Un primo commento e orientamenti dopo la sentenza 76/2025 della Corte Costituzionale sul Trattamento sanitario obbligatorio (TSO) 

La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 76 del 30 maggio 2025 (di seguito “sentenza”) in tema di Trattamenti sanitari obbligatori (TSO) ha disposto che, ai fini della costituzionalità dell’art. 35 della legge 833/1978, sia necessaria la notifica dei provvedimenti di TSO alla persona e la stessa debba essere audita dal Giudice Tutelare prima della convalida dell’ordinanza del Sindaco.

Due adempimenti non espressamente previsti dalla legge 180 ma certamente dovuti. Infatti ogni ordinanza sindacale va comunicata all’interessato mentre l’audizione che prima era possibile ma non effettuata, deve diventare prassi obbligatoria. Ne dovranno conseguire protocolli operativi tra giustizia, polizia municipale e dipartimenti di salute mentale

La legge Basaglia

Per comprendere la rilevanza degli adempimenti credo sia bene ricordare che legge 180 (detta Legge Basaglia) in primis regola il patto sociale e il rapporto di potere tra cittadino e istituzioni (sanitaria, amministrativa e giudiziaria) in relazione agli accertamenti e trattamenti sanitari. Questi sono di norma volontari e vi sono requisiti di legge per l’obbligatorietà coercitiva e la privazione della libertà, nonché una precisa procedura ed un sistema di garanzie. 

La procedura prevede che dopo le visite vi sia un Certificato di proposta di un medico ed un certificato di convalida di un medico della struttura pubblica, cui fa seguito l’ordinanza del Sindaco e successivamente entro 48 ore la convalida del Giudice Tutelare. Il ricovero ospedaliero può avvenire solo in ambito pubblico (il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) e dura al massimo 7 giorni prorogabili in modo motivato. Tutti i diritti della persona vengono garantiti compresa la possibilità di comunicare e chiunque può presentare istanza contro il TSO.

Un sistema che ha consentito di passare da oltre 20.000 TSO del 1981 a circa 5.000 del 2023. 

Certamente nelle prassi operative sia le ordinanze sindacali che le convalide dei giudici tutelari sono diventati più adempimenti burocratici, d’ufficio che significativi momenti di controllo giuridico e tanto meno relazionali. Talora neanche il certificato di convalida lo è, venendo ricopiate al meglio le motivazioni contenute nella proposta.

Va tenuto presente che il TSO nella normativa in vigore serve, sulla base delle condizioni e garanzie definite dalla legge, ad assicurare il diritto alla salute e va costantemente accompagnato dalla ricerca del consenso della persona. Non va dimenticato che viene effettuato in condizioni di urgenza talora in un clima di tensione e rischio visto che si svolge in situazioni ambientali (Pronto Soccorso, Centri di Salute Mentale affollati, a casa) poco favorevoli per dettagliate certificazioni mediche di proposta e di convalida. I controlli successivi devono tenere conto di questi aspetti situazionali.

La sentenza 76/2025 è un pronunciamento importante che è stato prontamente accolto dalla magistratura la quale si è attivata per la sua pronta applicazione. Un segnale molto positivo vista la latenza con cui viene data applicazione ad altre sentenze quando la competenza è del decisore politico.

Onde evitare che gli adempimenti ritenuti necessari diventino sostanzialmente formali e poco utili è necessario dare senso alla notifica e soprattutto predisporre una formazione operativa per fare fronte alla comprensibile impreparazione del mondo giudiziario ad effettuare un colloquio su un tema così complesso con una persona in una condizione di acuzie psicopatologica tanto più se, in questa prima fase applicativa, l’audizione verrà tenuta a distanza come pare orientata a fare la gran parte dei tribunali. 

La notifica dell’ordinanza sindacale è a cura della Polizia Municipale eventualmente coadiuvata dal personale sanitario. Rappresenta un punto essenziale sotto il profilo giuridico ed assume un significato anche in ambito clinico relazionale attivando un’ampia varietà di vissuti (indifferenza, preoccupazione estrema, rassegnazione rivendicazione ed al) e contribuire alla costruzione della consapevolezza.  Non va mai dimenticato che per quanto il TSO sia effettuato secondo un principio di beneficialità esso comporta una restrizione della libertà personale, l’obbligo di degenza con altri non scelti e vissuti negativi sull’autostima, l’immagine di Sé e può avere, per il persistere del pregiudizio, conseguenze sfavorevoli sulle relazioni e nel campo lavorativo. Vissuti e conseguenze ancora più gravi si possono avere in caso di contenzione meccanica.

