Sul DDL “Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica” (luglio 2010)

Il 28 settembre il Comitato ristretto della XII Commissione Affari Sociali della Camera ha iniziato a discutere il testo “Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica” elaborato dal relatore, l’on. Ciccioli, alla fine dell’estate alla conclusione delle audizioni. Al termine dei lavori del Comitato ristretto, il testo verrà sottoposto al vaglio e all’approvazione della XII Commissione, previ i pareri delle Commissioni Affari Costituzionali, Bilancio e Giustizia per approdare poi all’Aula. A meno che nella XII Commissione non si registri un consenso tale, praticamente l’unanimità, da consentirne l’approvazione in Commissione in sede legislativa, senza passare dall’Aula.

Il testo si compone di 10 articoli:

L’articolo 1 contiene dettagliate prescrizioni alle Regioni circa l’organizzazione dei servizi (ai Dipartimenti di salute mentale sono fatti afferire gli ambiti della Neuropsichiatria infantile, della Psicogeriatria, della psicologia, dei Sert) che ogni Regione dovrebbe adottare. Ancora, in ogni Regione gli Assessorati alla salute ( questa la nuova denominazione per tutti) insieme a quelli al lavoro e alla previdenza sociale dovrebbero istituire una Agenzia per “la prevenzione e la programmazione socio-sanitaria, per il coordinamento e il monitoraggio delle attività dei DSM” ai cui lavori dovrebbero partecipare associazioni dei famigliari ed esperti.

L’articolo 2 descrive le attività di prevenzione da condurre nelle scuole, negli ambienti di lavoro e in ogni altra “situazione socio-ambientale a rischio psicopatologico”. Agli assessori alla salute è affidato il compito di predisporre “appositi protocolli delle attività di prevenzione e di assistenza”.

L’articolo 3 si occupa delle attività di cura che si svolgono in ambito ospedaliero, territoriale, residenziale e semiresidenziale; esse devono occuparsi anche delle cosiddette “doppie diagnosi” (persone con diagnosi psichiatrica + diagnosi di disabilità psichica o di dipendenza patologica) e delle psicopatologie di persone “appartenenti ad altri contesti etnici” (sic!). E’ affermata la libertà di scelta dello psichiatra, dell’operatore sanitario e del luogo di cura, ma limitatamente alle Aziende sanitarie confinanti.

Gli ospedali con Spdc devono avere servizi di emergenza operanti 24 ore su 24 con équipe mobili che intervengono anche al domicilio del paziente. La relazione terapeutica è fatta basare sul cosiddetto “contratto terapeutico” tra lo psichiatra e il paziente o il suo rappresentante legale o i suoi

famigliari. Il rispetto del contratto terapeutico ha valore vincolante per il proseguimento delle cure.

Si propone che il t.s.o. cambi denominazione e diventi t.s.n. (n= necessario), che duri 21 giorni e che possa avere luogo negli Spdc, nelle strutture residenziali di riabilitazione delle ASL di nuova istituzione (v. infra), al domicilio. È introdotto il t.s.n.e.p. (trattamento sanitario necessari extraospedaliero prolungato)da tenersi in luoghi ad hoc con almeno 1 posto letto ogni 20.000 abitanti, della durata di 6 mesi, proposto dallo psichiatra, disposto dal Sindaco, approvato dal Giudice Tutelare. Il paziente sottoposto a t.s.n.e.p. deve obbligatoriamente essere seguito da un Amministratore di sostegno.

L’articolo 4 descrive le attività di riabilitazione che possono svolgersi in strutture ambulatoriali, al domicilio, strutture residenziali diurne e a ciclo continuo, comprese le RSA, in strutture residenziali o semiresidenziali a carattere socio-assistenziale.

L’articolo 5 si occupa dei rapporti fra Dsm e Università.

L’articolo 6 tratta dell’assistenza ai detenuti. È prevista l’opera di una equipe del Dsm per garantire l’assistenza in regime ambulatoriale, semiresidenziale e residenziale nelle carceri che devono dotarsi di “spazi adeguati”. Per quanto riguarda gli ospedali psichiatrici giudiziari e il loro il superamento si dice che rimarranno in funzione finché non ci saranno alternative agli stessi “sia nella fase del giudizio che in quella dell’esecuzione della pena”.

L’articolo 7 prescrive l’obbligo a recarsi al domicilio da parte del medico del servizio pubblico su segnalazione dei famigliari e se il paziente diserta gli appuntamenti.

L’articolo 8 (diritti dei famigliari) sancisce il diritto all’informazione sulla malattia e a collocazioni abitative del paziente lontano dalla famiglia.

L’articolo 9 fissa nel 7% la quota dei fondi per i Livelli essenziali di assistenza (Lea) da destinarsi al finanziamento del complesso delle attività.

