di Sarantis Thanopulos
28.02.0222

Oltre la norma nella salute mentale

Avevo sentito l’intervento delle prof. Saraceno alla presentazione del Manifesto e l’ho sentito nuovamente attraverso la vostra newsletter. L’ho apprezzato allora e l’ho apprezzato di più dopo il secondo ascolto. Per la chiarezza e lucidità dell’intervento e per la lealtà del confronto(cosa non frequente a dire il vero). Partirò dal fatto che condivido l’impostazione e la critica nei confronti della psichiatria nel suo insieme per il carattere normativo che è sempre presente in ogni intervento dì cura, anche in quello fatto con le migliori delle intenzioni e nella convinzione di agire nel rispetto della persona sofferente. Per gli psicoanalisti (di cui faccio parte) questo è un assunto preliminare del loro lavoro, in particolare con le persone sofferenti di un dolore fortemente destrutturante, destabilizzante per il loro modo dì essere nel mondo. C’è un punto critico in cui il lavoro terapeutico sosta inevitabilmente nella “violenza dell’interpretazione”, punto di incontro ambiguo tra la richiesta della persona in cura di poter sentirsi dentro l’ordine del mondo (pur al prezzo di una conferma dell’alienazione) e la tendenza anonima ordinante dì ogni sistema sociale dì riassorbire nel suo funzionamento ogni deviazione. Credo che questo sia valido per ogni forma di intervento che mette al centro della sua attenzione il valore umano. È una contraddizione di cui dobbiamo essere consapevoli. Perché l’elemento destabilizzante possa essere accolto e non demonizzato o idealizzato e diventare il punto dì partenza per una trasformazione dell’assetto erotico, affettivo, mentale della relazione di cura. Questa relazione non è mai e in nessun contesto libera dalla contraddizione di fondo tra il sapere della cura e l’esperienza vissuta. È una contraddizione di tutte le relazioni umane (richiedenti sempre una cura particolare) che si esalta nel campo della salute mentale. L’altra contraddizione è tra l’assistenza, che è una necessità, e la cura in se stessa che vive nel campo del desiderio e ha una logica opposta all’emergenza, l’urgenza e la pura scarica delle tensioni. Credo sia arrivato il momento dì lasciare alle spalle le incomprensioni del passato, che le hanno pagate le persone che soffrono e capire con una certa serenità che nel campo del grave disagio psichico la posta in gioco non è la “guarigione”(che mette in crisi ogni tentativo di inquadrarla), ma il restare soggettivamente vivi e creativi (con il personale tipo di creatività che è diritto di tutti). Di conseguenza nessun sapere o prassi di cura preso isolatamente detiene da solo la chiave di accesso alla realizzazione di un obiettivo minimo: migliorare la qualità della vita dì chi è dilaniato dal dolore. Restituirgli la dignità della vita di cittadino. Il manifesto non è un progetto. Si può non sottoscriverlo e sottoscriverlo significa solo una cosa: è tempo di esserci, è tempo del prattein, che ha come sua meta la vita stessa dell’uomo. Il manifesto e un pretesto e un pretesto. E nel testo bisogna mettere la firma (e la faccia) ognuno di noi. È questa la fase che inizia ora e penso che Benedetto Saraceno può dare un contributo fondamentale. La psicoanalisi (che rappresento nel manifesto) non è un’applicazione di principi tecnici, ma un sapere vivente sull’essere umano e sulla cura che prende forma e esistenza solo all’interno dì uno scambio tra soggetti desideranti pari. Non è compatibile con la sua costituzione come canone, respira felicemente solo all’interno del dialogo con altri saperi. Ha una forte vocazione sociale perché vive solo dentro le esperienze culturali e politiche della società civile. Il modello biomedico/farmacologico non è demonizzato nel manifesto, ciò che viene contrastato è la sua pretesa dì diventare pensiero unico non solo nel campo della sofferenza psichica/mentale, ma anche nella vita comune. Un approccio multidisciplinare richiede una cultura della cura che mette costruttivamente insieme farmacologia, psichiatria sociale, epidemiologia, prevenzione (a partire dall’attenzione dalla sofferenza ai bambini e agli adolescenti), psicoterapia (in tutte le sue forme), ma anche tutte le modalità di inserimento artistico, culturale, creativo nella comunità in cui si vive. La psicoanalisi e la psicologia dinamica non sono solo forme specifiche di intervento clinico (che nel campo dei servizi pubblici possono essere molto utili come approcci familiari multifamiliari e gruppali) ma rappresentano una cultura del mondo interno (dei desideri, dei sentimenti, delle emozioni) che deve essere appannaggio di tutti e non solo degli psicoanalisti. Ogni approccio ha la sua ragione dì essere e nessuno deve essere escluso. Ciò che conta è una cultura dì condivisione e di dialogo, non gli arroccamenti ideologici. Il campo multidisciplinare non è esente dal pericolo della mentalità normativa, ma è democratico, tollerante e più sano. Le tre condizioni che permettono di mettere la norma in discussione. Questo è davvero il momento in cui, con il pretesto del Manifesto, un progetto scientifico, culturale e politico sulla malattia mentale può e deve prendere vita. Perché il dolore acuto possa essere contenuto senza eccessi dì sedazione e cronicizzazione, perché le emozioni e i pensieri dì chi soffre abbiano ascolto e rappresentazione, perché il soggetto lacerato (ma vivo, resistente nonostante tutto) ritrovi il suo posto dì cittadino nella vita lavorativa, culturale e politica, perché si riappropri della sua espressione creativa. Non è un’utopia, è la spinta (per tutti) a vivere.

da Newsletter LegacoopSociali – Salute Mentale