Per quanto attiene l’audizione del Giudice Tutelare sarebbe preferibile tenerla in presenza (coinvolgendo i curanti e magari altre figure come i garanti comunali, avvocati, Utenti esperti ecc.) e definire gli elementi qualificanti sia rispetto al colloquio sia per gli aspetti ambientali e la tutela dei diritti.

In ambito psichiatrico vi è una certa preoccupazione sia per l’appesantimento operativo (l’audizione da organizzare ecc.) sia per i timori che i giudici possano sindacare le prassi (in certe aree i ricoveri avvengono prima dell’ordinanza) e la qualità dei documenti di proposta e convalida fino a giungere a non convalidare. Qualcuno teme il crearsi di incomprensioni, un (ulteriore) asservimento della psichiatria alla giustizia e il crearsi di contenziosi con i pazienti (e/o loro rappresentanti). Al fine della valutazione della qualità dei TSO va tenuto presente che attualmente possono essere effettuati senza l’obbligo della certificazione di un medico specialista in psichiatria, il che è stato oggetto di rilievi a livello europeo.

La sentenza 76/2025

In questo contributo cercherò di evidenziare i possibili aspetti positivi della sentenza che in primis è orientata ad aumentare il rispetto dei diritti ma anche a definire in modo moderno quali principi debbano ispirare le pratiche in psichiatria e più in generale nella salute mentale.

Sul piano formale che un’ordinanza del Sindaco debba essere notificata all’interessato è un fatto acquisito e quindi risulta evidente come la sua omissione rappresenti una sorta di persistente stigma negativo a danno delle persone con disturbi mentali. La convalida da parte del giudice tutelare non vietava né prevedeva esplicitamente l’audizione e il fatto che diventi obbligatoria è positivo.

Come noto i riferimenti per la pratica psichiatrica sono dati dalla legge 180 poi inserita nella 833/1978 in base alla quale gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di norma volontari (art. 33 l. 833/1978). Un principio ribadito anche da l. 18/2009 e 219/2017.

Gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi territoriali extraospedalieri (art 34).

Le cure ospedaliere non sono quindi di prima scelta ma residuali e sottoposte a precise condizioni di legge in caso di obbligatorietà e pertanto il TSO costituisce un’estrema ratio.

Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere.” (Art 34 l. 833/1978)

I medici e Servizi Psichiatrici

I medici hanno quindi come riferimenti per la cura la volontarietà e pertanto la necessità di costruire il consenso informato e la priorità va data agli interventi extraospedalieri

L’obbligatorietà e l’ospedalizzazione hanno carattere residuale e costituiscono un’estrema ratio. In tutte le fasi va ricercato il consenso e la partecipazione della persona anche in corso di TSO. Quindi la logica non è categoriale dicotomica volontario-obbligatorio ma dimensionale per cui vi è sempre la centralità della costruzione del consenso e l’obbligatorietà è residuale ed estrema per assicurare il diritto alla salute mediante l’effettuazione interventi essenziali per la salute dei quali anche ai fini della loro assunzione e prosecuzione è indispensabile maturare la consapevolezza e la partecipazione.

In questa accezione delle cure appare quindi, a mio parere non appropriato il richiamo della sentenza 76/2025 alla misura di sicurezza detentiva come “ancipite” così come configurata dalla sentenza 22/2022 della stessa Corte Costituzionale. In altre parole la cura si deve basare sempre sul consenso mentre l’obbligatorietà coercitiva deve essere solo eccezionale e temporanea, non solo per motivi giuridici ma soprattutto clinici in quanto la cura della salute è della persona, fa parte del suo progetto di Vita e ciò che più rileva è che non può avvenire nel tempo senza il suo consenso libero, informato e la sua partecipazione attiva.