L’articolo 10 prevede il commissariamento delle Regioni inadempienti.

Commento

Il testo unificato del relatore Ciccioli si compone di due parti: la prima contenente prescrizioni organizzative tendenti a omogeneizzare l’offerta e l’assetto dei servizi di assistenza psichiatrica su tutto il territorio nazionale, la seconda contenente prescrizioni di profonda modifica degli articoli della legge 833778 che hanno recepito la 180.

Del titolo va segnalato l’abbandono del termine “salute mentale” e la reintroduzione di quello di “assistenza psichiatrica”, che la dicono lunga sulle culture professionali di cui il relatore è espressione, tutte centrate sui modelli biomedici.

La prima parte nasconde un giudizio molto negativo sull’esperienza di governo della materia da parte delle Regioni italiane, riferito quantomeno agli ultimi 16 anni, cioè al dopo progetto obiettivo salute mentale del 1994. Tuttavia la via seguita da Ciccioli ( v. articoli 1, 2, 3, 4, 5) non può portare lontano perché va in rotta di collisione con gli orientamenti del cosiddetto federalismo che riconoscono alle Regioni una orgogliosa, fortissima autonomia, certamente in tema di organizzazione dei servizi sanitari, ma non solo: su questo punto non conviene quindi nemmeno dilungarsi.

Glisso sull’enfasi posta all’organizzazione di servizi autonomi di emergenza, per annotare come

la proposta di modifica della legge in vigore si incentri sulla sostituzione dell’aggettivo “obbligatorio” (riferito al t.s.o.) con “necessario”. “Obbligatorio” descrive propriamente l’azione di coercizione del paziente supposto tale e ne fa conseguire i percorsi e le procedure a tutela dello stesso che lo Stato deve garantire sempre. “Necessario”, “in quanto senza consenso” dice Ciccioli, fa riferimento a un punto di vista diverso, quello del medico psichiatra o del famigliare o dell’Amministratore di sostegno, che sanno, loro sì, quando è ora di intervenire, proprio perché il paziente non dà il consenso. Al riguardo non è quindi casuale che Ciccioli reintroduca l’antica locuzione “non coscienza di malattia” largamente in uso nella psichiatria manicomiale, a giustificazione dell’internamento ( e della pericolosità sociale). Dal “necessario” discendono il “contratto terapeutico vincolante”, una condizione di coercizione potenzialmente a vita e la riduzione a Tutore della figura dell’Amministratore di sostegno nata invece come appoggio responsabile e competente ai percorsi di empowerment e di recovery, cioè ai percorsi di ristabilimento e di guarigione.

A legittimazione dei desiderati nuovi lunghi internamenti che dovrebbero essere organizzati prevalentemente, pare di capire, nelle cliniche private, Ciccioli propone l’introduzione del t.s.n.e.p.

Si parla dei diritti delle famiglie, ma non si parla dei diritti dei cittadini con disturbo mentale, specie quando è grave, quindi si tace della dolorosa, aspra questione dei trattamenti disumani e delle contenzioni. Non sono mai citate le associazioni dei cittadini con disturbo mentale, né è prevista la presenza di utenti negli organismi consultivi.

Un aspetto interessante che merita di essere approfondito è quello dei servizi di salute mentale in carcere e del superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari: Ciccioli ipotizza all’articolo 6 un assetto delle carceri, pare di capire soprattutto le Case Circondariali, che dovrebbero disporre di spazi e tempi dedicati al “trattamento ambulatoriale, semiresidenziale e residenziale dei malati di mente autori di reato che, per la persistenza della pericolosità sociale, non possono essere trattati all’esterno del luogo di detenzione, ovvero che permangono in stato di detenzione perché imputabili”. Qui il testo non è (volutamente ?) chiaro, ma lascia intravedere la disponibilità del relatore a superare il Codice Penale in vigore nella direzione di riconoscere l’imputabilità al “reo folle”. Sarebbe opportuno che chiarisse il suo pensiero, anche se, va ricordato, le modifiche del Codice Penale non possono passare dalla Commissione Affari Sociali.

Ciccioli propone poi di riservare il 7% dei Lea a finanziare un complesso di servizi che comprendono, ricordiamo, i Dsm così ridisegnati, servizi per disabili, dipendenze patologiche, psicologia, neuropsichiatria infantile, psicogeriatria, “doppie diagnosi”, nuova psichiatria penitenziaria: pare davvero assai poco anche in riferimento ai grandi investimenti in operatori e strutture. Non ci sono i fichi secchi, ma nemmeno le nozze.

Luigi Benevelli

Mantova, 28 settembre 2010

Write A Comment