A Trieste e a Gorizia, cinquant’anni fa, è accaduto qualcosa di straordinario che ha cambiato la vita a milioni di persone. L’azzurro animale di cartapesta, simbolo della rivoluzione di Franco Basaglia che portò alla chiusura dei manicomi, sarà nella spianata dell’Ara Pacis a Roma, in occasione del Festival di Salute
 

1973. Ultima domenica di febbraio, Marco Cavallo esce dal manicomio e apre con fatica una spaccatura nel muro. Franco Basaglia, risponde alle domande di giornalisti, cine operatori, studenti che vogliono capire cosa sta succedendo: “È difficile dire cosa sia Marco Cavallo. Una cosa è certa: per i ‘matti’ e per tutti noi ha avuto una profonda importanza. Un momento che segna un inizio; un progetto di vita che non ha niente più in comune con la soffocante quotidianità del manicomio, che rappresenta piuttosto un legame tra individui in una nuova dimensione. Quando il cavallo azzurro lascia il ghetto, centinaia di ricoverati lo seguono. Gli internati hanno invaso le strade della città portando con sé la speranza di poter stare insieme con gli altri in un aperto scambio sociale, in rapporti liberi tra persone libere.”

A Trieste e a Gorizia, cinquant’anni fa, è accaduto qualcosa di straordinario che ha cambiato la vita a milioni di persone. Tanti uomini e donne e bambini vivevano dietro le mura dei manicomi, degli istituti, in squallidi collegi. Prigionieri: malati di mente. Persone generose cercavano un varco per liberare tutti. Le mura erano impenetrabili. A difenderle un esercito di sapientoni e di potenti. Per aprire uno spiraglio occorreva tanta forza. Eppure dietro le mura era tanta l’energia delle persone che avrebbero potuto rivoltare il mondo.
Basaglia arrivò a Trieste e incontrò Marco Cavallo. Chiamò per nome i matti così che divennero persone. Parlarono, scrissero lettere con i loro desideri: correre, volare, amare, andare a cavallo. Le lettere chiamarono altre persone. Con Marco Cavallo marciarono e con l’energia di un fiume in piena distrussero per sempre quelle mura.

Giuliano Scabia drammaturgo e Vittorio Basaglia maestro all’accademia di Venezia arrivano al reparto Q dove da un po’ era attivo il laboratorio ‘Arcobaleno’. Incontrano Ugo Guarino pittore insolito, e parlano tra loro. Intanto Angelina Nisticò sposata Vitez, una donna calabrese emigrata a New York, sposata a un triestino, tornata in patria e ora ricoverata a Trieste, sta disegnando un cavallo, con quattro linee divide il corpo del cavallo in sei scomparti e in ognuno disegna un oggetto: un vaso di fiori, un’oca, una pentola, una casa, un albero e un Pinocchio. Dice che si chiama Marco come il cavallo che porta su e giù per San Giovanni il carretto della biancheria sporca e che ormai vecchio sta per essere portato al macello. È nato Marco Cavallo.

Marco Cavallo è la storia che cammina, la storia della libertà riconquistata che rompe la fissità di un destino e apre alla possibilità, costringe a una scelta di campo. In fondo quella straordinaria e impensabile uscita, che oggi ci permette di ‘vedere’, di denunciare i letti di contenzione, le porte chiuse, gli abbandoni, le miserie dei luoghi della ‘cura’ è stata ed è la conseguenza del crollo dei muri. Le persone sono entrate sulla scena e la psichiatria, i suoi saperi, le sue inaccessibili istituzioni hanno svelato l’infondatezza delle loro certezze.

Per cogliere oggi il senso della presenza di Marco Cavallo basta pensare ai manicomi chiusi e ai ‘matti’ finalmente cittadini e alle tante storie di successo e di rimonta, alle cooperative sociali, alle associazioni, ai movimenti che intorno alla salute mentale si aggregano. E non di meno non possiamo non vedere la tragica oscenità dei reparti psichiatrici che ancora segnano dolorosamente il nostro paese e le ricche democrazie europee con le porte blindate, i letti di contenzione, le persone abbandonate in ‘strutture residenziali’ in un tempo senza fine, i centri di salute mentale vuoti, l’impiego massiccio e irrazionale dei farmaci, le solitudini, gli abbandoni, i bilanci sempre più poveri e il danaro malamente consumato.

Il racconto di Marco Cavallo, tanti anni dopo, continua a incontrare migliaia di giovani e i loro bisogni irrefrenabili di cambiamento e di futuro. Il Cavallo non ama restare muto e immobile, magari in bella mostra, come una statua su un piedistallo. Ama molto andare in parata con le bandiere e tante persone vecchie e giovani e che si canti, si balli e in tanti momenti nascano confronti, conversazioni, parole per dire della realtà oggi non più tanto felice in cui versano le reti dei servizi di salute mentale, le distratte politiche regionali e governative e quasi un milione di persone che vive l’esperienza più severa del disturbo mentale.

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Da Repubblica Salute