Pur non citandoli esplicitamente, la sentenza ha un impianto che può aiutare una corretta definizione dei doveri del personale medico e infermieristico in merito alla sorveglianza sanitaria del paziente la quale deve mirare alla massima sicurezza delle cure, a ridurre al minimo i rischi per la persona ma non può configurare la posizione di garanzia di controllo (ex art 40 comma 2 del c.p.) in capo agli operatori sanitari. In tale ottica sarebbero tenuti a prevedere e prevenire atti auto ed eterolesivi della persona compito non possibile sul piano tecnico-scientifico, professionale, umano e organizzativo con il rischio da un lato di rilanciare una visione del paziente come pericoloso a sé e agli altri abrogata dalla legge 180 e dall’altro di preoccupare e demotivare gli operatori rispetto al rischio (consentito) e di spingere il sistema sanitario ad una posizione di medicina “difensiva” quando invece andrebbe assicurato ai sanitari “il privilegio terapeutico”.

Questo è molto rilevante sia per prevenire l’incremento del contenzioso in ambito sanitario sia per favorire l’evoluzione dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC) verso un approccio “no restraint” cioè senza contenzioni meccaniche e con le “porte aperte”.

Il Sindaco e la Polizia municipale

Il Sindaco, in qualità di autorità sanitaria, emette l’ordinanza di TSO che viene eseguita mediante un’azione congiunta e coordinata da personale sanitario e della polizia municipale, coadiuvata su sua richiesta, da altre Forze dell’ordine. 

La notifica dei provvedimenti alla persona, come già detto, può essere utile nel percorso per la costruzione della consapevolezza e della motivazione alle cure. Il Sindaco ha anche una funzione di garanza formale in quanto ai sensi dell’art. 33 della l. 833/1978 “Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio. Sulle richieste di revoca o di modifica il sindaco decide entro dieci giorni.”.

Il sindaco ha un ruolo nell’assicurare la salute che, come noto, non dipende solo dagli interventi sanitari ma anche dai determinanti sociali, ambientali, economici, culturali e quindi da altri diritti (nell’ottica della loro indivisibilità) e da altre istituzioni. Tema questo molto opportunamente rilanciato dalla sentenza 76/2025 nel punto in cui sostiene che il Giudice Tutelare “ove sia il caso, potrà interloquire con i servizi sociali” come noto di competenza comunale.

Il Giudice Tutelare

In base alla sentenza 76/2025 il Giudice tutelare opera per la “Verifica in concreto dei presupposti sostanziali che giustificano il trattamento ed è funzionale alla sua convalida, atteso che alla mancata convalida consegue la cessazione della restrizione della libertà personale”.

Giudice deve operare “per stabilire se il trattamento sanitario sia stato disposto legalmente o abbia comportato una illegittima privazione della libertà personale e della facoltà di autodeterminarsi in materia di salute.” (Corte Costituzionale 76/2025 punto 1.1.)

L’audizione di persone fragili da parte del Giudice tutelare assume particolare rilevanza in quanto oltre a quanto sopra esplicitato, “consente di conoscere le reali condizioni in cui versa la persona interessata, anche dal punto di vista dell’esistenza di una rete di sostegno familiare e sociale.” Ciò permette di personalizzare l’intervento in conformità con l’ordinamento che “contempla misure di protezione differenti, modulate sulle condizioni concrete del destinatario.”

Anche per quanto attiene ai TSO secondo la Corte Costituzionale, in analogia con l’art 407 del. c.c. relativo alla nomina dell’Amministratore di sostegno il giudice tutelare “deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa”.

Se già l’art. 35, sesto comma, della legge n. 833 del 1978 prevedeva, in caso di necessità la possibilità da parte del giudice tutelare di “adottare provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e per amministrare il patrimonio dell’infermo” in relazione ad una lettura costituzionalmente orientata ed alla normativa intervenuta (legge 18/2009) i provvedimenti di protezione deve essere inteso “come rivolto anche alla cura della persona”. 

Ne consegue quindi una visione che da un lato s’inscrive pienamente nello spirito della legge 180 e nella cultura della pienezza dei diritti e dall’altro valorizza l’approccio scientificamente aggiornato che vede nell’approccio biopsicosociale, culturale e ambientale quello più appropriato per la cura dei disturbi mentali.

L’audizione della persona interessata prima della convalida del provvedimento che dispone il trattamento sanitario coattivo, pertanto, consente al giudice tutelare di individuare il percorso in cui instradare le forme di miglior ausilio della persona in relazione alla sua condizione soggettiva”.

