merito alle politiche sanitarie che intende attuare e che così da vicino ci riguardano.
Il Gruppo di Protagonismo “Articolo 32”