(disegno di Ugo Guarino)
(disegno di Ugo Guarino)

Una giovane medica presenta il libro di Rotelli (vedi la scheda del libro)

Ci sarebbe tantissimo da dire…. è un libro che ho letto d’un fiato. Bello solo come quei libri da cui non ci si vuole staccare, per i quali si vorrebbe interrompere ogni attività per poterlo finire. Che lasciano qualcosa. Mi ha ridato grinta, risvegliato quella vitalità assopita e rimbambita dalla società che mi circonda, che nel quotidiano mi anestetizza in uno stato di non pensiero. Mi ha ricordato l’indignazione e i motivi per cui ho scelto di fare il medico, volevo fare la psichiatra e perchè, forse, ora non la voglio più fare. Mi ha ricordato che c’è stato chi ostinatamente ha sognato di cambiare il mondo e giorno dopo giorno lo ha cambiato davvero.

Ammetto che mi sono commossa. Ci ho messo un giorno per dare un risposta al perchè proprio in quel punto. Dopo aver letto una serie di nomi elencati. Anche all’inzio ci sono due pagine di nomi, allora perché mi sono commossa solo alla fine? Forse banale rispondere che hanno acquisito un’identità, una storia.

Giunta alla conclusione non ho avuto quella sensazione di dispiacere dei libri belli che fosse finito, perchè non è finito, perchè non è una storia. E’ storia e non finisce, anzi è nostro dovere continuarla. Mi sono staccata dal libro con una sensazione di “sazietà”, ed è stato bello sentire proprio quella sensazione, una sensazione forte, così materiale che mi ricorda che il mio corpo non è solo corpo fisico (clinico) che si sazia di cibo, ma è corpo soggettivo e sociale e politico, che necessita di altro.

Per me, oggettivamente: Il libro è un insieme di testi citati, sprazzi di pensiero, di note storiografiche definite in una cronologia concisa, un insieme di testimonianze di chi è stato protagonista di questo pezzo di storia. Via via più intenso ed incalzante nella successione di eventi reali e concreti, di forme che vanno oltre i confini nazionali, che vanno oltre la psichiatria. Un’avventura umana collettiva.

É anche un libro di immagini, metaforiche e reali, che rimangono da testimonianza, che danno forma (come citato nell’introduzione) per la prima volta ritraggono i volti degli internati e del cambiamento. Rendendolo reale per chi ancora pensasse che è solo utopia. Per me, una lettura su livelli diversi. Tutto sommato semplice che permette di informarsi, di conoscere una storia che (nell’introduzione) viene definita “per certi versi notissima”.

Sì, “per certi versi” … perchè (per certi versi) mi chiedo quanti conoscano questa storia, quanti si rendano conto della potenza di quello che qui viene raccontato ed è accaduto? Davvero si conosce questa storia? I miei coetanei quasi la ignorano… Coloro che amano definirsi“gli addetti alla salute” non si sa… Mi disorienta e istupidisce la banalità discostante di un: “Ah, Basaglia. Quello che ha chiuso i manicomi.”

Lettura più complessa, più profonda nello sviscerare considerazioni, frasi e parole che tornano (collettività, pensiero critico, istituzione, soggettività…), che si fanno più concrete, partecipate e radicali. Personalmente le devo leggere più volte perchè ogni parola contiene un significato, una riflessione, un pensiero molto più complesso. Questo mi fa pensare a come si sia sviluppato necessariamente un pensiero critico. Mettersi in discussione e mettere in discussione il sistema manicomio, o forse di più, il sistema società.

La potenza dell’immagine dell’uomo totalmente in gabbia affiancato all’uomo con la testa nella gabbia…

Mi chiedo come si può arrivare a dare il giusto valore a una porta aperta, a uno spogliarsi del camice, alla necessità di pratiche diverse se non siamo disposti a de-istituzionalizzare la nostra mente? Cosa ha reso possibile quello che è successo a Trieste? Dove è finito oggi quel senso di “appartenenza” a una collettività che ha reso possibili relazioni che si proiettavano fuori dalle mura? Quanto è importante l’agire collettivo? Dov’è finita quella grinta, quel coraggio che ha permesso di creare una realtà nuova? Mentre noi giovani siamo così disillusi, già sconfitti da “regolamenti che regolano”, non affamati di bisogni, acquirenti di verità preformate che neanche pensiamo di mettere in discussione?

di Ilaria Missaglia, giovane medica che forse farà la psichiatra.

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