“8.5.– L’esercizio dei poteri ufficiosi da parte del giudice tutelare non può che avvenire nel rispetto del delicato equilibrio che intercorre tra esigenze protettive e autonomia individuale (sentenza n. 114 del 2019). Tali poteri possono consistere nell’adozione sia di misure informali, che di provvedimenti formali. Il giudice, ove sia il caso, potrà interloquire con i servizi sociali o investire il pubblico ministero per l’adozione degli atti di competenza tra i quali, in particolare, il promovimento della procedura di amministrazione di sostegno” anche provvisorio.

L’affermazione della sentenza 76/2025 “E’ certamente escluso che le persone, soltanto perché affette da infermità fisica o psichica, siano per ciò stesso private dei diritti costituzionali, compreso il diritto di agire e di difendersi in giudizio, in violazione del principio personalista e del principio della pari dignità sociale espressi dagli artt. 2 e 3, primo comma, Cost.”  è molto importante e premessa ad un possibile superamento del doppio binario, l’abolizione degli artt. 88 e 89 c.p. in un processo di piena affermazione dei diritti e doveri delle persone con disturbi mentali.”

Prassi

Le prassi dei medici devono essere orientate alla volontarietà e all’acquisizione del consenso alle cure prioritariamente nell’ambito extraospedaliero. Le tipologie di cure proposte devono fare riferimento, se esistenti, a Linee Guida o in loro assenza a Buone Prassi; devono essere esplicitate e potranno essere di tipo biologico, psicologico, sociale e dovranno tenere conto dei determinanti ambientali, economici, culturali nonché degli stili di vita e delle preferenze della persona nel suo contesto di riferimento, in primis la famiglia da coinvolgere con il consenso del paziente ad esempio secondo la metodologia del dialogo aperto. Non  è oggetto di questo contributo ma per costruire in ogni Dipartimento di Salute Mentale programmi per il consenso, la qualità e sicurezza delle cure sono da approfondire diversi punti: come operare in senso preventivo, sviluppare la partecipazione e l’engagement, pianificare in modo condiviso le cure, le disposizioni anticipate di trattamento, il piano per le crisi e il c.d. “Patto di Ulisse”, l’impiego di Utenti Esperti, Avvocati, tutori, amministratori di sostegno e fiduciari (ex l. 219/2017), dialogo aperto e Budget di salute.   

Tornando al TSO le condizioni che devono essere, in concreto, verificate sono:

a) Alterazioni psichiche tali, cioè talmente gravi, da richiedere interventi terapeutici urgenti. 

Le alterazioni psichiche non devono necessariamente configurare una diagnosi psichiatrica categoriale secondo (ICD o DSM) ma essere di tale entità da alterare le funzioni mentali del pensiero, percezione, affettività da compromettere in modo molto severo l’esame di realtà, dell’autocontrollo, autoconsapevolezza e autodeterminazione del comportamento con significativi aspetti di natura autoaggressivi e suicidari e/o eterolesivi. Vi deve essere una natura “primaria” di tali alterazioni. Vengono pertanto esclusi i quadri clinici nei quali le alterazioni sono secondarie (intossicazioni, farmaci, anestesie o basati su alterazioni organiche mediche, ormonali, elettrolitiche, oncologiche e degenerative ed al.) o parti di quadri comportamentali personologici, psicopatici e antisociali. 

E’ evidente che l’audizione da parte del Giudice Tutelare, dopo 48 ore potrà rilevare una situazione clinica diversa ma ciò che deve essere valutato non ex post ma ex ante il ricovero. 

b) la non accettazione degli interventi terapeutici 

In relazione al secondo presupposto sostanziale (la mancata accettazione degli interventi), l’art. 33, quinto comma, prevede che i trattamenti «devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato», prospettando il trattamento coattivo come extrema ratio, in coerenza con il principio espresso dal primo comma della stessa disposizione, per cui «[g]li accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari”. (Corte Costituzionale 76/2025, punto 2.2)

Come già detto la questione dell’accettazione non va posta in modo dicotomico categorico ma dimensionale e ciò è coerente sia dal punto di vista giuridico che clinico.

Infatti “La giurisprudenza di legittimità ha dato atto di queste variabili, affermando che «[n]onostante, dal punto di vista normativo, un paziente sia considerato, secondo una visione dicotomica, capace oppure incapace, la realtà clinica suggerisce che possano esistere degli spazi di autonomia e libertà decisionale residui anche in pazienti sottoposti a TSO», osservando come nella prassi debbano operare approcci multidimensionali, volti alla valutazione caso per caso, nel singolo paziente, della capacità a prestare il consenso (Corte di Cassazione, ordinanza n. 509 del 2023)

  1. c) non vi siano le condizioni e circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere.

