11 marzo 2024 – Teatro Miela

Intervento di Silva Bon

A proposito di date. A proposito di ricorrenze.

Ho una visione diacronica della scansione del Tempo, in cui situo gli accadimenti, le date degli accadimenti: perché, tra l’altro, posso anche dichiarare di essere una “storica”, nel senso che ho condotto molte ricerche nel campo della storia contemporanea e ho pubblicato molti saggi e monografie.

Sono nata nel gennaio 1945. Sto vivendo l’ottantesimo anno di vita. Forse è tempo di bilanci. E uno sguardo critico retrospettivo mi fa cogliere appieno il mio rapporto prima inconsapevole, poi sempre più stretto con quello che Franco Basaglia ha fatto e rappresentato, come psichiatra.

Lo scarto di vent’anni che mi separa dall’11 marzo 1924; la casualità di essere vissuta a Trieste; accadimenti legati a questo essere – essere stata – gettata nel mondo, persona del tutto indifesa; mi hanno portato a esperimentare la follia – la sofferenza estrema della follia – in condizioni che oggi definisco eccezionalmente “fortunate”.

Non ho visto il Male, e sono stata punita. Non ho saputo “giocare” con malizia, e sono stata schernita.  Finalmente oggi ho tagliato – sono riuscita a tagliare – i rami secchi, le relazioni sterili, i contatti non autentici. E vivo in una sorta di isolamento, di solitudine, in una quasi totale assenza di legami amicali, come scelta consapevole e responsabile. 

Sto in piedi sulle mie gambe: esercizio faticoso, a volte estenuante. Eppure arricchente. 

Vivo attraversata dalle voci, con cui costantemente sono in contatto, con cui parlo: le voci sono diventate una perenne presenza immateriale, simile a quel “amico invisibile”, a quel “amico magico”, che molti bambini sentono al loro fianco, come Angeli custodi.

Nei primi anni Settanta del Novecento avevo due figli piccoli. Lavoravo come insegnante. Uscivo di casa la mattina presto. Non mi sono, allora, mai chiesta cosa succedeva di loro, quando li lasciavo. Vivevo con molta fatica. I sensi di colpa per il “non aver potuto esserci”, sono venuti dopo. Alcune amiche portavano i loro figli all’Asilo infantile istituito dentro il Comprensorio di San Giovanni. Me ne parlavano e insieme io prendevo atto delle difficili, rivoluzionarie esperienze che Franco Basaglia realizzava in città seguendo le informazioni spesso distorte dei mass media.

Tutto passava a fianco. Pressata dal contingente, ammalavo nell’anima, ogni giorno di più.

Quando è toccato a me, di arrivare al Centro di Salute Mentale di Barcola, erano i primissimi anni Novanta. E ho scoperto un Mondo, un Nuovo Mondo, un Mondo Nuovo.

Sono stata in qualche modo “dismessa”, autorizzata a non assumere più farmaci, a rivolgermi agli operatori solo in caso di bisogno, il 13 maggio 2021. E ho pensato: non a caso proprio “quel” giorno; il giorno della nascita della “180”, il 13 maggio 1978.

Il percorso dentro il circuito della Salute Mentale – almeno più di trent’anni documentati – ha modificato totalmente la mia vita. Ha reso possibile il mio concreto esistere, essere in vita, oggi. Come dico sempre, ha costituito la mia Salvezza.

Qui, tento forme di Restituzione, per dire verità di nuovo messe in discussione, verità indebolite, verità offuscate. Per gridare il bisogno, la necessità di Umanesimo.

Sono Testimone di crimini di pace. Ho attraversato la casa della follia, e da quei luoghi propizi sono uscita dall’ombra. Finalmente, una donna. 

Mi domando: Libera? Liberata? E queste parole, forse suggerite da una qualche forma di Hybris, mi fanno tremare, perché temo l’invidia degli dei. Perché so di non aver raggiunto nessun punto fermo. Perché so di stare in bilico, in oscillazione costante, su un improbabile muretto. E sto ancora, sono ancora quotidianamente in lotta contro i Fantasmi, contro le Sirene, contro le Arpie.

Rileggo spesso, piangendo, Alda Merini, la sua canzone “A Franco Basaglia”, là dove dice:

      … ma la cosa più inaudita, credi,
è stato quando abbiamo scoperto
che non eravamo mai stati malati …

E allo stesso modo, piangendo, ieri ho ascoltato la voce poetica dei protagonisti del recente film francese (vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino), “Sur l’Adamant”.

Ma non è depressione. È amore.