rotelliDi Piero Del Giudice

L’istituzione inventata/Almanacco. Trieste 1971-2010 (pag. 330, AlphaBeta editore, Bolzano, 2015, distribuzione via amazon) è il libro di Franco Rotelli – direttore dei servizi di salute mentale e poi direttore ASL di Trieste – che racconta l’esperienza triestina di riforma e abolizione del manicomio – culminati formalmente con l’approvazione da parte del Parlamento italiano della legge 180 –  e di riforma dei saperi e delle istituzioni inventate attorno a ciò che chiamiamo salute mentale. Il libro simula intenti didattici, costruito cronologicamente e nella forma di un voluminoso abecedario – con l’ausilio di foto, riporto di documenti, immagini colorate di prodotti vari –  che istruisca sul pensiero, lo sviluppo di pensiero e i fatti che producono la totale demolizione del sito OP (Ospedale Psichiatrico) a Trieste.

Sulla terra della istituzione manicomiale su cui più nulla cresceva, oggi crescono grandi distese di rose e i matti si misurano in contesti meno surreali, sociali anche. Un libro chiaro, efficace, la cui forma pop si àncora, pagina dopo pagina, su brani, brevi saggi, cronache, che ricostruiscono  il pensiero-bardo di questa nostra epopea.

E le cadenze di pensiero – da Artaud a Enzo Paci a Basaglia a Primo Levi a Rotelli stesso – sono il portante del libro. Prima di tutto e, sembrerebbe sopra ogni altra considerazione, Rotelli ritiene decisivo per l’impresa perseguita, il contributo collettivo, relazionato e in qualche modo corale. Lo fa da subito elencando nella introduzione, in ordine alfabetico, almeno 500 nomi di persone che nell’arena della demolizione della istituzione sono intervenute, ognuno demolendo una parte di muro. Infermieri, sociologi, volontarie, Gino Paoli, Ugo Guarino con le sculture Testimoni e il collettivo ‘Arcobaleno’, Rafael Alberti, Dario Fo, Giuliano Scabia, per non parlare dei complici – Guattari, Cooper, Castel -, i documentari di Sergio Zavoli, le fotografie di Carla Cerati e Berengo Gardin etc. nonché Ornette Coleman che ci ha lasciato in questi giorni, Franco e Franca Ongaro Basaglia che non ci sono più, Mario Tommasini che non c’è più (per dire a noi e alle generazioni avanzanti che, in questo racconto, la morte non è più uno scandalo). Tanto vasto e laborioso il campo che non vale elencare le tappe, dai primitivi urti del 68-69 – per sottrarre all’internamento quote di ‘alienati’ per definizione e rivelazione – sino alle cooperative dell’oggi, agli appartamenti dove vivono, ognuno con il proprio destino, i già reclusi, alla dimensione di lavoro territoriale, umano-consorziale, in cui si dibatte, cambia e prende forma, il disagio. Ma il contributo originale del libro di Rotelli non è quello – o soltanto quello – di una esemplare cronaca, ma il fatto che egli si sottrae al dibattito tra tecnici, tra discipline, riportando la vessata quaestio ai primordi dell’umano problema. Lo fa nel saggio del 2008 a titolo Che cos’è la salute mentale: «Può essere che la salute mentale sia il contrario della follia. Per quel che mi riguarda io mi immagino che esser folli altro non significhi che prendersi molto o troppo (o del tutto) sul serio. Se sta all’opposto, salute mentale non potrà che identificarsi con l’esercizio della vacuità, dell’insignificante…Ci si potrebbe immaginare che salute mentale stia laddove un soggetto può esistere con altri, attraverso il linguaggio comunicare di sé, poter parlare di sé per differenze accettabili, costituirsi per singolarità parziale e parziale comunanza…Se è verosimile che solo il linguaggio ci può salvare, se è verosimile che nella follia ci sia non so se una scelta ma una sicura compiacenza, un vezzeggiamento continuo, una seduzione subìta, un arrovello accarezzato, un’identità estrema purchessia, l’altro diventa ancor più decisivo del tuo futuro…».

Aggira l’Autore la possibile  opzione classista della vicenda e prigionia degli alienati  (“NO! NO! Al manicomio dei poveri” nella foto è scritto sul muro) e opta per una storia degli individui sottratta alla nudità e alla frigidità della persona non relazionata. Rotelli insiste allora qui con la narrazione dell’intrapreso e la sollecitazione alle buone pratiche, per la salute sociale del territorio, per un habitat salutare, coniugandovi il mestiere del medico e la macchina della istituzione riformata.

(da “Galatea”)

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