La verifica di questo punto implica la valutazione:

-dell’assetto dei servizi dei Dipartimenti di Salute Mentale (disponibilità di risorse, Csm 24 ore, Centri per la crisi) in grado di avere alternative al SPDC; 

– della situazione di vita personale (documenti di residenza, casa, reddito, lavoro), familiare e sociale della persona.  

E’ ormai noto come in diversi ambiti l’accesso ai diritti (ad esempio alle misure alternative alla detenzione) implichi la residenza anagrafica, la disponibilità di una casa, la presenza di care giver, di un reddito minimo. E’ quindi assai grave che persista una condizione di coercizione e di privazione della libertà per ragioni primariamente sociali o amministrative (assenza di documenti, permessi di soggiorno ed al.).

Il nodo della coercizione

Sulle forme della coercizione in ambito sanitario vi sono orientamenti sia nel codice deontologico medico (artt. 51,52, 53) e degli infermieri (Art. 23 Prevenzione della violenza; Art 38 Contenzioni) non vi è una precisa codifica degli interventi da attuare ai fini della coercizione.

In altri Paesi vi sono riferimenti. Ad esempio l’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche ha esplicitato chiaramente il concetto di coercizione: “Si parla di coercizione quando si procede all’attuazione di una determinata misura nonostante la persona che la subisce comunichi – esprimendo la propria volontà o opponendo resistenza – o abbia dichiarato in precedenza di non essere d’accordo. Nella pratica medica la coercizione può presentare una grande varietà di forme, la cui valutazione etica e giuridica spazia entro un range compreso fra «necessario» e «totalmente inaccettabile» (cfr. Appendice A).” 

Definisce anche le forme di limitazione della libertà e declina i principi generali cui attenersi per la coercizione: rispetto dell’autodeterminazione, sussidiarietà e proporzionalità, ambiente idoneo, comunicazione e documentazione.

La Coercizione è considerata un concetto pluridimensionale

Nella pratica medica la coercizione può presentare una grande varietà di forme, la cui valutazione etica spazia entro un range compreso fra «necessario» (attuazione di un intervento volto a salvare la vita in un lattante che vi si oppone) e «totalmente inaccettabile» (trattamento farmacologico coercitivo in un paziente capace di discernimento). Per agevolare l’orientamento in una materia tanto complessa, è utile collocare le diverse tipologie di coercizione all’interno di una griglia pluridimensionale.

In questa sede vengono prese in esame quattro dimensioni: la volontà del paziente, il suo comportamento, la finalità della misura e la sua invasività.

La prima dimensione si focalizza sulla volontà autodeterminata del paziente in relazione alla misura da attuare.

La seconda dimensione descrive il comportamento manifestato dal paziente nei confronti della misura in questione. La gamma delle possibili reazioni spazia dal consenso esplicito, all’accondiscendenza implicita, alla tolleranza passiva, fino all’esplicito rifiuto verbale e alla resistenza fisica. In situazioni cliniche difficili, il comportamento manifestato potrebbe essere non univoco e instabile. Spesso, esso è influenzabile dalle dichiarazioni e dalla condotta del personale curante. Per coercizione, nell’ambito di questa dimensione, si intende l’attuazione di una misura nonostante il rifiuto verbale o la resistenza fisica.

La terza dimensione riguarda la finalità delle misure coercitive. La quarta dimensione si riferisce all’invasività dei provvedimenti.”

