Alcuni degli articoli che abbiamo letto su “suicidi nelle carceri” e che decidiamo di proporre, sono, a nostro avviso, molto distanti da una visione che vorremmo attenta e pragmatica, come quella del contributo di Pietro Pellegrini. Che le carceri siano luoghi di sofferenza e, a maggior ragione di sofferenza quando utilizzati come luoghi di accumulo dello scarto, è un dato di fatto. Basterebbe riflettere, non tanto sul numero dei suicidi dei carcerati, quanto sull’evenienza suicidio che colpisce gli operatori del carcere, segnatamente le guardie carcerarie. Il tasso di suicidi della popolazione detenuta è molto, ma molto più alto (fino a dieci volte), di quello della popolazione in libertà. E, ancora più preoccupante, il tasso di suicidi delle guardie carcerarie è ben tre volte più alto di quello della popolazione generale. Basterebbe una riflessione su questi numeri per rendersi conto che il problema andrebbe affrontato in tutt’altro modo.

Il Forum Salute Mentale ha sempre insistito e continuerà a farlo, che la presa in carico delle persone con disturbo mentale autori di reato (anche quando già dichiarate inferme di mente) deve sempre e con estrema sollecitudine fare riferimento ai servizi di salute mentale, che immaginiamo come regia e coordinamento nei progetti sempre possibili, ripetiamo sempre possibili, di cura, riabilitazione e reintegrazione verso la possibilità di una vita dignitosa come per tutti. Continuare a pensare alla soluzione di questo problema aumentando il numero delle Rems e dei posti letto e profilando figure di minore o maggiore pericolosità, e di conseguenza luoghi di minore o di massima sicurezza, non può che riprodurre l’assetto di rigidità istituzionale, di incomunicabilità tra le diverse e preziose professionalità coinvolte, spingere a una sorta di micidiale “scarica barile” e di deresponsabilizzazione e distanza di tutto quel popolo che, per scelta o per necessità, si trova a operare in questo campo.

I quattro articoli che pubblicheremo vogliono essere soltanto l’invito a riflettere su quanto bisogna mettere in campo per riuscire a riportare la nostra attenzione “sui fratelli scomodi” che non chiedono altro che la nostra “comprensione”, nella consapevolezza di una giusta esecuzione della pena e di una visione quanto mai responsabile nei confronti della comunità che accoglie. Ogni gesto reato non può che trovare posto nella biografia e nella storia sociale di chi quel reato ha commesso. Il compito delle istituzioni che immaginiamo è quello di riportare continuamente nella concretezza e nella durezza del quotidiano i cittadini, le persone, i soggetti. 

Suggeriamo la rilettura dell’editoriale del Forum sulla posizione che in materia abbiamo assunto e del disegno di legge che vuole aprire una campagna – legge 180 bene comune – che muove i primi passi, sicuri dell’adesione militante di tutte le amiche e gli amici del Forum.