logo2Di Paolo Cendon.

La proposta di legge n. 1985 presentata il 23 gennaio 2014 in tema di “Modifiche al codice civile e alle disposizioni per la sua attuazione, concernenti il rafforzamento dell’amministrazione di sostegno e la soppressione degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione“giace da più di un anno,  alla Camera.  La proposta di legge mira a cancellare dal nostro ordinamento i vetusti istituti  dell’interdizione e dell’inabilitazione. Si tratta di un progetto di grande nobiltà e importanza, che rischia  però di scomparire  dall’agenda parlamentare, in mezzo ad  altre tematiche  di maggior appeal mediatico. Così però non deve avvenire,  per il bene e la dignità di tante persone sfortunate, tenuto conto che:

– L’interdizione (messa a punto oltre 200 anni fa dai funzionari di Napoleone) rappresenta ormai una misura di stampo oppressivo, dal sapore manicomiale, che imprime su chi verrà interdetto un marchio incancellabile, sicuramente antiterapeutico:  lo stesso vale per l’inabilitazione,  oggi comunque desueta e inapplicata.

– Molti fra i paesi  europei di più avanzata civiltà giuridica, ad es. Austria e Germania,  hanno da  tempo espunto queste figure  dai loro codici, secondo   anche le tracce del più autorevole diritto europeo e transnazionale: l’amministrazione di sostegno é l’unico istituto veramente compatibile con quanto disposto dall’articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che vincola anche l’Italia.

–   In  un sistema come il nostro, che si è  dotato dal 2004 di uno strumento moderno e rispettoso delle prerogative dell’individuo,  come appunto l’amministrazione di sostegno,  l’interdizione non è più tecnicamente necessaria; tutto ciò che occorre per la protezione di un soggetto ai confini della fragilità (e a ripeterlo è  l’ 80% dei Tribunali italiani) si può fare benissimo col nuovo rimedio, debitamente plasmato dal Giudice tutelare sulle necessità dell’interessato.

– Se nel 2004 i preconcetti sulla pericolosità di certi esseri sfortunati (leggi paura della “follia”) poterono sconsigliare di  puntare subito su quell’abrogazione, oggi la mentalità dei giuristi è di molto cambiata: gli orizzonti dell’abrogazione sono ormai condivisi dai migliori uomini di pensiero in Italia, non soltanto esperti di legge o psichiatri o filosofi, non importa se di  centro, di destra o di sinistra.

– Purtroppo la frettolosità delle procedure, le debolezze delle nostre facoltà di Giurisprudenza, le arretratezze di tanti Servizi sociosanitari, un certo snobismo verso i temi della volontaria giurisdizione, l’ingolfamento di certi uffici giudiziari, specie al Sud, soprattutto l’avidità o l’insensibilità di tanti nuclei familiari (una per tutte, la spinta al pieno controllo di certe pensioncine di invalidità), fanno sì che i numeri della prassi non siano diminuiti tanto quanto occorreva: le interdizioni sono ancora decine di migliaia, fra vecchio e nuovo, e si sa che chi viene interdetto finisce per morire interdetto.

– Il risultato è che oggi la mamma di una diciottenne down ben seguita, che i giudici e i notai migliori  ammetterebbero  ormai al  testamento o al matrimonio, non sa  più “a che santo votarsi”: se vive in zone d’Italia dove l’intelligenza e la mitezza  non sono ancora giunte compiutamente, dovrà  puntare su nascondigli e sotterfugi vari,  per evitare che accada alla propria figlia ciò che è toccato  a  tante ragazze consimili,  in quella sede, ossia che un ricorso  iniziale  di amministrazione di sostegno  finisca per trasformarsi, nella  buia discrezionalità di qualche stanza del Tribunale, in una sentenza di interdizione.

Bisogna accordare a questo progetto –  sulla cui bontà convengono (sottolineo) tutte le associazioni di  familiari,  il 100% dei professori di diritto, l’intero terzo settore, la stragrande maggioranza dei notai  e degli avvocati, attenzione paziente e tenace.

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