Se questi possono essere riferimenti di massima va tenuto presente che già nell’esecuzione del TSO l’intervento dei sanitari e della Polizia Municipale, prima e dopo l’emissione dell’ordinanza sindacale, apre una fase delicatissima  e carica di rischi per tutti i soggetti (sanitari, polizia, forze dell’ordine) in relazione all’oppositività- rifiuto-combattività della persona e alla necessità di dover mettere in atto azioni di contenimento-sicurezza e di sedazione farmacologica urgente in soggetti con condizioni mediche generali spesso non note. Le abilità relazionali, i movimenti gruppali e coordinati tra sanitari e polizia municipale hanno sviluppato prassi operative in grado di portare a termine i provvedimenti in sicurezza. Non sono mancati incidenti anche gravi e alcune pratiche appaiono assai rischiose (ad es. uso del taser). Comunque l’effettuazione del TSO è una vera e propria emergenza che richiede azioni concertate tra sanitari e polizia municipale al fine dell’emissione dell’ordinanza che impiegano anche nel migliore dei casi un certo tempo (di solito alcune ore) nel quale la situazione, i vissuti di tutti, paziente compreso sono messi a dura prova anche al fine di tutelare la sicurezza e l’incolumità di tutti. L’aumentata circolazione delle armi e dei coltelli rappresenta un ulteriore problema. Una fase quella che precede il ricovero carica di responsabilità. 

Nel corso del ricovero in Spdc si verificano la limitazione della libertà, l’obbligo di ricovero e la coercizione a ricevere i trattamenti farmacologici. Questa deve essere attentamente pianificata cercando sempre di ottenere il consenso ed agendo secondo il principio della proporzionalità e del rispetto della dignità della persona. Si tratta di un ambito delicatissimo al quale dedicare la definizione di buone prassi.

Oltre che questi aspetti, al Giudice tutelare compete anche la verifica delle condizioni ambientali e di eventuali interventi di contenzione meccanica. Ciò al fine del rispetto dei diritti e come prevenzione di trattamenti disumani e degradanti, dei rischi legali maltrattamenti, sequestro e tortura, abbandono di incapace. 

Il riconoscimento dei diritti umani e sociali è fondamentale per sviluppare la consapevolezza e la costruzione della relazione di cura, le azioni per l’aggancio e il consenso, e gli interventi sociali e sanitari da proporre prima del TSO anche per evitare abbandoni e trascuratezza.

In quali attività diagnostiche e terapeutico si sostanzia il TSO e quali e come vengono imposte con quale grado di coercizione (sollecitazione verbale, ordine, forme di contenzione, blocco fisico, contenzione meccanica) e quale sia il rapporto rischi/benefici deve essere verificato in relazione a Linee Guida e Buone prassi ma declinate secondo le caratteristiche del caso specifico e le relative condizioni ambientali e situazionali. 

La contenzione non è un atto medico ma è un presidio restrittivo della libertà personale che non ha una finalità curativa, né ha l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente ma è funzionale a salvaguardare l’integrità fisica del paziente o di terzi che vengano in contatto con esso, allorquando ricorra una situazione di concreto pericolo per l’incolumità una pratica considerata eccezionale persino in epoca manicomiale (l’art. 60 del R.D. n. 615 del 1909 Regolamento legge sui manicomi del 1904).

Conclusioni

Secondo la sentenza 76/2025 il TSO è strumento di cura e non di controllo sociale e ciò è in piena adesione allo spirito della legge 180.

La sentenza 76/2025 nel ribadire al punto “3.1. – Per costante giurisprudenza di questa Corte, allorché un trattamento sia configurato dalla legge non soltanto come obbligatorio, e dunque rimesso alla spontanea esecuzione, ma come coattivo, potendo il destinatario esservi assoggettato con la forza, le garanzie dell’art. 32, secondo comma, Cost. si aggiungono a quelle dell’art. 13 Cost., che tutela la libertà personale.” evidenzia la necessità di un approccio garantista e al contempo il superamento di ogni posizione paternalista fondata sulla sola beneficialità.

Mentre secondo l’Avvocatura Generale dello Stato “la privazione della libertà non avrebbe scopo punitivo e sarebbe adottata a fin di bene sulla base di un giudizio medico rispetto a cui il controllo giurisdizionale non potrebbe essere che esterno, ritiene la Corte rimettente che questa impostazione costituisca «un ultimo residuo di quella logica manicomiale che la legge Basaglia ha avversato, e di quella convinzione, contrastata dal diritto vivente, che la persona affetta da patologia psichiatrica, disabilità, immaturità, non debba partecipare, nella misura in cui le circostanze glielo consentono, alle decisioni che la riguardano».

“Il diritto di essere informati e di esprimere la propria opinione, invece, anche se quest’ultima fosse poi motivatamente disattesa dall’autorità giudiziaria, costituirebbe un principio ormai immanente nell’ordinamento, affermatosi progressivamente sia per i minori di età, che per gli adulti che necessitano di una misura di protezione civile, anche eventualmente limitativa della capacità (sono citate Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanze 20 marzo 2024, n. 7414 e 21 novembre 2023, n. 32219; terza sezione civile, sentenza 11 dicembre 2023, n. 34560; prima sezione civile, sentenza 26 marzo 2015, n. 6129), in quanto il diritto della persona a essere informata e a partecipare ai processi in cui si discute del suo interesse attiene alla dignità della persona, da assicurare anche attraverso una adeguata informativa ogni qualvolta la persona sconti una posizione di debolezza o di asimmetria. Sarebbe, pertanto, irragionevole che il diritto all’ascolto venga garantito nella fase medica e non anche nella fase giurisdizionale, atteso che l’incapacità mai inciderebbe sulla titolarità dei diritti, ma soltanto sul loro modo di esercizio.” (Sentenza 76/2025 punto 13)

Dalla sentenza 76/2025 viene a delinearsi una prassi in base alla quale l’ascolto è dovuto e  le tre condizioni per il TSO, urgenza, rifiuto delle cure e assenza di alternative extraospedaliere, giuridicamente unitarie e necessariamente compresenti vengono ad articolarsi in modo temporalmente definito e potenzialmente separato: l’urgenza che porta al ricovero che discende da una valutazione medica sembra connotare la prima fase mentre la necessità di un’azione coercitiva sostanzia il lavoro clinico successivo al ricovero e diviene il punto chiave della convalida mentre deve essere costante la ricerca della volontarietà e del consenso nonché delle ragioni che non hanno permesso idonei e tempestivi interventi in ambito extraospedaliero. La limitata durata del TSO rende quindi necessario affrontare con estrema sollecitudine questi due punti (volontarietà e cure in ambito extraospedaliero). 

Nell’ombra rimangono gli interventi sulla base dello stato di necessità (art 54 c.p.).  Una condizione articolata e complessa che in altri Paese ha determinato la previsione di due strumenti diversi (Ricovero in emergenza per ragioni sanitarie e ricovero obbligatori e coercitivo). L’intervento diretto del Giudice Tutelare, figura fino ad ora inapparente, come del resto il Sindaco può influire sulla relazione medico-paziente e ci si augura possa favorire l’alleanza di lavoro e i percorsi di cura appropriati. “Di sicuro emerge la sensazione di una irrisolta tensione tra garanzie costituzionali e realtà clinica: difficile bilanciare i principi con carenze di risorse strutturali, logistiche e umane.” (..) “La vera innovazione sarà dunque culturale e organizzativa: integrare giustizia e sanità per proteggere al tempo stesso pazienti, operatori e diritti.” 

Ciò può avvenire grazie ad una frequentazione di persona nelle prassi reali, nei luoghi dove si vivono sofferenze, angosce, dolore, perdita del senso della vita, incombenza della morte psichica e fisica. Pur capendo le tante difficoltà di ogni istituzione l’incontro di persona può essere cruciale per migliorare insieme il sistema, anche come già detto con l’aiuto di garanti, legali, associazioni, utenti esperti, familiari. Una presa in cura della comunità non solo per i TSO ma per i programmi terapeutici e i progetti di vita.

L’aspetto più importante della sentenza è quello che rilancia lo spirito della legge 180 nel momento in cui dice con chiarezza che il TSO ha finalità di cura e prevede che il giudice tutelare possa segnalare la presenza di problemi sociali segnando così il passaggio dalla psichiatria alla salute mentale, dalla sanità alla salute.

Dall’impostazione garantista discende una rappresentazione delle persone con disturbi mentali o disabilità psicofisica come pienamente titolari di diritti (come richiesto ormai dalle associazioni di utenti ed ex pazienti) ed alla quale sono dovute le notifiche e l’audizione, cioè il diritto all’ascolto. L’essere riconosciuti come degni di parola e di ascolto è un grande aiuto per la cure. Ciò contrasta con visioni che s’incentrano sulla riproposizione di forme di obbligatorietà-coercizione diversamente normate rispetto a quanto previsto dalla legge Basaglia (come ad esempio il protocollo aggiuntivo alla Convenzioni di Oviedo, proposte di Patto di rifioritura o di Coercizione benigna) e può essere premessa per il pieno riconoscimento dell’imputabilità di tutte le persone e il superamento del doppio binario.